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25/11/2017

I Gillespie (2011)

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di ​Lorenzo Vanni
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​In anni recenti si è affermata la tendenza, almeno in Inghilterra, di riportare in auge la letteratura del passato, tanto più che osservando la letteratura di oggi sembra che la prosa di ampio respiro del XIX secolo sia soltanto una reliquia del passato. Da qui la necessità di tentare di rianimarla attraverso ro­manzi che scavino in un'epoca facendone percepire tutto il vigore.
Questo ha tentato di fare a suo modo Jane Harris, scozzese di origini irlandesi, con il suo secondo romanzo I Gillespie, pubblicato nel 2011 e arrivato in Italia con Neri Pozza l'anno successivo. Il ge­nere neo-vittoriano è stato scelto dalla Harris come marchio di fabbrica dopo aver pubblicato nel 2005 il suo romanzo d'esordio, Le Osservazioni, raccogliendo pareri generalmente positivi e garan­tendone la traduzione in ben 15 lingue.
​La sua nuova incursione nel genere vede come scenario principale Glasgow ai tempi dell'Esposi­zione Internazionale del 1888. La storia inizia con Harriet Baxter che, in seguito alla morte della zia, decide di fare un viaggio fino a Glasgow incontrando per le strade della città due donne, una delle quali, più anziana, rischia di soffocare dopo aver quasi ingoiato la dentiera. Harriet la salva e come ringraziamento viene invitata a casa della famiglia delle due, i Gillespie. La donna salvata si chiama Elspeth, madre dell'artista squattrinato Ned Gillespie, mentre la ragazza è Anne Gillespie, moglie del pittore e pittrice a sua volta. Harriet viene accolta in casa come un'amica e con il passare del tempo si affeziona sempre più a loro, in particolare a Ned che si sente in dover di salvare dalla costante mancanza di denaro. Ned e Anne hanno anche due figlie piccole, Rose e Sibyl: quest'ultima dà ben presto segni di squilibrio dipingendo immagini oscene sulle pareti della casa, avvelenando le bevande dei genitori durante i festeggiamenti di Capodanno in un crescendo finché un giorno la sorellina più piccola, Rose, scompare.
È sicuramente lodevole l'intenzione di riportare un genere nobile come quello del romanzo ottocentesco all'attualità, però sarebbe fondamentale avere gli strumenti per poterlo fare. Se da un punto di vista di trama la storia tiene benissimo e le pagine si facciano leggere senza difficoltà (il che non è poco considerando le dimensioni del libro), lo stesso non si può dire per i dettagli che vogliono arricchire l'atmosfera. Innanzitutto c'è da dire che, se non è possibile essere precisi su tutti i dettagli, è pur vero che si dovrebbe fare il possibile per limitare al minimo gli anacronismi. Tra questi rientra, in modo piuttosto evidente, il fatto che persone che mai si sono viste prima si chiamino per nome. Questa è per il mondo di oggi una pratica normalissima, ma che nell'Ottocento sarebbe stata una mancanza di rispetto.

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Un'altra è invece una questione di mancanza di conoscenza dell'epoca di cui si parla: quando Sibyl comincia a dare i primi segni di squilibrio, la Harris ha gioco facile nel ricorrere ad alcuni commenti legati agli sviluppi della psicologia e della psicoanalisi. Quando però cita esplicitamente il complesso di Elettra commette un errore, e non dei più piccoli: siamo infatti nel 1888 e la pubblicazione dei primi scritti psicoanalitici di Freud risale al 1892 (gli studi sull'isteria). Quindi, se l'analisi dei sintomi fatta dalla Harris è giusta, la sua narratrice mostra in questa fase una conoscenza dei disturbi psichici che non poteva possedere, almeno non in quei termini così precisi.
L'altro anacronismo è quello legato alla scrittura. Dal momento che si tratta di un romanzo storico, sarebbe lecito aspettarsi che la scrittura sia all'altezza del periodo storico di cui si parla; invece la scrittura della Harris è troppo legata all'oggi per poter essere presa sul serio. Intendiamoci, non è affatto una brutta scrittura, è semplicemente inadatta per un romanzo storico.
Come dicevo, la lettura procede rapida e questo è un punto a suo favore. Va anche specificato che questi anacronismi sono in realtà limitati alle prime cinquanta pagine e sono dettagli, quindi è possibile che non tutti i lettori li notino. Rimangono però in mente e in qualche modo incidono sulla valutazione di un romanzo che, non fosse per queste grossolanità, meriterebbe ben più di una sufficienza.

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