“Ho fatto un mestiere in cui, travestendomi, dimenticavo la mia modesta esistenza borghese, ho lavorato sempre per conto mio”
“Mi sta bene anche la miseria, purché mi permetta di rimanere signore. Un po’ di vino lo vuole?” Enfant terrible del teatro italiano, Paolo Poli, nato a Firenze, oltre che un grande attore di teatro, è stato una straordinaria personalità della cultura italiana che ha saputo coniugare leggerezza e profondità come pochi altri nel mondo dello spettacolo. Con uno stile unico, il volto, come lo definisce Natalia Ginzburg, “d’un soave, ben educato e diabolico genio del male”, ha portato sul palcoscenico commedie brillanti, talvolta surreali, spesso travestendosi e anticipando di decenni tendenze e costumi che si sarebbero affermati molto dopo. Debutta a teatro nel 1958 con “Finale di partita” di Beckett e riesce subito a farsi notare per la sua pungente ironia, il suo garbato istrionismo, la sua vena poetica e surreale contornata da momenti comici e giochi linguistici apprezzati anche da capocomici illustri come Tina Pica e Polidor, con i quali ebbe modo di lavorare. Paolo Poli ha vissuto, come ha ripetuto più volte, come un quasi sfollato negli alberghi della sua città, Firenze, e delle altre città d’Italia, portando praticamente ovunque i suoi spettacoli. È stato uno dei primi artisti e personaggi pubblici dichiaratamente e apertamente omosessuale in tempi difficili: “Giravo dopo la guerra in centro a Firenze a braccetto di un nero bellissimo, aveva tutti i capelli tinti di biondo, si voltavano tutti a guardarmi, le mie sorelle mi tolsero il saluto: fecero bene”. Ha sempre avuto posizioni tolleranti e anticonvenzionali anche nei confronti delle mode che riguardavano i gay: “Il bello degli amori omosessuali è la loro libertà e la loro riprovazione. Il matrimonio tra gay non mi interessa, come non mi interessa quello tra uomo e donna. Io voglio seguire l’istinto e la perversione, non tornare a casa e trovare qualcuno che mi chieda cosa voglio per cena. ‘Caro la vuoi la besciamella?’. Fuggirei subito, con un principe o con un marinaio. Chi vuole l’unione civile e l’iscrizione al registro comunale non se ne intende. Io sì.” Durante la sua carriera ha avuto merito di scoprire e riattualizzare autori secondari , è passato dai classici come l’ “Asino d’oro” di Apuleio fino a “Sei brillanti”, opera comune di sei giornaliste. Tante anche le presenze nel cinema: dal debutto con “Gli amori di Manon Lescaut”, con la regia di Massimo Costa del 1954 fino a “Felice che è diverso” di Gianni Amelio del 2014. Innumerevoli anche le presenze in televisione e gli interventi alla radio e le canzoni registrate in album, singoli e audiocassette. Cult una versione in cd di “Pinocchio” di Carlo Collodi, autore caro all’attore: “Senza peccato si muore di sbadigli e non accade niente […] Il peccato è foriero di ogni disgrazia, ma Collodi che era un genio, ha messo in ogni capitolo, in ogni puntata, uno spavento, un cattivone, un consiglio morale e una roba da ridere. Ci volevano tutti gli elementi. E lui lo sapeva”. Nel 2015 l’addio alla scena: lamentava la mancanza di serietà e denaro, e poi diceva: “Non ho più fiato, ho 86 anni. Qui c’è solo da morire, ma non ho paura della morte: quando arriva, dicevano i greci, non ci sono più io”. Il destino ha voluto che l’ultima sua apparizione pubblica avvenisse nel cuore culturale e storico di Firenze, in un indimenticabile racconto della sua vita che oggi è diventato il suo testamento artistico.
Immagini tratte da:
http://www.today.it http://www.corriere.it/spettacoli http://xl.repubblica.it/articoli/paolo-poli-intervista-al-vate-del-teatro-italiano/16612/
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Febbraio 2023
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