di Lorenzo Vanni Se c’è qualcosa che i nostri tempi inquieti di pandemia ci hanno insegnato è che la ricerca scientifica, e la medicina nello specifico, non può essere lasciata ai margini. È necessario che venga compiuto uno sforzo prima di tutto finanziario per fare in modo che una macchina fatta di esperti troppo spesso trascurati torni ad essere centrale.
A questo però deve essere aggiunto un tassello del mosaico che verosimilmente fa la differenza. Il saggio divulgativo di Antonella Viola, immunologa che abbiamo imparato a conoscere in questi due anni, si intitola Il sesso è (quasi) tutto. Evoluzione, diversità e medicina di genere ed è pubblicato da Feltrinelli. La tesi del saggio è questa: dovendo tornare ad una gestione ordinaria dell’ambito medico è bene tenere presenti quelle evidenze scientifiche che si sono rivelate importanti durante la pandemia e che in passato venivano sottovalutate e che sono sintetizzabili nell’espressione di “medicina di genere”. Ma procediamo per gradi. Il libro è diviso in due parti: la prima fa un quadro generale di cosa si intende per sesso in ambito scientifico, da un punto di vista evolutivo e psicologico per poi passare alla descrizione della differenza che esiste tra sesso biologico, orientamento sessuale e genere senza trascurare i casi limite, come nel caso di persone non-binarie. La seconda parte è interamente dedicata alla medicina di genere, che si interessa alla cura della persona riconoscendo nell’individuo di un sesso caratteristiche fisiche e reazioni diverse agli stessi farmaci previsti per l’altro sesso. Negli anni, la gran parte dei farmaci che sono stati prescritti e delle terapie che possono essere adottate nel trattare casistiche specifiche sono stati formulati dando per acquisito che uomini e donne avessero le stesse reazioni. O, per meglio dire, che gli studi preliminari effettuati su donne mostrano un’eccessiva variabilità dovuta a differenze sostanziali dagli uomini e quindi il processo di ricerca diventa molto più complesso. Antonella Viola presenta quindi dati relativi alle patologie più diverse mostrando come quello che la maggior parte di noi sa al riguardo (per esempio, i sintomi di un infarto) si applichi in realtà solo agli uomini. Le differenze possono essere anche grandi e si sono notate in scala più ampia nel caso dei contagi da Covid in seguito al quale le donne in un primo periodo sono state le più colpite, ma con maggiore probabilità di sopravvivenza rispetto agli uomini. Se vogliamo fare in modo che la ricerca medica sia inclusiva è necessario riconoscere il modo in cui i sessi reagiscono alle stesse cure. Ma non solo: ogni paziente è portatore di una propria storia che coinvolge la sua storia, il suo ambiente sociale, il suo censo; a parità di ogni altra condizione (età e sesso principalmente) è l’estrazione sociale a fare la differenza. Quindi lottare per l’inclusività nella medicina significa riconoscere l’unicum che rappresenta ognuno di noi. È anche una sfida che lanciamo al futuro, nonché a noi stessi. Fonti immagini: Ibs.it
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Maggio 2023
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