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18/4/2020

La fine del mito dell’Impero e i suoi echi nella letteratura inglese di oggi

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di Lorenzo Vanni
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Quando nel Regno Unito si era tenuto il referendum per l’uscita dall’Unione Europea siamo stati tutti colti di sorpresa nel constatare che i leavers avevano prevalso. Ci sembrava inspiegabile che un paese potesse decidere di ritirarsi dalla UE dopo aver condiviso decenni di pace e considerandoci fratelli (almeno in astratto). A ben osservare però la storia recente del Regno Unito e in particolare dell’Inghilterra aveva trovato una forte eco nella letteratura prodotta a cavallo del passaggio di secolo. Se c’è una sensazione che tutti gli inglesi più rigidi hanno avvertito tra gli anni ’90 e i primi Anni Zero era che l’idea tradizionale di Impero, tramandata da secoli e fissata nella storia della letteratura, stava venendo meno. I responsabili della disfatta del mito erano molti.
Partiamo dall’inizio. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, avevano cominciato a prendere piedi movimenti politici interni alle colonie che una volta formavano il Commonwealth, quell’unione politica ed economica di cui esse facevano parte; entro la fine del secolo del Novecento, molte delle precedenti colonie erano riuscite a ottenere l’indipendenza dalla madrepatria a partire dall’India nel 1948.
Fu da qui che ebbe avvio quel fenomeno letterario noto come letteratura postcoloniale nel 1981 con la pubblicazione di I Figli della Mezzanotte di Salman Rushdie. Una storia indiana, un romanzo di mole considerevole e una cultura altra che veniva fatta rientrare nella letteratura inglese per il solo fatto di essere scritta in inglese, nonostante il testo fosse cosparso di culturemi (così sono chiamati in ambito traduttivo i termini intraducibili da una lingua all’altra e che sono precipui della cultura di partenza). A partire da Rushdie sono stati numerosi gli scrittori e le scrittrici che hanno fatto grande questo genere di letteratura: Aravind Adiga, Jhumpa Lahiri, J.M. Coetzee, Peter Carey, Mohsin Ahmid, Zadie Smith ecc. Tutti provenienti da diverse aree del mondo e tutti riscrivendo l’inglese arricchendolo con tratti idiomatici e prosodici specifici della propria regione di appartenenza.
Chiunque fosse cresciuto con il mito dell’impero si sentiva comprensibilmente disorientato e scandalizzato nel vedere che la propria lingua veniva così imbastardita ; di più, era la conclamata fine dell’impero a manifestarsi con piena chiarezza. Da un punto di vista letterario, se in passato lo scrittore era stato maschio, bianco e rigorosamente occidentale da quel momento in poi cambia tutto. Nel post-colonialismo gli autori delle colonie scrivono contro l’impero e contro l’Inghilterra. Da qui a incolpare gli immigrati provenienti da ogni angolo del mondo di essere il male assoluto per l’Inghilterra il passo era brevissimo; e accadde una ventina d’anni prima del referendum del 2016.
Gli anni ’80 dicevamo. Erano gli anni dell’AIDS, dell’omosessualità di cui veniva riconosciuta finalmente l’esistenza senza che questa portasse alla carcerazione, eppure i pregiudizi verso la sottocultura gay erano moltissimi e nessuno di loro avrebbe mai potuto mostrarsi in pubblico per quel che era. Il clima era quella di una silente accettazione; tutti sapevano che esisteva l’omosessualità, tutti sapevano che esistevano luoghi dove questa era ammessa e dove i gay potevano incontrarsi. Di tutto questo poco traspariva all’esterno e in ogni caso nell’élite l’atteggiamento era di liberale tolleranza, che aveva tutta l’aria di essere una facciata di perbenismo. L’autore di riferimento è Alan Hollinghurst, attivo a partire dal 1988, che nel suo capolavoro La Linea della Bellezza racconta proprio questo: pregiudizi, tolleranza, politica all’interno di una famiglia alto-borghese al tempo di Margareth Thatcher. Scritto nel 2004, ci dice che quei tempi di perbenismo non sono realmente finiti, ma in forme subdole permangono tutt’ora. In direzione diversa, ma sposandone la causa, va Sarah Waters specializzata in romanzi di ispirazione ottocentesca dove vengono ripresi i testi vittoriani cambiando il sesso dei protagonisti e proponendo una versione in cui tornano i temi tipici di certa narrativa omosessuale e femminista in particolar modo. Ladra ne è un esempio: Waters innesta l’Oliver Twist di Dickens all’interno di una struttura alla Jane Eyre, rovesciando stereotipi di genere e dando un’altra possibilità alle eroine.
Per chi è cresciuto con il mito dell’impero non solo il maschio, bianco e occidentale era diventato un’eccezione, ma addirittura anche la sua eterosessualità veniva messa in crisi. Non solo, veniva detto che la società nella sua impostazione tradizionale era oppressiva e una donna poteva solo ribellarsi; i figli del Sessantotto lo facevano in massa.
La colpa di tutto questo era dell’Europa, secondo i cultori del mito dell’impero? No, ma aveva favorito la diffusione di quanto già in passato si era affermato anzi ne aveva accelerato la crescita in modo esponenziale. La soluzione del problema era uscire dall’Unione Europea. Si potrà poi dire che esistevano cause economiche e politiche soggiacenti di cui sappiamo poco, e sarà sicuramente vero. Ma la molla, quella che aveva fatto votare leave anche a chi viveva nelle campagne lontano dalle metropoli che a malapena sapeva che cosa fosse l’Europa, era questa. Le questioni economiche e politiche riguardano solo Londra.

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