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12/1/2019

Resoconto (2014)

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di Lorenzo Vanni
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La riflessione di questo decennio sulle forme del romanzo e sul rapporto tra realtà e finzione, attraversa molte opere letterarie di questi anni. Si tratta di una riflessione che nasce dalla volontà di ritornare in qualche modo ad una forma di reale che, si sa, non potrà più essere quella che conoscevamo in passato. Non che in questo secolo il rapporto con la verità si sia del tutto rinnovato; negli anni Duemila, infatti, sono state numerose le opere in ambito anglosassone che studiavano le possibili vie per tornare ad un Assoluto del Reale, pur sapendo che il percorso sarebbe stato in salita. All’inizio del secolo attuale si era infatti conclusa una stagione di negazione della realtà (in gradi diversi) sviluppatasi in tutta la seconda metà del Novecento, e gli strumenti di cui si disponeva, a inizio Duemila, erano quelli dell’epoca postmoderna, in cui ciò che contava non erano i fatti, ma i modi in cui questi potevano essere interpretati. La tendenza, quindi, era quella di tornare alla realtà cercando, per quanto possibile, di mettere in crisi una visione del mondo che era stata dominante per circa quarant’anni.
    Quel genere di ricerca ha segnato in modo ancora più netto il 2010: in questa fase il romanzo, lasciatosi alle spalle il postmodernismo, ha cominciato a riflettere sul proprio statuto, ricorrendo alla metaletteratura e ponendosi quesiti molto seri. Uno su tutti: come fare letteratura e tornare alla realtà dopo che l’esperienza postmoderna aveva dimostrato come la verità stessa potesse essere relativizzata? E come farlo in un’epoca in cui le fake news sono all’ordine del giorno e in cui il discorso politico/filosofico si frammenta in una massa indistinta di commenti? Questi sono tutti segnali dello spostamento del postmodernismo dalla filosofia e dalla letteratura alla vita reale.
   Un romanzo come quello di Rachel Cusk, Resoconto (2014), diventa molto importante oggi in Italia perché propone esattamente questo tipo di riflessione. Il testo si compone di più voci, più personaggi parlano descrivendo la loro esperienza di vita che non ha nessuna pretesa di essere assoluta. L’effetto è quello di un lungo parlare che non dice niente, ma che nel farlo afferma qual è il ruolo della letteratura e la posizione che in essa occupa la verità: non esistendo più la Verità come assoluto, ciò che ci rimane sono tante verità relative che di per sé, prese singolarmente, non descrivono il mondo ma si limitano a mostrarcene una piccola parte. Ogni personaggio osserva la realtà dal proprio punto di vista e ne intuisce qualcosa di diverso; che cos’è quindi la verità secondo Rachel Cusk? L’autrice non sembra voler dare una soluzione a questo dilemma, ma piuttosto è come se ci volesse indicare che la realtà è un compromesso: ognuno fornisce la propria versione di una medesima realtà che esiste al di fuori di sé in termini oggettivi.
   Il riferimento letterario più esplicito è quello a Cime Tempestose (1847) di Emily Brontë, in cui la Cusk spiega quale sia il proprio rapporto con la realtà: Catherine e Heathcliff osservano da fuori una scena di vita familiare nell’abitazione dei Linton, e ognuno dei due la filtra attraverso sensibilità e umori diversi, dandone letture completamente diverse. È questa la teoria letteraria della Cusk: l’alternanza di voci rimanda a echi modernisti, a cui peraltro l’autrice non è estranea. Il suo modello più evidente è Virginia Woolf e il suo Le Onde (1931) in cui sei personaggi alternano di volta in volta i loro monologhi e la vicenda si svolge e si intuisce attraverso le loro parole.
   È interessante che questo espediente venga sfruttato in chiave postmodernista. Mentre l’intento della Woolf era più vicino al teatro sperimentale, che tuttavia si stava già avviando in direzioni che anticipavano quello che sarebbe stato chiamato postmodernismo, la prova della Cusk può essere letta come un tentativo di desacralizzare un testo che oggi ha la levatura di un classico, mostrando come il concetto di verità, ritenuto fisso nella storia della letteratura e appartenente a un passato cristallizzato, possa essere relativizzato e rimesso in discussione.
   Precedentemente avevamo suggerito che la soluzione alla rappresentazione della realtà in un contesto frammentario potesse essere un compromesso che tenesse conto delle interpretazioni dei soggetti coinvolti. Era chiaramente solo un’ipotesi, perché Rachel Cusk non offre soluzioni, ma sembra piuttosto constatare il fenomeno di relativizzazione dominante sopra descritto, e dopo essersi domandata che cosa sia la verità e aver elaborato teorie di spessore, risolvere tutto in un prosaico: “…ma poi della verità, chi se ne importa?”.
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Immagini tratte da:
https://www.newstatesman.com/culture/books/2016/10/stuck-formula-rachel-cusks-transit-hits-new-dead-end
https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-straniera/narrativa-di-lingua-inglese/resoconto-rachel-cusk-9788806236564/

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