Nel nostro del' 500, in un panorama di fermento per quanto riguarda le riflessioni sul concetto di traduzione - esporre il senso del testo, compiere una parafrasi o una riscrittura, andando a cogliere sfumature e significati non presenti nella “versione” originale – prendono vita le volgarizzazioni dell'Eneide. A partire da questa triplice visione del concetto di traduzione si susseguono Niccolò Liburnio (1534) che nella sua versione del IV libro dell’Eneide si attiene a una interpretazione del testo, ricercando una corrispondenza, quanto più “esatta” possibile, tra latino e volgare e il Dolce, che ibrida il testo andando nella direzione della metafrasi.Queste interpretazioni del concetto di traduzione si ripercuotono nell'utilizzo della forma metrica: nel corso del XVI secolo si passa dal verso eroico e l'endecasillabo sciolto, tipico del Liburnio, al verso libero del Domenici, che dedica l'opera agli stimatori del volgare, al testo fedele in ottava rima dello Zoppio, fino ad arrivare al Cerretani che, seguendo il proemio proposto dall'Ariosto, prende le distanze dal testo virgiliano proponendo una “riscrittura del testo” fatta di tagli e aggiunte.
Proprio il modello ariostesco sarà, per molti volgarizzatori, un modello di riferimento per tutto il '500. Il proemio dell'Orlando Furioso, che riprende l'Eneide virgiliano nella resa dell'Arma virumque cano, pone l’attenzione sull' io poetico allo stesso modo del poeta romano. Ariosto, nell'incipit del proemio «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto» recupera il modello petrarchesco degli amori e quello carolingio/arturiano dei cavalieri che risulta da subito preponderante su quello virgiliano delle armi. Il primo verso, tipico esempio di chiasmo, lega le donne agli amori e i cavalieri a l'arme. Ariosto, fondendo questi due temi, li inserisce in chiave cavalleresca e, distaccandosi dai poemi precedenti pieni di eroismo, cerca di mitigare questi due aspetti (l'amore e le armi) con il tema dell'illusione, dell'inganno, dell'errore, del dubbio e della follia. Ecco allora giustificato il richiamo al mondo cavalleresco nella traduzione del Cambiatore: il «vir», reso con il titolo nobiliare di «barone», richiama il proemio dell'Orlando Furioso. La traduzione del Vasio, poco fedele al testo virgiliano, mostra, fin dall'incipit, numerose discrepanze da quelle del Cambiatore: lo «iactatus», reso dal volgarizzatore di Reggio con «fuggendo», è ben diverso dal suo significato originale, “scacciato”. «Obiram memorem», connesso all'ira di Giunone, l’antagonista divina di Enea, viene tradotto con «scrivere nelle carte del cuore» che, unito alla prolessi «Che sua sposa divenne», conferisce al testo una dimensione meta-narrativa, anticipando al lettore che Lavinia diventerà moglie dell'eroe troiano.
Il pastiche in ottava rima tra Iliade e Eneide, intitolato Achille e Enea, di Ludovico Dolce (1568) costituisce uno dei più grandi esempi di modernizzazione del poema: sebbene «l'arme gli errori e le fatiche io canto» sia un chiaro rimando all’Ariosto e alla tradizione cavalleresca (reso meno evidente dall'uso di «errore» al posto di “amore”), l'impiego di immagini, l'adozione di un titolo diverso da quello originale e la scelta di far morire l'eroe troiano costituiscono una grande novità. La traduzione del Caro (1563) può essere considerata come la prima bella infedele dell'Eneide: in tempi molto rapidi, in soli tre anni – dal 1563 al 1566 –, rende in volgare l’Eneide di Virgilio. Il risultato del suo impegno, tuttavia, sfocia in un rifacimento, in un’opera autonoma, secondo l’egida tutta rinascimentale dell’imitatio. Lipparini, a proposito del testo virgiliano, afferma: «Delle versioni di Virgilio, quella cariana resta ancora la regina, e le sue molte sorelle venute dopo di lei potranno sì avere pregi non comuni di fedeltà e di schiettezza, maggiore aderenza al testo latino, miglior senso e intuito della poesia virgiliana; ma non giungeranno mai alla venustà e alla scioltezza della “bella infedele” e a quei vezzi che sono negati così spesso alle bellezze o arcigne o neglette». Una traduzione musicale, scorrevole grazie all'utilizzo dell'endecasillabo sciolto, che sfocia tuttavia in un testo autonomo a quello virgiliano (5556 versi in più). «L'armi canto e il valor del grande eroe» pone l'accento sull'epicità di Enea e sulle sue grandi gesta, la traduzione di «profugus», reso con «errando», rievoca semanticamente la condizione di esule, mentre lo «iactatus» viene stravolto in una perifrasi «et terra e mare perigli incorse».
Nei primi anni dell'800, Vittorio Alfieri tradusse alcuni brani dell'Eneide «L'armi canto, e l'Eroe, che dalla foce venìa del Xanto delle Lavinie spiagge» proponendo una versione “abbastanza” fedele all'originale. L'Alfieri, attento a non stravolgere lo stile, meticoloso nel trasporre, il più fedelmente possibile, le figure retoriche del testo, ricorre spesso a compensazioni per cercare il giusto equilibrio. Altra traduzione interessante dell'800 è quella di Giacomo Leopardi che, riprendendo parole e stilemi del Caro, contamina la fonte latina. Nel nostro secolo si sono succedute numerose traduzioni, tra cui quella del Vitali, in endecasillabi, quella di Cetrangolo, in versi liberi, e quella del Canali, la più famosa, forse del'900. La sua traduzione, limpida e rigorosa, «Canto le armi e l'uomo che per primo dalle terre di Troia raggiunse esule l'Italia», richiama nei suoi criteri generali quella dell'Odissea fatta da Aurelio Privitera «Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme, che tanto vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia».
Foto tratte da: www.philobiblon.org www.abebooks.it euro-synergies.hautetfort.com
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Febbraio 2023
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