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30/7/2016

I fiori blu

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di Stefano Pipi

Il milleduecentosessantaquattro è un anno complicato. Dalle mura del suo castello, il duca d'Auge osserva le orde di Unni che si accampano nelle pianure, le bande di Galli che attraversano i fiumi, le ombre di vecchi romani che si perdono all'orizzonte. La storia, si sa, è un pantano e Auge non ha più voglia di sguazzarci dentro. Così, senza pensarci due volte, parte alla volta della capitale con il suo scudiero e i suoi due cavalli (parlanti). Il viaggio porterà il duca a spasso per la Francia e in giro per la storia, attraversando il periodo delle crociate, la Guerra dei Cent'anni e la rivoluzione francese. Ma le avventure di Auge sono interrotte dai risvegli di Cidrolin. Cidrolin vive nel 1964. Abita su un chiatta con una figlia che gli fa da governante. Pigro, indolente, taciturno, Cidrolin ogni sera sogna le strampalate avventure del duca d'Auge. O forse, in realtà, è il duca a sognare Cidrolin? E perché i personaggi della storia dell'uno sembrano riapparire in quella dell'altro?

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L'incipit dei I fiori blu, di Raymond Queneau (edito in Francia nel 1965 e portato in Italia due anni dopo grazie alla traduzione di Italo Calvino), lascia già immaginare che tipo di romanzo ci aspetta: onirico, strampalato, divertente. C'è bisogno di un pò di tempo per calarsi nell'atmosfera, per imparare a ''sopportare'' le apparenti incongruenze e i salti logici, le assurdità della trama e le altrettanto assurde manie dei personaggi. Eppure tutto, dalla prima all'ultima pagina, trasuda di una genialità divertita e divertente.

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Il linguaggio di Queneau è frizzante, originale, impossibile da descrivere e da replicare (basti pensare ai suoi Esercizi di stile, resi in italiano da Umberto Eco ma considerati per anni intraducibili). Infarcito di giochi di parole, di calembours e di strampalati neologismi, la lingua de I fiori blu è semplicemente deliziosa. Eppure dietro quest'apparente spontaneità e leggerezza si nasconde una complessità insospettabile. Queneau è uno scrittore scrupoloso e metodico: costruisce il suo stile su complessi strumenti matematici, su corrispondenze interne alle frasi e persino alle parole stesse, su una simmetria così perfetta da risultare invisibile. È a questa idea ''combinatoria'' di scrittura che Calvino, non a caso traduttore entusiasta e attento dell'opera di Queneau, si ispirerà per Il castello dei destini incrociati e Se una notte d'inverno un viaggiatore.
Come tutta la grande letteratura, I fiori blu si offre a una mole di interpretazioni diverse. Romanzo sulla storia? Forse, perché Queneau era stato uno degli allievi di Kojéve, il filosofo dell'uscita dalla storia (e non è forse questo quello che cerca di fare perennemente il duca d'Auge?). Metafora psicanalitica, in cui l'Io e l'Es sono impersonati rispettivamente dall'instancabile e istintivo duca e dall'indolente Cidrolin? O semplicemente una costruzione divertita e complessa sul grande tema del sogno, ché di sogni e della loro ambiguità si parla per tutto il romanzo? Perché, alla fin fine, «le storie inventate rivelano cosa c'è sotto. Tal quale come i sogni».

 

Immagini tratte da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Raymond_Queneau#/media/File:Raymond_Queneau.jpg
http://arlian.media.unisi.it/images/copj13.jpg





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