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25/2/2017

Jean Cocteau e la trilogia sul mito di Orfeo

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“Quello che il pubblico ti rimprovera, coltivalo: sei tu!”
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di Ludovica Delfino

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Regista e sceneggiatore, poeta e drammaturgo, pittore e saggista francese, Cocteau attraversa l’intera gamma delle espressioni artistiche del Novecento, traendo il meglio da tutte le avanguardie dell’epoca, introiettandole e rielaborandole.

Sperimentando i molteplici movimenti artistici, Cocteau afferma tuttavia la propria singolarità sottraendosi al conformismo delle mode, tenendo fede ad un’idea di poesia, come cifra di stile che si irradia nella visibilità dell’opera per mostrarne il lato “invisibile” e irreale.

Trascorre l’infanzia, segnata nel 1898 dal drammatico e misterioso suicidio del padre, in un ambiente raffinato che gli trasmette la passione per le arti tanto che a soli diciannove anni pubblica la sua prima raccolta poetica “La Lampe d’Aladin”.

È presto al centro di una rete d’amicizia che comprende figure di rilievo come Picasso, Colette, Stravinskij, Edith Piaf, Gide, Proust e Raymond Radiguet, celebre poeta morto prematuramente di tifo col quale ha una relazione intensa e tormentata.

Cocteau non fa mai mistero della sua omosessualità, nonostante le brevi relazioni avute anche con donne, ostentando la propria libertà, ergendosi al di sopra delle convenzioni di una società che disprezza e sbeffeggia : “L’istinto di quasi tutte le società è di rinchiudere chiunque sia davvero libero. Per prima cosa, la società inizia col cercare di picchiarti. Se questo fallisce cercano di avvelenarti. Se anche questo fallisce, finiscono col caricarti di onori”.

Uno dei tratti più innovativi della produzione di Cocteau concerne il suo particolare approccio all’opera artistica: prende parte attiva alle sue creazioni, non abbandona mai fisicamente e mentalmente il suo lavoro, resta sempre celato dietro qualche battuta o pennellata di colore.
La scrittura è poesia e il poeta è colui che sogna di oltrepassare i miseri limiti umani.

In un’intervista sul film “Le Testament d’Orphée” dice chiaramente di non amare il “poetico” ma la Poesia “qui se fait tout seule et dont on se s’occupe jamais”( che si crea da sé e della quale non ci si occupa mai), quella poesia che sorge quasi spontaneamente dall’anima dell’artista.

Intorno all’opera di Cocteau vi è spesso un’aurea di mistero, una dimensione mitica, fuori dallo spazio e dal tempo.
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La scrittura per lui è sempre “mitografica”, ossia una riscrittura dei propri miti individuali che riecheggiano e convergono. Ha conferito un’importanza eccezionale al Mito d’Orfeo, identificandosi pienamente con questo personaggio eroico, colui che fece il timoroso passo nell’aldilà.

Intorno alla figura di Orfeo ruota infatti la trilogia che comprende una piece teatrale “Orphée”, e due film “Orphée” “Le Testament d’Orphée”, dove il tema orfico è legato all’idea di discesa iniziatica nelle profondità del proprio essere “sa nuit intèrieure”( la sua notte interiore). A tal proposito, il poeta deve essere quindi “archeologo della sua notte” e deve far riemergere a un livello conscio tutti quei reperti sotterranei appartenenti all’Inconscio. Come Orfeo che discende nell’Inferno per riportare Euridice alla luce del giorno, anche il poeta, suo doppio, deve accedere a una dimensione che va oltre l’umano, la “zone”, un luogo a-spaziale e a-temporale in cui i personaggi entrano attraverso lo specchio, mitico intermediario letterario.

Il poeta infatti non può compiere questo viaggio senza l’aiuto di intermediari; da qui la necessità di figure chiave come lo specchio appunto, ma anche la Morte, l’Angelo Heurtebise, il cavallo, l’autoradio, tutti mezzi che gli permettono di muoversi agevolmente da un mondo all’altro, dall’aldiquà all’aldilà.

Il viaggio di Orfeo è strumento di metamorfosi e rinascita, e si può accostare a quella scienza che Dalì definì “fenixologia”: la capacità del poeta di morire molte volte e poi risorgere dalle sue stesse ceneri.

Nel film “Le Testament d’Orphée” la fenixologia è alla base del percorso del poeta, il quale deve vivere diverse vite e attraversare diversi momenti spazio-temporali prima di raggiungere la dea Atena. Deve poi portare con sé un fiore d’Ibisco donatogli da Cègeste che, risorto dalle acque marine afferma “questo fiore è fatto del vostro sangue, sposa le sincopi del vostro destino”.

Nell’ultima scena il fiore caduto a terra si trasforma nella carta d’identità di Cocteau, a significare una sorta d’identificazione tra il fiore e l’artista. Tuttavia Cocteau non diede mai alcuna spiegazione a riguardo, non ha mai voluto che le sue immagini venissero razionalizzate o spiegate; ed è proprio in questo mistero che sta il fascino dell’artista: rimane tutt’oggi un’enigma da svelare e le sue opere geroglifici da decodificare.
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Immagini tratte da:

Immagine 1 - http://thepinksnout.com/2014/07/05/jean-cocteau-anniversary/
Immagine 2 - http://www.albertine.com/events/jean-cocteau-a-life/
Immagine 3 - http://the-artifice.com/death-jean-cocteaus-orphee-dantethe-divine-comedy%EF%BB%BF/

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2 Commenti
Endimione
11/8/2019 18:03:54

Quella d'Orfeo è una buona stella sotto cui nascere.

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27/11/2020 11:47:29

Lee got the clothes all dirty because of the wind. I clean the range every week without skipping

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