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Eurialo e Niso, celebre episodio tratto dal libro V-IX dell'Eneide, costituisce uno dei passi più belli di amicizia fra due giovani. Riprendendo il celebre episodio della gara tra Odisseo, Aiace Oileo e Antiloco, i due personaggi virgiliani fanno comparsa durante la gara di corsa svoltasi nei giochi in onore di Anchise, il defunto padre di Enea. Il poeta latino riprende il tema dell'amicizia che lega due guerrieri e che li unisce in modo indissolubile nella solidarietà militare e nella ricerca di gloria. Il profondo legame affettivo emerge nel libro IX «un solo amore li univa, uniti correvano in guerra», in cui Virgilio tratta della decisione abbastanza egoistica di Niso di anteporre l’amicizia per Eurialo alla propria stessa vita e all’interesse del popolo. Al verso 205, il più prudente, saggio e esperto dei due cerca di dissuadere invano l'amico dall'impresa di raggiunge Enea, che si trova nella città di Evandro, per informarlo degli eventi intercorsi.
A differenza del poema omerico, i due troiani non sono due capi, come Ulisse e Diomede, ma due guerrieri di una condizione militare meno elevata, spinti solo dal grande desiderio di gloria che li nobilita. Odisseo, quintessenza dell'astuzia e Diomede, incarnazione del coraggio, riescono a compiere la strage, a ottenere le informazioni e a tornare sani e salvi nel campo acheo mentre la spedizione di Eurialo e Niso è destinata a fallire soprattutto a causa dell'età giovane e dell'inesperienza di Eurialo. La frase «Causas nequiquam nectis inasis, nec mea iam multata loco sententia cedit» (“Invano macchini inutili cause né la mia idea ormai, cambiata di posizione, si ritrae”) è emblematica di come Eurialo, il più anziano tra i due, riesca a percepire i rischi dell'impresa affrontando la decisione di prendere parte alla “sortita notturna” con realismo e con piena consapevolezza di ciò a cui va incontro, mentre Niso va allo sbaraglio con un'incoscienza tipica degli adolescenti. Di derivazione virgiliana e staziana è il celebre episodio di Cloridano e Medoro, esemplato sulla spedizione di Eurialo e Niso al campo dei Rutuli, descritta in Eneide IX, 176. Quasi identico è l'episodio in cui i due Mori si inoltrano nel campo cristiano e fanno strage dei nemici, come fanno Eurialo e Niso tra le file dei Latini; simile anche la fuga, in cui Cloridano/Niso credono di avere accanto Medoro/Eurialo che invece sono rimasti indietro per ragioni diverse (il primo goffo a causa del peso dei trofei saccheggiati e il secondo appesantito nel trasportare il corpo del re Dardinello). L'intertestualità tra i due testi è evidente nel capitolo XIX, 166, 1-2 de L’Orlando Furioso: «Cloridan, cacciator tutta sua vita, di robusta persona era et insella» è, infatti, un rimando al capitolo IX, 176-178 dell'Eneide «Nisu […] acerrimus armis, Hyrtacides, comitem Aeneae, quem miserat Ida Venatrix, iaculo celerem levibusque sagittis» (“Niso […] fortissimo in armi, figlio di Irtaco, che l'Ida ricca di caccia aveva inviato come compagno di Enea, veloce nel lancio e nelle frecce leggere”). Differente, invece, la minore epicità del testo ariostesco che, in alcuni passi, assume un carattere quasi tragicomico: la spedizione di Cloridano e Medoro è quasi grottesca (non conoscono la strada, si perdono nell'oscurità) e la strage viene compiuta in un campo di soldati cristiani ubriachi e addormentati. La stessa espressione «del canto mio piglia diletto» potrebbe essere letta allora come un invito da parte dell'Ariosto a “divertirsi”. Sulla scia virgiliana anche la coppia staziana di Opleo e Diamante, presente nel decimo libro della Tebaide. Stazio, a differenza degli altri poemi epici, inserisce l'impresa all’interno di una sortita notturna ben organizzata riprendendo da Omero l’aspetto tecnico-militare dell’assalto notturno. Innovativa la scelta di natura anti-cavalleresca, dove l’impresa si configura immediatamente come “fraudolenta”: Capaneo, infatti, si rifiuta di prendere parte a un’operazione così antieroica. Anche Ariosto mette in discussione la legittimità di tale sortita ma, a differenza della Tebaide di Stazio, le regole di cavalleria non sempre valgono in guerra.
Per quanto riguarda il finale del testo virgiliano, Niso, tradito dal bagliore della luna, dal bagliore emanato dall'elmo di Messapo e appesantito dalle spoglie del nemico, viene ucciso dai nemici. Luna, traditrice e salvifica, consente da una parte a Opleo/Diamante di trovare il corpo del re defunto, dall'altra rivela al nemico la presenza dell'eroe virgiliano. Mentre in Virgilio la luna non ha una funzione benevola in quanto alla fine i due ragazzi muoiono, nell’Orlando Furioso questa ha una chiara funzione protettrice. Diversa, invece, l'interpretazione del Tasso, con l'elmo che consente a Tancredi di riconoscere Angelica sul campo di battaglia. Quasi identico il finale del testo staziano e ariostesco: allo stesso modo dei due sareceni che, spinti dal senso di fedeltà al signore (tipico del mondo cavalleresco) fanno di tutto per non abbandonare il loro signore, Opleo e Diamante provano un amore fraterno per il loro re, scegliendo la morte pur di non rivelare informazioni sul loro esercito. Medoro addirittura, dopo essere stato soccorso da Angelica, decide di non lasciare il campo di battaglia prima di aver dato sepoltura a Dardinello e all'amico Cloridano, dimostrando ancora una volta la sua fedeltà a entrambi.
Immagini tratte da: http://playngodissea.blogspot.it/2013/01/il-ricordo-di-agamennone-clitennestra-e.html?m=1
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Febbraio 2023
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