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27/1/2018

I Promessi Sposi, un romanzo verbalmente imperfetto o imitazione dello spagnolo?

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Di Lorenzo Vannucci
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​Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi si pone il problema dell'inadeguatezza della lingua letteraria italiana. Nella Prefazione al Fermo e Lucia Manzoni rivela di essere insoddisfatto delle scelte fino a quel momento da lui compiute, consistente nel mescolare francesismi, latinismi, espressioni toscane e lombarde. Inizia così quella che è stata definita da numerosi studiosi “la questione linguistica manzoniana” in cui lo scrittore milanese passa da una lingua “ibrida” all'utilizzo del toscano colto. Dopo aver tradotto in toscano i lombardismi presenti nel suo romanzo (1827), per avvicinarsi a una lingua che gli consentisse di essere compreso da tutti e di assurgere al piano della letteratura, Manzoni, insoddisfatto, decide di apportare un ulteriore cambiamento nell'edizione del 1840 adottando la lingua parlata dal ceto medio colto della città.
Una delle questioni più controverse è la scelta, da parte del Manzoni, di usare il condizionale presente al posto della forma composta. Nel capitolo IV al posto del condizionale composto “sarebbe partito” compare la forma base del verbo “partirebbe”: «Finalmente richiese, impose come una condizione, che l'uccisor di suo fratello partirebbe subito da quella città» [cap. IV]. Nel capitolo XII la comparsa di questa “inversione” «se i fornai strillassero, non lo domandate» e «anche si vedrebbe, si penserebbe forse a dar loro qualche risarcimento; e che intanto tirassero ancora avanti» ci permette di comprendere come questo non sia un fenomeno isolato nel testo manzoniano (si veda anche il capitolo III, X).
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Il condizionale semplice, nato dalla fusione del verbo all'infinito con le forme coniugate dell'ausiliare avere, cantare habet > cantar ha > canterà (futuro) cantare habuit > cantar ebbe > canterebbe (condizionale), fa la sua comparsa come futuro in relazione al passato nel '200. Il condizionale passato invece, di cui si trovano le prime tracce nel '300, entra in auge nel '400 fino ad affermarsi, a scapito del condizionale semplice, nel '500 (Bandello, Caro, Vasari). Se nei Promessi Sposi prevale il condizionale semplice alla forma passata, perché allora nel' 600 il processo di sostituzione del condizionale semplice con quello composto raggiunge i suoi massi livelli?
Le ragioni vanno ricercate da una parte nella dominazione spagnola ai danni dei Lombardi avvenuta nel 1630, dall'altra nella scelta di Manzoni di ambientare il romanzo nel Seicento.  A partire dal 1498 lo stato di Milano fu conteso dal regno di Francia e da quello di Spagna fino al 1525, anno in cui gli Asburgo ottennero l'importante vittoria nella battaglia di Pavia che sancì il predominio spagnolo sul ducato Lombardo. Il dominio asburgico lasciò un’impronta indelebile non solo nella politica e nell'economia, ma anche nella lingua. I governatori di Milano amarono circondarsi di una corte di spagnoli e finirono per usare lo spagnolo in tutte le sfere pubbliche (il cancelliere Ferrer dei Promessi Sposi parla in buona parte spagnolo «por mi vida’ que de gente, Animo; estamos ya quasi fuera», riproducendo assai fedelmente la realtà storica). Il Manzoni, infatti, mira a rappresentare la verità della realtà umana cercando di descrivere i fatti in maniera dettagliata ed esaustiva. L'influenza dello spagnolo non è limitata solo al ducato di Milano, ma si estende grazie ad alcuni matrimoni di interesse tra la nobiltà aragonese e quella italiana in tutta Italia (Napoli, Ferrara, Mantova…). La “contaminazione” linguistica, resa evidente dall'ampio uso di alcuni spagnolismi, si può apprezzare anche nella scelta del Manzoni di utilizzare il condizionale presente al posto della forma composta. Nella lingua spagnola di fronte a una frase del tipo «Finalmente richiese, impose come una condizione, che l'uccisor di suo fratello partirebbe subito da quella città» viene usato il condizionale semplice “se marcharìa” e non quello composto “se habrìa marchado”.
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Foto tratte da: 
Wikibooks

Bibliografia:
Manzoni, I promessi sposi, capitolo III ,X, XII.
Beccaria, Spagnolo e spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino, Giappichelli.

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