«Fu mia madre a farcelo sapere che era stato assassinato e ha chiamato mio fratello minore e me in camera sua. Stava molto male di cuore credo già da molto e ci ha semplicemente chiesto se sapevamo cosa voleva dire la parola ‘assassinio’. E abbiamo risposto di sì. E credo io avevo sette anni e mio fratello Andrea sei. Poi mi ricordo con le vestagliette siamo tornati in camera. Poi non ricordo niente». ![]()
Parigina di nascita, emigrante in Svizzera e, successivamente, negli Stati Uniti, divisa tra gli studi in Inghilterra e brevi soggiorni in Italia: solo una piccola parte della difficile e tormentata esistenza dell'ultima poetessa delle viscere e non della penna, capace con la sua poetica di fondere premesse biografiche a un bisogno inconciliabile di sperimentazione, è racchiusa in questa premessa.
Un episodio tragico segna la vita della piccola Amelia: all'età di sette anni, il padre Carlo e lo zio Nello, appartenenti allo schieramento antifascista, fondatori del periodo clandestino liberal democratico Non Mollare e sostenitori del movimento di Giustizia e Libertà, vengono uccisi in un’imboscata organizzata dalle squadre fasciste. Da questo episodio scaturisce la poetica del lutto di Amelia: la sua poesia, fatta di flashback e lapsus, non è altro che l'estremo tentativo consapevole di una bambina, lacerata nell'anima, di stabilire con il padre un difficile, ma improbabile, ponte: colmare, con le parole, il vuoto lasciato da Carlo e dallo zio Nello, cercando briciole del suo amore in un ricordo straziante. La poetica di Amelia si traduce, pertanto, in una riproposizione senza pudore del proprio vissuto: il suo struggente amore, la sofferenza del suo sentire, la scissione dell'io non sono altro che gli ingredienti essenziali della sua poetica del lutto. L'immagine del corpo, ricorrente in particolare in Variazioni Belliche, non è altro che il ricordo, inconscio, della morte del padre «tu eri il mio re debolissimo io la sua regina di sangue, tu sei il mio re debolissimo imbrattato di porpora». Il re ucciso, quindi debole, è il padre assassinato che giace a terra in un lago di sangue. Con la morte di Carlo inizia la difficile vita da “rifugiata”: i continui viaggi tra l’Europa e gli Stati Uniti - figlia della guerra, apolide cosmopolita, “confinata” in diversi paesi perché perseguitata politica – non solo incidono profondamente sulla già labile personalità di Amelia creando problemi di identità «Non sono apolide, «sono di padre italiano e se sono nata a Parigi è semplicemente perché lui era fuggito […] perché era stato condannato per aver fatto scappare Turati», ma anche sulla sua poetica fatta di surrealismo sospeso tra bilinguismo e trilinguismo. In Dialogo in tre lingue emerge questa lacerazione dell'io, la scissione quasi totale della personalità - causata dall'assenza di identità e dai continui lutti mai somatizzati - che si ritrova, a livello linguistico, nel continuo gioco da parte di Amelia di parole e suoni che fanno saltare non solo la sintassi, ma l'integrità stessa dei segni. La metalingua di Amelia non è altro che un senso di fedeltà a se stessa, al proprio vissuto culturale, un marchio – forse l'unico – della sua precaria identità: la lingua del padre assassinato, l'estremo tentativo di ridar voce a chi non poteva più parlare. Prima di Variazioni Belliche, con cui si conclude il trilinguismo e prevale l'italiano (eccezion fatta per Sleep), tutta la produzione di Amelia è una continua alternanza di inglese, francese, e italiano. «La goutte qui coute (-ecoute) la lune sale qui sale», “Marionravic”, la fusione del nome della madre con l'aggettivo francese, non è altro che un assaggio della complessità e dell'enigmaticità della poetica di Amelia, sono solo un piccolo assaggio delle continue sgrammaticature rese attraverso un abile distorsione dei suoni «Petite notion authobiographique nécessaire/ auto bio proport/ sionel gravitationel/elisionel/ del esiles a la terible legende des coupes – a – mort en 17 pieces» (l'amaro ricordo dell'efferattezza del delitto dello zio e del padre, colpito da 17 pugnalate e altrettanti colpi di pistola). La fitta intelaiatura di lapsus, che finiscono per ricreare un mondo in cui suoni, allitterazioni e un'accurata scelta lessicale ricreano un mondo sospeso tra l'immaginario della morte e colpi di rivoltella, si ritrovano anche nelle celebre frase «if I were a town towering or a tower bloody against a sky fit for birth, if I were a Japanese I might ask you why fit a fight with you fist in it», in cui è evidente il richiamo alla morte del padre reso dal gioco di parole town – towering e tower così come tra fight, fit e fist.
Già sofferente a brusche oscillazioni dell'umore (insonnia, scatti d’ira e esaurimenti nervosi)” – , le condizioni psicofisiche di Amelia si aggravano drammaticamente dopo la morte della madre e dell'unico confidente, grande amico, Rocco Scodellaro. La diagnosi di dimissione, schizofrenia paranoide, non è altro che il risultato dell'incapacità di giungere a quelle “materne praterie”, a quel mondo salvifico in cui sperava nel lontano 1986 durante una gita alle dolomiti: «un giorno, in mezzo alla prateria, Amelia disse che sarebbe bello se ci fosse una sorta di immortalità, se le anime potessero vagare a piacimento e incontrarsi. La sua anima avrebbe scelto di volare da cima in cima, di posarsi sulle materne praterie. Poco dopo, ci parlò della madre, della propria difficoltà a ricordarla sana, perché dopo la tragedia la sua malattia di cuore si era aggravata e in pochi anni l'aveva condotta alla morte. Disse che la madre aveva voluto che lei e i fratelli vedessero la salma del padre, colpito da 27 pugnalate. Lei aveva soltanto sette anni».
Ecco allora la Amelia asceta, religiosa, colei che vede, nelle “materne praterie”, un mondo utopico, un mondo senza guerra proprio come dovrebbe essere il rapporto dei figli con la madre e con il padre. Il rapporto con la madre, fatto di assenza, viene raccontato amaramente dalla stessa Amelia nell'Epistolario Familiare. Ricorda Marion come insufficiente, nel senso winnicotttiano del termine, di affetto nei suoi confronti (la presenza di “care” e “holding” rimarcano una madre deficitaria negli affetti), tanto che alla nascita era un peso per entrambi i genitori «gran delusione». La morte di Marion simboleggia, un po' come la Silvia leopardiana, la fine delle speranze: quel sottile filo che la legava alla vita si spezza, lasciandole un vuoto incolmabile come una bara. Una Rosselli “sacerdotessa”, scissa nell'anima e sempre più dedita alla trasmissione di una gnosi esoterica, inizia a nascondere nelle sue poesie (si veda Variazioni Belliche) il proprio dolore personale. L'instabilità psichica, accentuata dalla triplice identità culturale e linguistica, una e trina, si traduce nella sua tarda poetica in un estremo tentativo di ritagliarsi la propria lingua – unico mondo di appartenenza – , un modo per bucare l'involucro della propria solitudine e sentirsi parte del mondo. Quello di Amelia è un corpo poetico distopico, fatto di ridondanze, di lapsus, di cortocircuiti semantici, di adiacenze e di infermità, legate ad una pratica trilingue che non trova, apparentemente, un baricentro. Questa poesia surreale, ai limiti del non sense, acquista significato solo se compreso il suo you want the cube e il suo nuovo percorso poetico a partire da Variazioni Belliche: la volontà di iscrivere la poesia dentro un principio, spezzando da una parte uniformemente il ritmo e fornendo dall'altra l'idea di uno spazio che si riempe sino al suo limite - lasciando grazie all'enjambement vuoti che riflettono la sua condizione di solitudine -, non è altro che la ricerca di saldezza mai avuta nel corso della propria vita (il cubo rimanda, a livello simbolico, all'assolutezza e al divino). Variazioni Belliche, pertanto, è il risultato di anni di sperimentazione, anni in cui tenta ripetutamente di tradurre la molteplicità dei tratti morfologici in un disegno unitario e coerente.
Fonti:A.Casadei, Poetiche della Creatività, Milano, Mondadori, 2011
A.Rosselli, Le Poesie, Garzanti 1997, Milano S.De March, Amelia Rosselli tra poesia e storia, L'ancora del Mediterraneo, Napoli, 2006 A.Baldacci, Amellia Rosselli, Laterza, Milano, 2007 E.Campi, Il colpo di coda: Amelia Rosselli e la poetica del lutto, Saya editore, Milano, 2016
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Febbraio 2023
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