di Lorenzo Vanni Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo avuto numerose visioni di un futuro inquietante, spostandosi tra media diversi dal cinema alla letteratura. L’intera letteratura mainstream per un certo periodo ne è stata invasa e le distopie sono andate a delineare un quadro sociale e, per molti versi, politico che veniva evidentemente percepito come incerto e destabilizzante. I modelli di riferimento sono sempre gli stessi imprescindibili: Brave New World di Aldous Huxley e 1984 di George Orwell. La finezza nel ragionamento sotteso all’opera di Huxley l’ha sempre resa un’opera di maggiore fascino, anche se generalmente meno conosciuta di quella di Orwell che pure di Huxley era stato allievo. Non stupisce quindi che il romanzo d’esordio di Margherita Geraci renda omaggio al maestro delle distopie con una citazione in esergo che dà il tono generale alla propria opera. Il romanzo di Geraci è Leviathan – La prima legge e costituisce il primo volume di una trilogia ambientata in Italia; è un’Italia che non somiglia in niente a quella che conosciamo, ma è divisa in due parti di cui una è opulenta, dotata di lussi e abitata da aristocratici e star mediatiche. Abitano il Leviatano, mentre chi si trova al di fuori fa parte dei Radioattivi: sono i poveri che abitano in aree desertiche cercando di tirare avanti e di sfuggire agli Avvistatori, una sorta di milizia del Leviatano che dà la caccia ai Radioattivi, detti anche non-schedati.
I collegamenti da poter stabilire sono molti: indubbiamente la divisione tra chi vive nel Leviatano e chi vive al di fuori fa pensare a riferimenti cinematografici che nello scorso decennio hanno giocato molto su questa contrapposizione. I film di Neil Blomkamp ne sono un perfetto esempio, Elysium su tutti dove si ripropone esattamente lo stesso rapporto di potere. Il fatto che l’area ricca e prospera venga chiamata Leviatano rimanda inevitabilmente alla filosofia di Hobbes: uno stato-nazione spinto all’arricchimento compulsivo da un capitalismo sfrenato (solo agli albori ai tempi di Hobbes) che ingrassa se stesso sempre di più a discapito di tutte le aree circostanti. Quella che qui viene presentata come distopia è molto vicina alla realtà in molti paesi africani dove le grandi città sono prospere con un élite di grandi ricchi e tutto intorno la povertà che domina in realtà la maggior parte del continente. Analizzando solo lo scenario di partenza abbiamo quindi una critica al sistema capitalistico, comune a scrittori come Huxley evidentemente, esponenti di un certo modo di intendere la politica. La parte centrale del romanzo è ambientata all’interno del centro di addestramento militare del Leviatano, dove vengono formati gli Avvistatori e dove viene portata Alice dopo essere stata catturata in un’imboscata. Anche in questo caso torniamo nell’ambito della filosofia per capire la struttura della parte centrale: il riferimento è ovviamente a quello che era stato definito “universo concentrazionario” per definire il funzionamento dei campi di concentramento nel trattamento dei prigionieri, e questo è enfatizzato anche dal fatto che in questo centro militare tutti sono indicati con un numero che viene loro assegnato al momento del loro ingresso. Questo centro militare ha, nell’uso che ne fa l’autrice, una doppia accezione: una che risponde alla definizione di universo concentrazionario e l’altra che, in realtà, deriva dalla prima e che consiste nell’applicazione del concetto esteso all’ambiente della prigione, in linea con il pensiero di Michel Foucault. Un centro militare dove vige la disciplina ferrea e la sorveglianza totale. Detto questo, c’è poi la componente tecnica. Margherita Geraci non sembra affatto un’esordiente, ma una scrittrice con piena padronanza dei propri mezzi, al netto di alcuni momenti fuori tono che riguardano Loris e il suo rapporto con l’espressione delle emozioni. Comunque un personaggio complesso da gestire e la cui delineazione è efficace. E ora attendiamo il seguito! Immagine gentilmente concessa dall’editore
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Maggio 2023
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