In Homo videns c'è una grande protagonista (o, per meglio dire, antagonista): la televisione. Nelle nostre vite, la televisione (e qui, nel 2017, sarebbe meglio aggiungere anche internet e i social media) è una presenza ingombrante e fastidiosa. Se ne è reso ben conto Giovanni Sartori: da intellettuale e grande uomo di cultura qual è stato, attento a interpretare i cambiamenti sociali e a scavare sotto la superficie delle mode e delle correnti culturali, non poteva sfuggirgli che qualcosa stava cambiando, all'alba degli anni 2000. Non un cambiamento di poco conto, ma una mutazione che avrebbe portato conseguenze per decenni. La tesi di Sartori, in Homo videns, è che la televisione non solo abbia causato un impoverimento culturale senza precedenti ma, soprattutto, stia cambiando, negativamente, il modo in cui l'uomo interpreta e comprende la realtà.
Le nuove generazioni crescono di fronte allo schermo del televisore, familiarizzando con il video ancor prima di imparare a leggere. La conseguenza inevitabile è che il modo di pensare dell'uomo del terzo millennio si conforma a questo nuova modalità di ricevere informazioni, passando dal primato della parola a quello dell'immagine. La caratteristica principale dell'homo sapiens è la sua capacità di astrazione: è l'unico animale in grado di interpretare il mondo attraverso il ragionamento logico; l'uomo formato dalla televisione, invece, si limita a guardare. Per lui l'unica cosa importante è l'immagine: ma l'immagine è piatta, non si spiega da sola, non richiede l'uso di una capacità di pensiero più o meno raffinata per essere interpretata (perché spesso non vi è nulla da interpretare). L'homo videns è questo: un uomo disabituato a pensare in maniera logica, che ha perso la possibilità di formulare pensieri astratti e che galleggia nel vuoto del video-vedere. È un eterno video-bambino incapace di crescere. Eppure, l'influsso del mezzo televisivo non si ferma qui: l'homo videns smette di essere un animale politico. Si può parlare, semmai, di video-politica, della politica fatta a misura di uno schermo televisivo, che non forma cittadini in grado di compiere scelte elettorali responsabili e sensate, ma una folla di menti atrofizzate e conformate. È una conseguenza che non poteva lasciare indifferente il Sartori politologo. Il rischio è di avviarsi verso una massificazione culturale, una regressione cognitiva e antropologica nel senso pieno del termine. Homo videns è un libro a metà strada fra un saggio divulgativo e un pamphlet rabbioso e caustico. Il libro risale al 1999, e a volte rischia di risultare un po' sorpassato. Si parla poco di multimedialità, che viene comunque vista con sospetto; Internet è una frontiera, ma negativa; l'informatizzazione è inevitabile, ma non auspicabile. Non si mette in discussione l'uso sbagliato che si fa del mezzo televisivo, quanto piuttosto il mezzo in sé. Non c'è distinzione fra televisione utile o dannosa: entrambe, a lungo andare, portano all'homo videns. Sta qui forse il punto controverso dell'argomentazione del saggio. Le critiche di Sartori alla ristrettezza mentale causata dal mezzo televisivo, e alle conseguenze che esso ha portato, sono fin troppo condivisibili: ma siamo sicuri che non esista uno spiraglio per un uso positivo delle nuove forme di comunicazione? Davvero è impossibile trovare un modo per approcciarsi ai nuovi media, digitali o meno che siano, che incoraggi il pensiero invece di anestetizzarlo? Homo videns è un libro interessante per i problemi su cui porta a riflettere. In alcuni passi si avverte qualche anacronismo inevitabile, ma il nucleo della discussione (per l'homo sapiens che non ha disimparato a leggere e a pensare) rimane attualissimo: il video-bambino prospettato è anche, e forse soprattutto, il figlio dell'era dei social network in cui viviamo. E Sartori di ciò se ne era accorto ancora prima che nascesse Facebook. Altri articoli che potrebbero interessarti:
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Febbraio 2023
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