di Cristiana Ceccarelli L’assassinio del commentatore, libro secondo, metafore che si trasformano di Murakami Haruki, seguito del primo libro, mantiene l’anonimato del protagonista; ancora scopriamo i suoi più remoti ricordi, la sua parte più oscura ma non ci è dato conoscere il suo nome. Questo secondo libro, che potrebbe apparire e in effetti lo è, più lento dell’altro, non è che il viaggio del protagonista dentro sé stesso, un viaggio che deve concludersi con la chiusura del cerchio, dove tutto è iniziato. Gli eventi particolari che suscitavano sorpresa sono adesso abitudine per il pittore, che li ha ormai accettati quale prolungamento delle realtà; e proprio in una realtà seconda sarà costretto ad andare, per sfidare le proprie paure e fare pace con i più primitivi istinti. Come suggerisce il titolo, il libro come la vita, come tutto il mondo intero non è altro che la costruzione metaforica attraverso un oggetto o evento per spiegarne un altro. Tutto è correlazione. “Una bellissima metafora può rivelare le possibilità nascoste in ogni accadimento. Come un bravo poeta riesce, in un paesaggio, a vederne uno più e più vivo, e a farlo riaffiorare. La metafora migliore, inutile dirlo, è anche la poesia più bella. Lei non deve mai perdere di vista il paesaggio nuovo, diverso”. In questo mondo ciò che ci lega quindi è principalmente questa differenza univoca di base che si tramuta in visioni e comportamenti differenti; persone diverse che ugualmente vedono cose che l’altro non può vedere, ed è questa la ricchezza che il libro ci vuol raccontare. Con un pittore che magistralmente incarna l’accettazione dell’altro senza la perdita di sé stesso o della coscienza delle cose: capisce e osserva, pensa ma non giudica. E le metafore come gli uomini hanno luci e ombre, cambiano e si sviluppano, crescono e diventano più ampie e belle, crescono e diventano più malvagie, dipende solo da come scegli di guardare il mondo. Tutto assomiglia a qualcos’altro e nessuno può sapere cosa sia vero in termini assoluti: è vero ciò che crediamo tale, e ciò che crediamo si materializzerà sul cammino per averlo pensato vero. Ecco allora che scene e vicende surreali assumono in Murakami il tono dell’inevitabile oggettività, tanto che il lettore, immerso come è nella storia, non riesce più a pensarle come impossibili ma solo come realtà magiche che capitano solo a chi ha il coraggio o la fortuna di cercarle o imbatter visi; insegnando così a guardare oltre, a non credere unico ciò che fino ad adesso abbiamo incontrato. La vita del pittore infatti scorre come sempre, tra le visite di Masahiko, amico dall’università, e figlio di Amada Tomohiko, pittore famosissimo di cui occupa la casa, di Menshiki, il particolare vicino di casa, di Marie, cui sta dipingendo il ritratto, dell’amante e i pomeriggi alla scuola di arte. Anche le visite del Commendatore uscito dal quadro di AT sembrano ormai abitudinarie, tanto da suscitare una certa preoccupazione se tardano a manifestarsi. Marie però un giorno scompare e il pittore si incaricherà di un viaggio estremo nella realtà delle metafore per salvarla, e alla fine salverà soprattutto sé stesso. E’ in questa occasione che il quadro di Amada Tomohiko L’assassinio del commendatore si presenterà nel mondo reale per concludere una parte del destino cui i due pittori erano protagonisti e vittime, in una camera di pensione di lusso dove finalmente il pittore più anziano potrà trovare la pace; liberandosi dei segreti che come macigni gli avevano condizionato l’esistenza. In Murakami una piccola idea sotto le spoglie di un personaggio di un quadro, alta 60 centimetri, convive nella quotidianità con una colazione e una passeggiata; in una narrativa al limite della fantasia, ma così palpabile e onesta nella descrizione e offerta dei sentimenti che non potrebbe essere più reale; e ancora, lo straordinario sembra più accettabile della realtà stessa. Ma è proprio questo il punto, non tanto inventare un altro mondo quanto dilatare quello presente, far riflettere sulla realtà che ci circonda e che forse non conosciamo così bene come crediamo. Perché deve essere una situazione del genere fantasia? Chi può affermare che questi aspetti non esistano già nella nostra realtà? Anche in questo libro la ripetitività delle affermazioni e dei pensieri altro non fa’ che confermare l’effettivo svolgersi del pensiero umano, che tende a ripetere e poi seppellire nell’inconscio quelle parti più caratteristiche dell’esistenza di ognuno. Questo secondo libro propone una visione forse più cruda del primo, in cui gli eventi riescono a smuoversi reciprocamente per far fuoriuscire anche la parte più oscura che soggiace in ogni uomo; una parte che esiste a prescindere e che abbiamo paura di accettare come reale. Una parte, come l’altra, fatta di idee e pulsioni che compongono l’uomo e lo creano nella sua totalità, che si manifesta impertinente quando non si riesce più a ricordare qualcosa legato alla felicità, e che si rivela necessaria per poter poi superare noi stessi e andare avanti. E le idee sono vere e sono nostre, le nostre idee ci rappresentano e ci guidano. E noi immaginiamo, ideiamo tutti i giorni e per questo viviamo. Le domande si ripresentano: quanto ciò che immaginiamo ci fa vivere? E quanto ciò che viviamo ci fa’ immaginare? Quanto è labile questo confine? Davvero esiste? Quando è vero quello che riteniamo reale? E quanto è reale il possibile? Credo che questo libro si possa riassumere con questa concezione: “Non ho bisogno di inventarmi niente, la realtà ha già tutto quello di cui ho e non ho bisogno per pensare, scrivere e vivere mille stati diversi al giorno. Ciò che percepisco è talmente ampio e profondo che basta a sé stesso e a me, basta a riempire tutti i pensieri di cui sono capace. La realtà è già abbastanza fantastica per me da non permettermi di inventarne altre; è già fantasia.” Immagini tratte da foto dell'autore
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Febbraio 2023
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