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1/9/2021

Jonathan Bazzi: limiti e doveri della letteratura

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Su un recente dibattito nato tra giornali e social
di Tommaso Dal Monte

​Cosa distingue un articolo di giornale da un racconto? Questa domanda potrebbe riassumere l’acceso dibattito nato intorno a Jonathan Bazzi, scrittore classe 1985 famoso soprattutto per il romanzo autobiografico Febbre (2019), con cui si è classificato tra i finalisti del Premio Strega 2020.

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Ma andiamo con ordine. Oltre ad essere un romanziere, Bazzi collabora con alcune testate giornalistiche ed è molto presente sui social, dove si è sempre mostrato vicino alle rivendicazione della comunità LGBTQIA+ e ad altre tematiche impegnate. Un personaggio positivo, insomma, sulla cui nettezza morale nessuno dubiterebbe. Questo fino a domenica 22 agosto, quando, nel supplemento di «Domani», il quotidiano per cui Bazzi scrive da qualche tempo, esce un testo a sua firma intitolato Lascio a voi la body positivity. Io voglio solo essere magro. Il supplemento, intitolato «DopoDomani», raccoglieva una serie di racconti, ma il layout di questi ultimi era in tutto e per tutto identico a quello dei normali articoli. Di conseguenza, chi si imbatteva nel pezzo – soprattutto nella versione digitale ‒ non aveva le informazioni paratestuali per considerarlo un testo di narrativa, e vi si approcciava pensando di leggere un pezzo d’opinione, uguale ai molti già pubblicati da Bazzi.
Dopo le prime righe, però, i dubbi si dissipano e un lettore attento capisce di trovarsi di fronte ad un testo narrativo, come suggeriscono l’uso marcato dell’aggettivazione, l’andamento drammatico e digressivo, il parossismo di certe posizioni sostenute dal narratore autodiegetico – cioè che parla di sé in prima persona ‒, un personaggio grassofobico, anoressico e che desidera continuare a perdere peso.
Subito dopo la pubblicazione e la diffusione sui social del racconto, sia a Bazzi che a «Domani» sono arrivate numerose critiche, manifestate anche in una lettera inviata alla redazione e pubblicata i giorni successivi. Queste erano incentrate principalmente su due punti: il paratesto suggerisce di leggere il testo come un articolo d’opinione; il testo è potenzialmente dannoso. Aggiungo una postilla, secondo me rimasta implicita: Bazzi è un ipocrita perché sui social si mostra in un modo mentre nella realtà è in un altro. I giudizi avanzati dai lettori sono utili per estendere il discorso dal caso singolo alla visione odierna dei doveri e dei limiti della letteratura – e ad alcuni fraintendimenti.
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​Il problema della contestualizzazione è quello più evidente, e in parte lo abbiamo già descritto. In effetti, non ci sono indizi paratestuali che indicano il genere letterario a cui il testo appartiene e, in assenza di segnali chiari, un lettore crede di leggere un articolo di giornale. Come spiegava il narratologo Gérard Genette nel suo Soglie, il paratesto è portatore di significato tanto quanto il testo, perciò un errore nella costruzione del paratesto porta a inevitabili difficoltà di interpretazione dell’opera. Il titolo stesso (Lascio a voi la body positivity. Io voglio solo essere magro) contribuisce ad aumentare la confusione, sia perché il sintagma “body positivity” allude a un tema caldo del dibattito online, sia perché l’uso della prima persona nel titolo, così decontestualizzato, sembra mettere al centro l’autore. Entrambi questi elementi, infatti, rimandano a un tipo di scrittura giornalistica ‒ incentrata sull’attualità e dove chi scrive esprime direttamente il proprio punto di vista ‒ e accentuano inevitabilmente lo spaesamento del lettore. Bazzi ha dichiarato che il titolo è stato scelto dall’editore, ma il controllo di tutti gli elementi paratestuali dovrebbe essere di competenza autoriale, tanto quanto lo è la sostanza del testo, perché entrambi determinano il significato e indirizzano un certo tipo di lettura. La critica di questo aspetto è quindi più che legittima e condivisibile.
Più problematico è invece il giudizio morale sul testo e sull’autore. Anche quando risultava chiaro di trovarsi di fronte a un racconto, a molti non è piaciuto il romanzamento dell’anoressia e l’atteggiamento grassofobico, entrambi discriminatori e dannosi per un pubblico suscettibile e, magari, invischiato in quelle stesse dinamiche. Questo senso di immoralità risultava poi accentuato dal fatto che, come detto, la figura mediatica di Bazzi è vicina a tematiche eco/gender/body friendly: oltre all’immoralità, quindi, anche l’ipocrisia. Nel caso specifico del racconto, il rischio di attribuire le idee espresse dal narratore/protagonista all’autore era anche accentuato dal fatto che il personaggio letterario era costruito come un alter ego dell’autore, con cui condivide l’orientamento sessuale e la passione per lo yoga. Tecnicamente si dovrebbe parlare di autofiction – come si dovrebbe fare per Febbre – cioè quel genere di autobiografia falsificata, in cui non dobbiamo prendere il testo come una vera confessione autoriale, ma considerare autore e narratore/protagonista come due entità distinte, portatrici di punti di vista autonomi. Tuttavia, appellarsi all’autofiction potrebbe anche essere un semplice pretesto per esprimere visioni del mondo estreme, senza però assumersene piena responsabilità ‒ come invece un giornalista è tenuto a fare.
Come capire, allora, il modo di approcciarsi al testo e giudicarlo in modo appropriato? Rispetto a un pezzo d’opinione o di cronaca, il racconto di Bazzi utilizza il pretesto dell’anoressia per parlare di un dilemma più profondo, cioè il conflitto tra desiderio e sua dannosità. Il narratore è un personaggio tormentato perché comprende che la propria ossessione è sia condannata socialmente che fisicamente nociva, ma non può respingerla con un atto di volontà. Le conclusioni a cui arriva colgono un problema reale, ma il narratore non vuole certo essere preso come modello: suscita più un senso di pena che un moto identificativo. Limitare l’analisi del testo ad un giudizio morale, basato su un livello superficiale di lettura, è una scelta lecita, ma che non coglie lo strato più profondo del racconto. Se infatti un testo saggistico o giornalistico vuole essere criticato essenzialmente per le proprie idee, un testo narrativo può accogliere qualsiasi nefandezza a patto che essa sia parte di una struttura formale impeccabile, dove i livelli si tengono tra loro e i singoli elementi hanno delle interpretazioni ulteriori. Un articolo di giornale non sarebbe stato costruito in questo modo: i suoi obiettivi sarebbero stati informare (ma servirebbero dati che in Bazzi sono assenti) o esprimere nella forma più piana possibile un’opinione, senza lo spessore che presenta il testo di Bazzi e che lo identifica come un testo narrativo.
Per la letteratura non è importante il grasso o il magro, ma salvaguardare lo spessore.

Immagini tratte da:
Immagine 1 da Profilo Facebook Jonathan Bazzi 
Immagine 2 da it.mashable.com

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