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28/10/2017

Premio Campiello 2017: L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio

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di Eva Dei
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Dopo numerose candidature (Premio Viareggio, Premio Strega) Donatella Di Pietrantonio si è aggiudicata lo scorso 9 settembre la 55a edizione del Premio Campiello. Il suo ultimo romanzo, L’Arminuta, ha sbaragliato la concorrenza con 133 voti su 282.
Una scrittura minima, concisa e tagliente quella con cui la scrittrice dipinge lo scenario familiare di una tredicenne abruzzese negli anni Settanta. L’io narrante ci racconta la sua storia e per tutta la narrazione non scopriremo il suo nome; sì perché l’unica cosa fondamentale è che lei è l’Arminuta, la ritornata in dialetto abruzzese.

“Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza”

Parole forti in bocca a una ragazzina, ma forti come la sua storia. Una mattina scopre che quelli che aveva sempre chiamato “mamma” e “papà” non sono i suoi veri genitori, ma dei parenti, una sorta di zii. I genitori, quelli veri, l’avevano affidata a loro quando era molto piccola, ma adesso la rivogliono con sé. O almeno questo è quello che le viene raccontato. Nella disperazione di questa sconvolgente verità, nel continuo chiedersi “cosa ho fatto di sbagliato?”, la ragazzina si trova catapultata in una nuova vita completamente diversa da quella a cui era abituata.
Lo scenario cambia: da una città sul mare si raggiunge un paesino nel cuore dell’entroterra abruzzese. Qui l’Arminuta scopre di non essere figlia unica, ma di appartenere a una famiglia numerosa: una sorella minore, un fratello minore e altri fratelli maggiori.
Le due realtà sono agli antipodi: si passa dall’italiano al dialetto di provincia, le condizioni igieniche sono ai limiti della decenza e la povertà si fa sentire nelle più piccole cose, a partire dalla difficoltà dei genitori di sfamare tutte quelle bocche.
L’impatto è brusco; la voce della ragazzina ce lo racconta in modo schietto, ma non per questo meno tragico. La solitudine, l’incomprensione, la tristezza, il senso di rifiuto ed estraneità sono sentimenti forti, trattenuti per molto tempo e quasi mai urlati, gridati; sono, però, fin da subito chiari, tanto che arrivano al lettore a ogni pagina, come uno schiaffo. Si evincono dai dettagli più semplici: l’impossibilità per la nostra protagonista di riferirsi ai propri genitori naturali come “mio padre” o “mia madre”, ma sempre e solo come “la madre” e “il padre”. Un distacco che pare insanabile verso quella famiglia così diversa, così lontana, che non l’ha voluta per tanto tempo e per cui è difficile provare affetto, amore.

“Eppure in certe ore tristi mi sentivo dimenticata. Cadevo dai suoi pensieri. Non c’era più ragione di esistere al mondo. Ripetevo piano la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.”

Quell’amore che invece prova per la madre-zia da cui si sente dimenticata e rifiutata: Adalgisa. La vera figura enigmatica di questo romanzo, i cui segreti sono i fili che tengono in piedi tutta la narrazione fino all’ultima pagina.
In questo ribaltarsi e venire meno di certezze, di punti di riferimento, l’unica alleata, l’unica ancora di salvezza, la persona da amare e proteggere è Adriana, la sorella minore. A lei l’Arminuta si riferisce fin dalla prima pagina come “mia sorella”, come a sancire fin da subito questo legame forte, viscerale con questa bambina piccola, mai vista prima, che le appare sulla porta quando viene riportata dai suoi veri genitori.

“Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci assomigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.”
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Donatella Di Pietrantonio vince il Premio Campiello 2017

Foto tratte da:

http://www.einaudi.it/libri/libro/donatella-di-pietrantonio/l-arminuta/978885842485
http://www.veneziatoday.it/eventi/cultura/vincitore-premio-campiello-2017.html

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