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Una delle critiche più frequenti rivolte spesso ai social network è quella è di contribuire alla perdita d’identità nel momento stesso in cui questo sembra difenderla, in altre parole di consentire l’esposizione di sé su una vetrina virtuale dove chiunque può vederci, ed essendo così legati all’immagine che gli altri hanno di noi tendiamo a ripetere quelle stesse caratteristiche psico-fisiche che si ritrovano negli altri. Perché in fondo è un gioco all’omologazione e niente di più.
Vengono allora rievocate le più inquietanti distopie, tra cui la sindrome da controllo orwelliana (fondata fino ad un certo punto) oppure quella più calzante di Huxley e il suo “mondo nuovo”. Ancor più di questi, però, risulta incisiva e a mio parere più pertinente (proprio perché meno legata all’interpretazione, ma alla contestualizzazione storica) la critica rivolta dagli scrittori modernisti, in particolare Virginia Woolf (1882-1941) alla nascente società capitalista. ![]()
Il capitalismo di cui si parla qui rappresenta gli albori del capitalismo delle multinazionali, come venne definito da Fredric Jameson negli anni ’70. I fenomeni a cui assiste la Woolf sono molto concreti: la folla che percorre le strade di Londra, il procedere indaffarato delle persone, l’incremento dei ritmi lavorativi e il linguaggio della politica che cambia rivolgendosi non più alle singole classi sociali, ma alla massa. Quest’ultima è una parola chiave per la Woolf: i suoi romanzi, specie quelli più sperimentali come Mrs. Dalloway (1925) testimoniano di quanto il mondo stava cambiando sostituendo l’individuo con la massa, cosicché le singole differenze individuali scompaiono sotto il peso della collettività. La poetica modernista riattribuisce valore all’esperienza individuale nei suoi dettagli più insignificanti.
La signora Dalloway del romanzo di Virginia deve organizzare una festa che si terrà la sera e il romanzo attraversa l’intera giornata raccontando che cosa fa e che cosa pensa questa donna. Abituati come siamo oggi a una trama ricca di avvenimenti questo romanzo può apparire vuoto, ma in realtà contiene l’uomo (o la donna in questo caso). Veniamo a sapere che l’uomo di cui era innamorata è appena tornato dall’India e questo le rievoca pensieri che pensava di aver rimosso quando si era sposata. Veniamo a conoscenza della storia di altri due personaggi le cui vicende scorrono parallelamente a quella di Clarissa Dalloway, Lucrezia e Septimus. Quest’ultimo è forse il personaggio più bello del romanzo e la storia d’amore con Lucrezia è una delle più belle della letteratura inglese perché più vera. ![]()
Septimus è un disadattato nel senso proprio del termine, un ex soldato che dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale e aver visto uno dei suoi compagni morire è ossessionato da allucinazioni ricorrenti in cui vede il suo amico calpestare una mina e saltare in aria. Septimus è per Virginia il prototipo dell’artista, il visionario che vede cose che gli altri non vedono perché abituati a vivere una realtà ovattata dove nascondono tutti i loro tormenti di esseri umani. Septimus è anche colui che, proprio perché vede così chiaramente il mondo, si rende conto dello scartamento esistente tra la realtà della guerra sul Continente e la realtà delle tazze di tè in Inghilterra.
Il suicidio finale di Septimus (che sostituisce quello non messo in atto dalla signora Dalloway) rompe il legame con Clarissa. Nonostante i due personaggi non si siano mai conosciuti, le loro storie sono legate perché, pur vedendo entrambi le stesse cose (anche se non con la stessa chiarezza) la Signora Dalloway è disposta a rinunciare a una parte di sé per giocare il suo ruolo nella società di massa. Il talento di Virginia Woolf sta nell’esplicare il problema della perdita di individualità attraverso un gioco di società: afferma la linguista e sociologa Deborah Tannen che l’interazione con gli altri è frutto di una negoziazione tra le proprie necessità di autonomia e le richieste dell’altra persona di rinunciare a parte di essa per accoglierla.
Nei rapporti sociali descritti da Virginia Woolf questo principio si trasforma in un gioco al massacro. Troppo si perde di sé nella società di massa e così facendo Clarissa Dalloway è spinta sempre di più a tentare di ribellarsi a questo stato di cose: vorrebbe quindi esporre apertamente i suoi dubbi e le sue esitazioni ai suoi ospiti, vorrebbe annullare la festa ma alla fine le esigenze del gruppo prevalgono su quelle dell’ospite. Per Septimus non è così e paradossalmente proprio perché visionario, proprio perché vede cose che non vengono viste dagli altri è libero. La sua libertà si manifesta rifiutandosi di partecipare al gioco al massacro, negandosi la vita. Non tutti sono in grado di gestire questa libertà, per questo servono i visionari: perché fanno la cosa giusta quando gli altri non ne hanno il coraggio.
Fonti: F. Jameson, Postmodernismo, Ovvero la Logica Culturale del Tardo Capitalismo, Fazi Editore, Milano, 2015. D. Tannen, Ma perché non mi capisci?, Sperling & Kupfer, Milano, 2004. Immagini tratte da: http://soniatoncelli.blogspot.it/2015/07/virginia-woolf-e-il-suo-amore-per-il.html https://www.ibs.it/signora-dalloway-libro-virginia-woolf/e/9788807900594 https://thelarkandtheplunge.wordpress.com/2015/01/25/il-soldato-di-virginia-woolf/
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Febbraio 2023
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