di Tommaso Dal Monte Q (1999) è il primo romanzo del collettivo Luther Blissett, diventato poi Wu Ming, un gruppo che fa capo ad un’associazione attiva in campo sociale e culturale, nonché protagonista di un modo alternativo di fare arte ‒ ad esempio attraverso la diffusione delle loro opere senza l’esercizio del diritto d’autore. Q ha i tratti del romanzo storico tradizionale, in cui il protagonista d’invenzione si muove in un periodo storico descritto in maniera fedele con tanto di numerosi personaggi realmente esistiti. La storia comincia nel secondo decennio del Cinquecento, dove all’Università di Wittenberg, sotto la guida di Lutero, studia il nostro protagonista. La quasi totalità del romanzo è condotta dal suo punto di vista, in una prima persona che procede sincopata tra periodi brevissimi, spesso nominali. L’austerità della sintassi ricalca la tempra dell’eroe, che a sua volta è modellato secondo la filosofia agonista dei suoi autori: prima affascinato dall’antipapismo di Lutero, se ne allontana perché troppo vicino agli interessi dei ricchi principi tedeschi per abbracciare le lotte dei poveri contro i ricchi. Il romanzo segue la vita del protagonista e si articola in tre cicli: la rivolta dei contadini sollevata da Thomas Müntzer e conclusasi rovinosamente nella battaglia di Frankenhausen; il sogno utopico di Münster, la città in cui si era instaurato un regime teocratico e proto-comunista, assediata dai papisti e infine rasa al suolo; la diffusione clandestina del libro Il beneficio di Cristo negli anni del Concilio di Trento. Il protagonista è sempre dalla parte dei perdenti, rischia più volte di morire ed è costretto a cambiare ripetutamente identità per non farsi riconoscere. L’unica ragione che lo induce ad andare avanti è il desiderio di vendetta nei confronti di Q, l’anonimo informatore del cardinale Carafa che, da Roma, coordina la repressione anti-luterana. Q è una figura centrale, tanto da meritare il titolo del libro pur non essendone il protagonista. È un frate estremamente intelligente ma anche spietato, abile ad infiltrarsi tra i rivoltosi di cui ottiene la fiducia per poi tradirli e condannarli a morte. Esso non è animato da alcun desiderio di guadagno personale, ma dalla pura convinzione di “stare dalla parte giusta”, quella di Roma, del cattolicesimo e di Carafa. Nel suo cinismo è un personaggio molto affascinante e problematizza la visione del romanzo che, per com’è costruito, porterebbe ad empatizzare esclusivamente con le idee rivoluzionarie del protagonista. Ma Q è anche il fulcro delle mie critiche al testo e, secondo me, della sua riuscita imperfetta.
Come prima cosa, nel finale, Q viene catturato dal protagonista, ma, anziché mostrarsi fedele alla propria causa fino alla morte, si avvicina agli ideali ribelli del rivale e muore poco dopo per difenderlo. La conversione serve ideologicamente a sottolineare quale sia, nel romanzo, “la parte giusta”, ma riduce la grandezza luciferina dell’«occhio di Carafa». Ma il problema del romanzo non dipende tanto dal finale stucchevole, quanto dal senso rassicurante che promana Q. Esso è sì un micidiale infiltrato e quindi una figura destabilizzante, ma di fatto tutti i principali eventi del Cinquecento dipendono dalle sue soffiate. L’effetto complessivo è rassicurante perché i massacri di un secolo di lotte fratricide, religiose e politiche ricadono sulle spalle di un unico personaggio, trasmettendo un’impressione di ordine e la percezione che la Storia dipenda dall’uomo – o, anzi, da Un uomo. Lo spirito combattivo di Luther Blissett e del protagonista del romanzo si scontra con un complottismo di seconda mano: se il nemico viene individualizzato, se non c’è un sistema contro cui lottare ma pochi individui che decidono le sorti del mondo, a cosa serve ribellarsi? Si cade così in una rassicurante paralisi. FONTI: Immagine 1: Alamy
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Maggio 2023
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