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16/12/2017

Leggerezza e splendore nel teatro filosofico di  Michele Santeramo

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di Giulia Traversi
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“Leonardo, l’opera nascosta” è uno spettacolo ispirato alla vita di Leonardo Da Vinci di e con Michele Santeramo. I suoi lavori più che spettacoli sono “spunti di riflessione, spunti per una riflessione”. Potremmo banalmente pensare che la sua vocazione è simile a quella di tutto il teatro, cioè che imitando la vita e le sue brutture e ponendole davanti allo spettatore, quest’ultimo ha la possibilità di interrogarsi sulla propria condizione. Ma per i lavori di Santeramo non è così, o meglio, non è solo così. Egli è un vero e proprio maestro del pensiero, un autore di un teatro filosofico, che senza l’arroganza di doverci insegnare qualcosa, ci accompagna maieuticamente in un racconto nel quale, verità e finzione, non si distinguono più l’uno dall’altra, “Non credo basti che una cosa sia accaduta per essere vera”. Santeramo al centro della scena è solo, i gesti e i movimenti sono timidi ed eleganti, l’allestimento è semplice: un tavolo ed il copione su di esso, una sedia, alle sue spalle i personaggi raffigurati nelle bellissime illustrazioni di Cristina Gardumi (è la seconda collaborazione tra i due). Tra questi vi è l’uomo vitruviano, precisione geometrica delle forme del corpo che iscritte in un cerchio incarnano la perfezione, ma Leonardo dopo aver visto così tanto splendore, vuole correggere qualcosa che appartiene all’uomo ma che è totalmente sbagliato ed imperfetto: la morte, perché?  É semplice perché “La morte fa schifo”. 
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Ed è nella forma dialogica tra i personaggi e il protagonista che scorgiamo una scrittura filosofica che Santeramo trasforma, sapientemente, in drammaturgia originale e potente. Compaiono sullo schermo il duca (a rappresentare potere e ricchezza), il medico (la medicina e la scienza), Leonardo e Gesù (la scienza e la religione) che si interrogano sulla vita oltre la morte, ed è il Cristo a sembrare un po’ confuso: “Senti Gesù, tu mi sembra che ti arrampichi sugli specchi”. É l’antica disputa tra la ragione e lo spirituale, ovvero tra chi pensa e chi non pensa. Le scene tra Leonardo e la Gioconda (l’arte-scienza e l’arte-amore) ricordano Dorian Gray di Oscar Wilde, ma all’opposto della dannazione e dell’edonismo, l’invecchiamento per Santeramo si trasforma in amore. Leonardo e la Gioconda cercano di scoprire la segretezza di uno dei misteri più belli dell’esistenza: l’amore e l’amare nel tempo, il tempo, un titano che ci divora soltanto se iniziamo a contarlo. “Noi il tempo lo creiamo” dice Leonardo –Santeramo ed è questo a farci male. Come affermava Carmelo Bene bisogna cancellare i calendari, smettere di far funzionare gli orologi, nullificare le ricorrenze, soltanto così potremmo dimenticare il tempo, creandone uno interiore. Come potrebbe dunque il genio sconfiggere la morte? Ci prova inventando qualcosa che somiglia all’ “l’essere per la morte” (Heidegger) quest’ultima non è per noi un fatto, ma una possibilità. Leonardo inventa un luogo in cui il pensiero di diventare immortali, rende morti i vivi. Un luogo/paesaggio in cui “vivono” degli undead, che (come i loro cugini lontani zombie, vampiri, streghe) non provano più sentimenti, e quindi niente più calore umano, niente più amore, niente più sesso…niente. Ma questo non funziona. La Monnalisa diventa così il simbolo, l’oggetto ed il soggetto che rappresenta l’immortalità. L’unica possibilità per l’umanità sembra vivere l’oggi, l’adesso che “non è vivere, ma è sentirsi vivi”, smettere di pensare al “domani”. Il teatro di Santeramo, senza falsi moralismi, possiede qualcosa di antico perché è catartico e purificatore, ci pone delle domande, senza suggerirci troppo le risposte, poiché siamo noi ad interrogarci tacitamente, dentro i nostri io e le nostre coscienze. 
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Immagini tratte da:
www.teatroera.it

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