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4/8/2021

Il morbo. Una cronaca del 1770

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di Lorenzo Vanni
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Questa è una letteratura che osa. Lo fa nelle forme sperimentali che adotta e prendono l’aspetto di un dialogo intorno ad un medesimo tema; inquadriamo un anno nella storia, il 1770, e intorno al carico di aspettative e di contraddizioni legate al suo essere un’epoca di transizione costruiamo un coro di voci che, come in un dramma greco, circondano l’azione principale definendola ed esprimendo un giudizio al riguardo.
L’ambientazione del romanzo “Il morbo” (pubblicato da Graphofeel) di Stefano Valente, laureato in Glottologia e lusitanista specializzato in traduzione dal portoghese, è quella di una piccola città (o forse un semplice villaggio) nel nord Europa chiamata Lille Havn, con echi scandinavi, forse danesi. A Lille Havn si verifica un fatto insolito: colpita dalla peste polmonare, la popolazione ha un’esperienza comune nei deliri che precedono la morte vedendo un vascello al largo della città. Sul vascello si trova una figura molto simile al Cristo dell’immaginario comune che chiede al moribondo di forgiare i chiodi con cui sarà fissato alla Sua croce.
La visione è comune a tutti in quella città e la voce si diffonde suscitando la curiosità di molti: tra questi c’è anche un certo Thorvaldsen, che redige una cronaca puntuale di quei fatti costituendo la fonte principale da cui attinge il narratore per raccontare quanto è accaduto.
Lille Havn è il fulcro intorno a cui ruota l’intero romanzo. Potremmo idealmente rappresentare il romanzo come un vortice, con un centro immobile (il fulcro, appunto) mentre tutto il resto ruota. Il centro è rappresentato da Lille Havn che vive di una propria narrazione cristologica e una malattia affrontata secondo una prospettiva teleologica come parte di un piano divino; la parte rotante del vortice è costituita dall’andare e venire di voci esterne a Lille Havn che parlano dell’epoca contemporanea per poi tornare sempre lì a Lille Havn cercando di definire quell’evento razionalmente inspiegabile.
Come dicevamo, l’anno è il 1770 e siamo in pieno Illuminismo. L’Europa abbraccia interamente lo spirito che vuole la Ragione al di sopra di tutto; c’è stato Diderot con la redazione dell’Encyclopédie e c’è stato anche Voltaire. L’Europa è pronta a mettersi alle spalle l’oscurantismo religioso, pronta a superare il pregiudizio e la superstizione attraverso l’applicazione rigorosa della ragione. Lille Havn inizialmente è un laboratorio dove poter osservare che cosa è in grado di fare la Ragione applicata correttamente: la convinzione è che la città sia uno degli ultimi resti di una mentalità antica spazzata via dalla storia perciò l’opera da intraprendere è quella di riconvertirla in una come tante altre di quel secolo.
L’opera, tentata inizialmente dal dottor Pauli, fallisce e la città viene sostanzialmente abbandonata a se stessa. Tuttavia, nei discorsi dei potenti e di persone comuni, quel nome, Lille Havn, rimane a indicare qualcosa di misterioso e incomprensibile e così tutti continuano a parlarne.
Ogni esposizione è di fatto una variazione sul tema del rapporto tra ragione e superstizione, tra scienza e fede. Al di là di quanto la cultura ci può dire, non esiste un’opposizione netta tra le due a meno che il proprio obiettivo non sia quello di darsi una struttura fondata sull’ordine; se si vuole invece rispecchiare quel che la natura ci dice, dobbiamo accettare che esiste una parte incomprensibile di noi stessi e che fa leva sul nostro bisogno di protezione come esseri umani. La Ragione, come la fede, è un’ottima àncora di salvezza.
Che cosa sappiamo quindi di noi stessi? Poco, se non quel che preferiamo credere. Sappiamo che siamo capaci di grandi cose, realizzate per mezzo della ragione; sappiamo allo stesso modo che la parte inconoscibile di noi stessi ci fa tornare a essere animali spaventati in una grotta. L’Illuminismo ha messo tutto questo da parte, fingendo che non esistesse e quel che la Ragione non poteva spiegare veniva considerato di scarso interesse. Ovviamente Lille Havn diventerà una città illuminista come tante altre, rimane da domandarsi se quanto vissuto nella parte finale del libro da Dona Beatriz de Bragança corrispondesse alla verità o fosse parte di un delirio. Ma questo è un dubbio che per l’economia del romanzo deve rimanere, probabilmente perché certe domande non possono che rimanere inevase. Il dibattito tra ragione e superstizione continua.

Foto di copertina gentilmente concessa dalla casa editrice          ​

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