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18/5/2018

“Le Case del malcontento” di Sacha Naspini

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di Eva Dei
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Alcuni l’hanno paragonato a Spoon River, lui stesso la settimana scorsa al Salone internazionale del libro di Torino ha citato come sui autori di riferimento Bianciardi e Cassola; in realtà credo che “Le Case del malcontento” (Edizioni E/O) di Sacha Naspini sia uno di quei romanzi che difficilmente si riesce ad associare a qualcos’altro. Originale, avvincente, spietata questa è la storia che in circa 450 pagine l’autore ci mette davanti. La scrittura, lo stile è quello a cui Naspini ci aveva già abituato in alcuni sui precedenti romanzi da L’ingrato (Edizioni Il Foglio) fino a I Cariolanti (Eliot Editore): una scrittura in cui fanno incursione venature dialettali e l’intercalare di una lingua toscana forse un po’ rurale, attaccata al suo territorio.
Anche le sfumature sono varie: dal giallo al gotico, dal realismo al caricaturale, anzi per meglio dire al grottesco, fino alla favola nera. Ma di favola il racconto di Naspini ha poco, almeno non di quel tipo che i genitori racconterebbero ai loro bambini: sì perché con i suoi personaggi l’autore mette a nudo molte delle pieghe dell’animo umano, quelle che spesso teniamo più nascoste, e quello che ne viene fuori è spesso un’umanità con ben poca speranza di redenzione.
Naspini riesce a portare avanti la storia conducendoci esattamente dove sceglie lui, dove mai ci aspetteremmo. Capitolo dopo capitolo si avvicendano voci diverse, soltanto alcune si ripetono. Sono le voci degli abitanti di Le Case, un borgo immaginario che Naspini colloca nell’entroterra di fronte a Follonica, vicino Roccastrada. Nelle prime pagine è tracciata la mappa di questo borgo (che su ammissione dello stesso autore ricorda quella di Roccatederighi): vicino a ogni casa un nome. Proprio questi nomi ritornano come titolo di ogni capitolo, accompagnati dal ruolo che i compaesani hanno dato a ciascuno. In questo modo, solo per citarne alcuni, Adele Centini è la “vedova Isastia”, Adelaide Franci è la “malata” e Samuele Radi il “mostro”; come se ciascuno potesse essere ridotto soltanto a un’etichetta, a un ruolo. Invece i personaggi delle Case sono talmente originali da sembrare inizialmente forse un po’ troppo particolari, ma pagina dopo pagina ogni singola storia, ogni tratto, si inserisce in un disegno più grande, come se ogni tassello andasse a comporre un puzzle. Sì perché la storia di ognuno è inevitabilmente, come spesso accade nei paesi, legata a quella dell’altro; e lo è non solo nei legami, ma anche nel modo stesso in cui l’esistenza dell’altro detta il modo in cui ciascuno conduce la propria. Forse il paragone più corretto da fare è quello con gli scacchi (elemento centrale e simbolico per tutta la narrazione) perché come diceva il padre del Maso nel gioco degli scacchi “c’è dentro tutta la vita”. Ogni personaggio è come un pezzo che si muove su una scacchiera. C’è chi tradisce, chi viene tradito, chi si finge qualcuno che non è, chi è perseguitato dal passato, chi non può sperare in un futuro, chi è morto ma vive l’esistenza di un altro, chi non sente, ma ascolta meglio degli altri e quasi tutti pensano di celare segreti che invece non sono mai abbastanza nascosti.
La scacchiera in cui si muovono è Le Case, questo borgo antico, scavato nella roccia, afflitto da terremoti, ferito dall’esplosione del pozzo Camorra a Ribolla. Le Case è un personaggio o forse è il vero protagonista: sembra un mostro trasformista che abbaglia quando si è giovani, per poi rivelarsi nella sua vera natura quando ormai è troppo tardi per sfuggire dalle sue grinfie. Un mostro, proprio come piace immaginarlo a Clara, “ma è lui a mangiare i suoi abitanti? O in realtà sono loro a sbranarlo a poco a poco?”. In effetti dietro ogni porta si celano segreti, miserie, vendette e sofferenze che nutrono Le Case o che forse lo avvelenano:
 
“Ogni sasso è pregno di un male che ormai è sceso nel cuore della rupe, e ora più che mai mette in piazza tutta l’essenza: un paese con un prete morto, tenuto a imputridire senza mezza benedizione. Ecco spiegata l’anima del borgo”
 
Probabilmente Naspini con Le Case è riuscito a rendere quell’essenza dell’essere toscani che Curzio Malaparte riporta così in uno dei suoi testi più famosi: “i toscani hanno il cielo negli occhi e l’inferno in bocca”. Ma Le Case non nasce dal niente nella mente dell’autore: in alcuni dei suoi romanzi precedenti, i già citati I Cariolanti e L’ingrato, alcuni scorci, alcuni personaggi avevano già preso forma. Non resta che chiederci se Le Case c’è sempre stato o se anche in questo caso sono stati alcun personaggi, alcune storie, a definirlo a poco a poco. Avremo la possibilità di chiederlo all’autore venerdì 25 maggio in occasione della presentazione organizzata dalla Libreria Fogola di Pisa che si terrà alle ore 18:30 presso il Chiostro della Chiesa del Carmine.
Foto tratte da:
https://www.edizionieo.it/book/9788866329268/le-case-del-malcontento
Foto dell’autore

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