di Enrico Esposito Enzo Moscato rappresenta uno dei pilastri del teatro. Del teatro inteso come attività della vita, di devozione, assorbimento e sublimazione nei confronti di un lato autentico del carattere umano. Da inesperto del campo poco tempo fa mi sono diretto allo spettacolo che il maestro partenopeo ha tenuto al Teatro Era di Pontedera in occasione delle celebrazioni del decennale di successi del florido polmone culturale della città della Piaggio. “Ritornanti” è il titolo prescelto per confezionare una triade di rielaborazioni attraverso le quali Moscato e la sua centellinata compagnia si impossessano dello spettatore senza permettergli di negarsi, senza chiedergli il permesso di arrischiare domande o ancor di più dubbi su un approccio che può risultare sconvolgente. Perché quando si incontra, o ancor meglio, si beve fino all’orlo dalla fonte millenaria di empietà, trasgressioni e catarsi napoletane, le identità lontane si ritirano e spargono ai lati di eloqui che non sembrano poi così estranei. Linguaggi di spiritelli, fattucchiere e popolani, composizioni di parole che squittiscono e prendono in ostaggio la ragione per concedere libero potere all’immaginazione, al falsetto e al dialogo. “Spiritilli”, “Rococò”, “Cartesiana” sono le tre fila in cui si dispongono I “Ritornanti, entità sovrannaturali che amano prendersi gioco delle frivolezze di uomini e donne, delle loro paure spesso ridicole, e spesso intevengono ricorrendo a scherzetti di magia, ma anche a terribili sconvolgimenti naturali. Enzo Moscato prende in prestito l’ “incoronazione” dalla proposta di Anna Maria Ortese, la grande osservatrice romana che dal suo punto di vista straniero prova attraverso lo strumento linguistico a cristallizzare in uno scrigno l’ipnotica matrice delle anime di Partenope.
Il primo incontro è con il “Munaciello”, folletto demoniaco che secondo la tradizione popolare rappresentava l’incarnazione esoterica di un trovatello morto nel Cinquecento, e noto durante la sua breve vita per la vivacità d’animo. Come il Puck anglosassone, il Munaciello trascorre il suo tempo divertendosi a spaventare gli adulti, dedicandosi invece alla protezione degli infanti ai quali riserva laute ricompense in termini d’oro. Così accade alla neonata figlia dei coniugi Totore e Nannina, finiti a loro insaputa a vivere all’interno del palazzo incantato abitato dallo spirito. Molto diverso invece è il “motivo” della storia di Little Peach, spogliarellista che ripercorre un passato di difficoltà e false aspettative vissute a Napoli all’epoca delle lotte tra Aragonesi e Angioini. Nel corso del suo racconto autobiografico, eseguito dal solo Moscato, balza alle orecchie la pregevolissima ricerca linguistica da parte dell’autore, che dà luogo a una irresistibile contaminazione tra dialetto partenopeo, francese, spagnolo, che coglie il suo apice nell’ultimo, panoramico tassello della trilogia dei “Ritornanti”. Si tratta di “Cartesiana”, lo strampalato viaggio di tre transessuali, Cartesiana, Miss 'Nciucio e Cha Cha Cha, che si recano via terra e mare sino al cuore della Spagna per trovare la propria identità. La loro parabola vive di salti geografici e retromarce, di episodi bizzarri e carichi di acume, che le induce talvolta a fermare il tempo in riflessioni lunghe, intrecciate, si potrebbe dire superflue ai fini dell’evoluzione della loro vita, ma pregnanti nella loro complessità semantica e musicale. Immagini tratte da teatroera.it
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Maggio 2023
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