Un titolo che a loro non piacerebbe di Cristiana Ceccarelli Ad Appino, cantante e chitarrista degli Zen Circus, parlare di anima non è mai ispirato. Però a volte, quando le cose sembrano trascendere il palpabile, un nome a questo qualcosa di inafferrabile deve pur essere trovato. E se, come lui, anche a voi non piace appellarvi a questa misteriosa entità che si nasconde dietro al sipario del corpo, potete anche sceglierne un altro; ma spesso non ci sono alternative così simbolicamente potenti. Non a caso, una delle loro canzoni più note è l’Anima non conta. Stiamo parlando degli Zen Circus, una delle band indipendenti italiane più longeve, e del loro primo romanzo Andate tutti affanculo, scritto in collaborazione con Marco Amerighi, autore pisano vincitore del premio Bagutta Opera Prima nel 1982. È questo un libro antibiografico, come scrive la band su Instagram, che di biografico ha tutto, che di anti ha le avversità sopportate negli anni dell’ascesa, un antagonismo forte soprattutto dell’autodistruzione che questi ragazzi riversavano a se stessi.
Il romanzo ripercorre infatti la storia del gruppo, trovando l’incipit negli arbori della passione musicale del cantante (Andrea Appino), per poi disbrogliarsi e allacciare le vite di tutti quelli che nell’orbita Zen sono finiti, compresi, ovviamente, gli altri due componenti: Massimiliano UFO Schiavelli e Karim QQRU. I personaggi però son tanti, e tanto di diverso ciascuno di essi ha contribuito a iniettare nello scheletro della band: tempra, resistenza, delusione, speranza; ogni più piccolo evento sembrava non avere soluzione se non quella di completarsi e viaggiare verso un fine più grande: la musica. Sempre e solo quella; nient’altro era ed è più importante, bene ammetterlo. Il primo concerto, i primi cd autoprodotti, le prime influenze dei grandi gruppi rock e punk, le sbronze, le droghe, la vita di provincia che si nutre di questa nuova cultura underground arrivata anche in Italia dopo quasi un decennio di assestamento estero: questo il contesto nel quale l’idea del gruppo prende forma. Un contesto che non felice del ruolo di mero sfondo, caparbio, sempre prendere a volte il sopravvento; una provincia che non perdona, che soffoca, ma che, al tempo stesso, non si può non amare. E questo mix crea quella pluralità di cause ed effetti che contraddistingue anche la musica degli Zen Circus. Una musica inquieta ma goliardica, profondamente leggera. Questa nuova ondata generazionale, tra vecchi ideali da rendere nuovi e novità che sembrano già vecchie, tra tanti sbagli e schiaffi in faccia, con la droga a basso costo e l’alcool come miglior Orfeo consolatore, colpisce anche i tre componenti e sembra possedere come prima caratteristica un’ inquietudine estrema che sembra non voler scollarsi, e che rappresenta a volte la condanna finale altre, la spinta a farla fuoriuscire con tutta la potenza che le è propria: un modo è proprio la musica. Gli Zen sembravano cercare il loro posto, il loro senso, sapendo già che ce n’era sempre stato un solo. Un solo senso e un forte estremo bisogno di libertà, che fa alternare eccessi a disperazione, e che trasforma la rabbia in note, urla e sussurri, che trasforma la realtà in musica, la fuga in sfogo. La loro musica parla della vita, la loro, la nostra, che poi è la stessa cosa. Ed è bello vedere come il loro ritmo si ripercuote nelle righe, come il plettro ne incida le armonie, il basso la storia e la batteria la velocità: loro sono in questo libro; ed è bello conoscere i retroscena delle canzoni che ascoltiamo e amiamo, vedere come la musica li influenzi in tutto: scoprire la storia del tatuaggio del parroco, del rapporto con i genitori e dei loro incidenti che portano a scrivere e cantare, che portano inevitabilmente alla musica come sfogo, ma anche come locus di elaborazione e comprensione. Questo è un libro da vivere per immedesimarsi nelle storie, sentire le canzoni più vicine e capire un po’ le influenze che il gruppo ha avuto durante il periodi di nascita e sviluppo: Violent Femmes, Sonic Youth, Nirvana, Queen e molti altri che hanno segnato questi ragazzi che dalla provincia non si sono fatti inghiottire ma l’hanno abitata per partire e poi ritornarvi. E’ un libro che fa anche scoprire un genere musicale e la potenza della sua contraddizione, degli stridii e forzature. La musica degli Zen parla della vita che spesso sembra non poter essere scelta, che fa accartocciare e soffrire e che regala felicità sporadiche lenitive. Una musica per fissare la vita per sempre e poi, lasciarla scorrere di nuovo.
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Febbraio 2023
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