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31/8/2019

La chimera (1990)

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Di Lorenzo Vanni​
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In quanti modi si può raccontare la Storia? Si potrebbe rispondere provocatoriamente che esiste una versione diversa per ogni scrittore che si cimenti nell’impresa. La verità è che è diventato estremamente difficile essere veramente distaccati dalla propria epoca e questa riecheggia, in modi più o meno diretti, in quel che si scrive. Rileggere la Storia è un atto sovversivo: significa dare una interpretazione del passato alla luce di quanto il progresso filosofico e sociale è riuscito a realizzare. Il sovvertimento è ancora più grande se applicato ad un’epoca che storicamente si classifica come una delle più religiose, la presenza di Dio costante almeno nella retorica dominante e nei modi in cui si organizza la propria vita quotidiana. L’operazione di Sebastiano Vassalli (1941-2015) è questo, una rilettura del passato, e in tale ottica deve essere affrontata la sua opera più importante, vero e proprio capolavoro, La chimera (1990).
   Vassalli si inserisce nella linea dei “trasvalutatori di valori” à la Nietzsche, osservando uno scetticismo di fondo che non cessa mai di avvolgere le pagine del suo romanzo vincitore del Premio Strega 1990. Dato l’argomento della trama, il primo riferimento letterario sarebbe la Storia della colonna infame (1843) di Manzoni, ma è chiaro che ambientando un romanzo nel Seicento ci si trova a doversi confrontare con i Promessi Sposi (1840). Sia in La chimera che nei Promessi Sposi si trovano episodi di violenza popolare e superstizione che spesso riguardano scene centrali per la narrazione, ma ci sono delle differenze: in Manzoni le scene in cui è presente questo genere di violenza sono rilette alla luce della Divina Provvidenza e perdonate, ma in Vassalli il centro della narrazione ruota intorno al fatto che la Divina Provvidenza non sia una giustificazione sufficiente. Manzoni è disposto a perdonare il popolo, Vassalli lo condanna senza possibilità di appello.
   Per Vassalli non potrebbe non essere così. In un secolo in cui le più grandi forme di autoritarismo hanno ricevuto il vasto consenso di popolo, dopo che in suo nome sono stati compiuti i più terribili stermini appagando un istinto forcaiolo primordiale, era impensabile che il giudizio sul passato restasse neutrale. Era impossibile pensare, soprattutto, che la macchia del Novecento fosse un’eccezione in una storia positiva del genere umano; Vassalli, anzi, vuole dimostrare con questo suo romanzo come il Novecento non sia stato un caso, ma la chiara dimostrazione di che cosa possono fare l’odio, la superstizione e la violenza quando questi assumano una forma politica ben organizzata.
   Vassalli sembra dunque affermare, in tono perentorio, che il popolo non è vittima, ma il principale operatore del male. Quei sentimenti che hanno assunto forma politica nel Novecento esistono da sempre e sono alimentati tra gli strati più bassi della società; il ricorso alla Divina Provvidenza era solo un modo per rendere il tutto più accettabile.
   Il presente modifica il passato e permette di leggerlo in una luce diversa. Vassalli interviene di tanto in tanto nel testo per fare confronti tra la realtà del tempo e quella attuale, ma sulla vicenda principale racconta e basta, senza filtri, senza Dio che attenui la responsabilità dei veri carnefici. Quando arrivato alla fine del romanzo tira le somme e ci spiega che cosa ne è stato dei diversi personaggi, Vassalli cita Dio, il personaggio in disparte che potrebbe dirci le ragioni del tutto, del prima e del dopo, ma non lo fa per il futile motivo che non esiste. Dio non è morto perché non è mai esistito.   
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Immagini tratte da:
​- 
https://www.amazon.it/chimera-Sebastiano-Vassalli/dp/8817081507
- https://www.scuolazoo.com/info-studenti/news/laddio-a-sebastiano-vassalli-non-solo-scrittore-ma-anche-professore-amato/attachment/sebastiano-vassalli/

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