![]() Scritto nel 1966 in soli sette giorni, quando Georges Simenon viveva a Épalinges, una ricca località svizzera, Il gatto è forse uno dei suoi capolavori. Emblematico il fatto che da lì a pochi anni, nel 1972, l’autore deciderà di ritirarsi e non scrivere più. Il gatto mette in scena una storia atroce, crudele, dove l’animo umano si mette a nudo in tutte le sue debolezze e fragilità, ma dove raggiunge anche livelli molto bassi. “Non ho mai scritto nulla di più crudele” dirà lo stesso Simenon in proposito. Protagonista un’anziana coppia, entrambi al loro secondo matrimonio, e quelli che forse potremmo definire il loro “animali totem”. Il gatto, animale amato da lui, e il pappagallo, di lei, diventano il campo di scontro di due mondi che nella solitudine si incontrano, si uniscono nel tentativo di colmare un vuoto, ma non riescono mai a incontrarsi e quindi inevitabilmente non riescono che a scontrarsi. Marguerite è attaccata ad un passato ormai lontano, ma sempre presente nella sua casa museo, e a dei rapporti forse un po’ freddi, dominati dalle consuetudini, dalle formalità; totalmente diverso Émile, che è sì un uomo del popolo, ma forse proprio per questo capace di vivere una vita in cui l’essenziale è cogliere l’attimo, godendo appieno di ogni sensazione ed emozione che ci viene data. Impossibile non notare che, sebbene i due personaggi siano una coppia anziana, in realtà i loro comportamenti siano più assimilabili a quelli infantili. Una comunicazione fatta di bigliettini, che spesso non serve veramente a comunicare, ma solo a infastidire l’altro, i dispetti portati avanti come una sorta di sfida; questi atteggiamenti non sono quelli che ci si aspetta da due adulti con il loro carico di esperienze. Nonostante questo e nonostante l’evento che potremmo definire la classica “goccia che fa traboccare il vaso” è indubbio che un legame si crea tra Marguerite ed Émile. Tant’è vero che quello che potrebbe essere lo scioglimento, quando cioè Émile lascia la casa di Marguerite, è in realtà solo un momento; dopo quindici giorni infatti Émile fa ritorno a casa, turbato dalle continue apparizioni della moglie davanti alla locanda in cui si è trasferito. Forse è un legame malato, fatto di pietà, paura della solitudine e odio quello che Simenon mette in scena, ma senza dubbio reale e autentico nella sua drammaticità. Nel finale non si può non rimanere con l’amaro in bocca, perché l’odio che ci descrive l’autore si presenta sì come qualcosa che causa uno scontro, ma anche come qualcosa che in maniera inevitabile unisce, lega, fino a diventare quasi l’unica chiave di lettura possibile della vita. La storia viene racconta con un focus orientato maggiormente dalla parte di Émile, dove si alterna il presente e il ricordo di episodi passati. Il ritmo della narrazione non cala mai durante l’intero romanzo, tra ciò che è detto e ciò che è solo lasciato intendere, tenendo il lettore incollato al libro. Foto tratte da: foto dell’autore
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Febbraio 2023
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