di Agnese Macchi Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati. Si tratta di un autore molto vario che dedicò tempo, ingegno e inchiostro ad indagare l’amore, la natura, il tempo, l’intera esistenza ed elaborò eccellenti pensieri sulla natura del piacere, della sofferenza, dell’ignoto, della natura stessa.
Nella moltitudine di riflessioni che il Leopardi si presta ad esporci con la sua opera, si indaga anche su quello che è e significa l’attesa. Il sabato del villaggio è un canto concepito nel settembre del 1829, composto da 4 strofe libere in cui il Leopardi dà voce al motivo di una felicità futura, che si trasforma in noia e tristezza quando infine giunge. Nel componimento si descrivono vari personaggi e la loro gioia nel giorno prima del dì di festa: ecco che si hanno una “donzelletta” che torna a casa col suo mazzolino di fiori per acconciarsi, una “vecchierella” che fila sulle scale con le vicine, ricordando i bei tempi in cui anche lei si adornava tutta in attesa della festa. Lo “zappatore” torna alla sua umile cena e, fischiando, pensa al proprio giorno di riposo; il “legnaiuol”, nella sua bottega a lume di lanterna, spera di terminare il suo lavoro prima dell’alba, per godersi la tanto attesa domenica. Cala la notte e la luna risplende in cielo, tutti si adagiano nel letto felici dell’indomani, ma si svegliano infelici dell’oggi. Per tutta la settimana si desidera la domenica, e quando finalmente arriva ci si lamenta che l’indomani sia lunedì. È un meccanismo psicologico che rifugge da ogni epoca e carattere, il piacere svanisce insieme all’attesa, ed è così per tutti. Ma se il sabato, nell’attendere, quel piacere sembra non ancora raggiunto e la domenica quando dovrebbe arrivare noi non lo avvertiamo, è così sicuro che questo piacere esista? Forse non c’è una meta d’arrivo, né una condizione del tutto appagante, o forse il piacere non è quello che ci si aspetta. Forse il piacere non è la domenica, ma il sabato sera, quando dopo una lunga e faticosa settimana sappiamo che ci attende il riposo. Siamo proiettati continuamente verso il futuro, studiamo, lavoriamo, ci impegniamo e siamo sempre preoccupati per questo. Vogliamo terminare gli studi, la stagione lavorativa, la settimana, tutto in fretta. La verità è che il tempo ci accontenta, fa passare tutto così velocemente e lo mette a tacere nel baule del passato. Il futuro diventa presente, questo in un attimo diventa passato, scappa fugace e inarrestabile, ma è l’unico momento che si ha per notare, sentire, apprezzare un qualche piacere che sia anche frivolo, minuto, impensabile. Leopardi, il pessimista per antonomasia, ci dà inconsapevolmente uno spunto in realtà molto ottimistico per apprendere l’arte del vivere bene. Ci insegna a godere del momento presente, dell’odore di un buon caffè, delle lenzuola calde la mattina, di un raggio di sole penetrato dalla finestra dritto sulla scrivania. Sono i momenti, gli attimi più microscopici e all’apparenza insignificanti, che formano tutta la nostra vita; ed è bello progettare il futuro, è bello imparare dal passato, eppure, nonostante questo, ciò che veramente ci dà spazio d’azione, è il presente ed è l’unico piacere di cui si può godere. Immagine tratta da:
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Febbraio 2023
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