di Agnese Macchi Che belli i tappeti del Pakistan! Colori, forme geometriche, motivi ripetuti, sono dei capolavori, davvero dei bellissimi pezzi d’arredamento. Nelle tessiture si cerca di rendere il prodotto di massima qualità: per intrecciare quei minuscoli filini e ricavarne minuziose fantasie servono piccole ed agili manine, sono perfette quelle dei bambini. Chi è accecato dal business può davvero pensare che sia lecito renderli schiavi. Francesco D’Adamo ci racconta la storia di Iqbal, uno di quei bambini, venduto al signor Hussain Khan dalla famiglia indebitata, per 16 miseri dollari, costretto a lavorare incatenato al telaio, per il suo essere ribelle. La voce di Fatima, 12enne e coetanea di Iqbal, racconta come questi bambini fossero costretti a lavorare tutto il giorno, con una dose di cibo insufficiente e in pessime condizioni igieniche. Il padrone della tessitura, Hussain, è un uomo spregevole e le piccole manine dei bambini sono ferite dal duro lavoro, alle volte questo dolore sembra loro normale, molti non si ricordano neanche della loro vita prima della tessitura. Ci sono bambini di 3, 4 anni che iniziano a tessere e non hanno memoria delle loro manine illese, che toccano la morbida superficie di una mamma. Iqbal non vuol accettare questa condizione, non è capace di abbassare la testa per la paura di fronte alle urla del signor Hussain, Iqbal dentro di sé ha il fuoco della rivoluzione e un giorno taglia un pregiatissimo tappeto appena terminato, in nome di quella fiamma accesa dentro di lui. La notte, quando a quei bambini si presentano orribili incubi, Iqbal scaccia via i brutti pensieri con la fantasia, sogna ad occhi aperti con i suoi compagni, spera un giorno di poter giocare libero con loro, sulla cima di una collina correndo fra mille variopinti aquiloni. Nella testa di quel bambino che freme di rivoluzione, il pensiero di vedere i suoi piccoli compagni felici e liberi diventa un obiettivo, una meta da raggiungere, ad ogni costo. Con l’aiuto di Fatima, Iqbal tenta più volte la fuga e una volta fuori da quell’inferno riesce perfino a partecipare a una manifestazione contro la schiavitù minorile. Riesce ad attirare l’attenzione della polizia, che però una volta giunta alla tessitura, di fronte alle bugie di Hussain, rimane impassibile e lascia i bambini impotenti di fronte alla loro crudele sorte. Iqbal viene sbattuto nella “tomba”, un luogo buio e freddo in cui non è concesso bere e mangiare: è così che sarà punito per quello che ha fatto. Nella tomba si sente la morte seduta di fronte, immerso nel buio e nella fame Iqbal è allo stremo delle sue forze, nella sua tasca è riposta l’ultima speranza, un volantino stropicciato di quel movimento contro la schiavitù minorile.
Il fuoco di Iqbal si è fatto più tenue, ma qualcosa lo tiene ancora in vita. Iqbal fugge per un’ultima volta, raggiunge l’esponente di quel movimento liberale e grazie a quest’ultimo riesce a denunciare ciò che avveniva nella tessitura del signor Hussain. Iqbal ha scacciato via il nero destino che lo accomunava ai suoi piccoli compagni, la sua tenacia li ha resi liberi, quei bambini hanno potuto veramente correre liberi su una collina con l’aria tra i capelli. Ci vorrebbe un Iqbal per ogni tessitura, ci vorrebbe più coscienza nella mente dei consumatori e non dovrebbe esistere una parte sbagliata del mondo in cui nascere. La storia di Iqbal può insegnare tanto, in un paese come il Pakistan gli è costato molto caro essere un ribelle, ma è così che si combattono le ingiustizie e si insediano i cambiamenti. Finiamola di ignorare quello che succede oltre la curvatura dell’orizzonte, cerchiamo nel nostro piccolo, per quanto possibile, di mettere fine a realtà disumane come questa. La storia di Iqbal è un invito alla riflessione, oggi vi invito a riflettere. Immagini tratte da: Iqbal Masih, da Wikipedia Italia, By Aneladgames - Own work, CC BY-SA 4.0, voce "Iqbal Masih"
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Maggio 2023
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