di Lorenzo Vanni Viene dal Canada la nuova sensazione letteraria che ha già conquistato gli editori di ben trentaquattro paesi: è Ashley Audrain, in passato addetta all’ufficio stampa della divisione canadese della Penguin Books, che esordisce con un romanzo intitolato La Spinta e pubblicato in Italia da Rizzoli. Il romanzo racconta di una maternità e di un rapporto madre-figlia che, lontano dallo stereotipo dell’allegra famiglia felice, dipinge un quadro complesso e a tratti inquietante definendo in modo inedito la figura della madre. Blyhte è apparentemente una ragazza come tante altre e niente fa pensare che dentro di lei possa esserci un passato familiare traumatico. Quando avrà una figlia, Violet, il rapporto che avrà con lei sarà ambiguo: da un lato c’è l’insicurezza dell’essere madre e di prendere decisioni sbagliate ogni volta in cui deve occuparsi di lei, mentre dall’altro c’è l’ipotesi che la figlia non sia chi sembra a prima vista: non una piccola creatura innocente, ma una bambina consapevole delle debolezze degli altri che sfrutta a suo vantaggio senza preoccuparsi che questo provochi sofferenza in chi le sta intorno. Questo è evidente agli occhi di Blythe, senza però ignorare tuttavia che il suo giudizio sulla bambina può essere falsato dalla propria storia personale: una storia familiare in cui è implicato il suicidio della nonna e l’abbandono di Cecilia, la madre di Blythe. È possibile per il lettore pensare che in realtà sia tutto frutto della mente della protagonista che osserva e vive le cose in modo distorto. Il punto di vista è quello di Blythe che racconta rivolgendosi a un tu che corrisponde al marito con tutte le sue aspettative sulla maternità derivate anch’esse dal rapporto che egli aveva avuto da piccolo con la propria madre. Così facendo è anche il lettore a sentirsi tirato in causa; quel you è inizialmente anche un dito puntato verso di noi che leggiamo e abbiamo aspettative su che cosa debba essere una madre e invitandoci a giudicare se noi, in quella situazione, saremmo stati ineccepibili come pretendiamo che le madri debbano essere. Perché il centro di tutto il romanzo è che cosa significa essere madri quando una donna sente di non essere in possesso dell’istinto materno che si dice ogni donna possegga e si riveli al momento del parto. E in questo c’è una componente strettamente psicologica che emerge in modo netto nel testo; poi però c’è altro. C’è che spesso si ha la sensazione che Violet in alcuni momenti corrisponda effettivamente all’immagine che si crea Blythe in testa. Blythe è un personaggio complesso perché pur essendo in ogni situazione una persona come le altre, esce destabilizzata dal confronto con le persone che le dovrebbero essere più care; ma soprattutto perde il proprio equilibrio, già precario a dire il vero, quando Violet spinge il passeggino del fratellino di pochi mesi in mezzo alla strada prima di venire investito da un’auto che passava in quel momento (questa è l’impressione che ha lei). Il resto del romanzo è un’elaborazione del lutto che mette in crisi definitivamente la famiglia di Blythe. Il romanzo è quindi una costruzione che si muove tra il dramma familiare e il thriller psicologico, ma la caratteristica principale è che gli eventi che dovrebbero essere più destabilizzanti vengono presentati come esiti naturali dello svolgimento della storia. Quel che sappiamo solo dopo un buon numero di pagine è che l’io narrante non è mentalmente stabile, o almeno non lo sembra in modo palese, e quindi non abbiamo neanche la certezza che quanto raccontato corrisponda alla realtà. Questo dubbio rimarrà fino alla fine. L’esordio di Ashley Audrain è stato pubblicato contemporaneamente in trentaquattro paesi e i diritti sono stati opzionati per lo schermo. Immagini tratte da: https://www.libreriatasso.com/product-page/la-spinta-di-ashley-audrain https://www.thestar.com/entertainment/books/2019/07/10/meet-ashley-audrain-the-toronto-author-who-has-the-publishing-world-buzzing.html
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Maggio 2023
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