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20/10/2018

Storia d'amore e di calcio è l'ultima meraviglia di Michele Santeramo

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di Enrico Esposito e Olga Caetani
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Col fiato mozzato. Siamo rimasti così io, Olga, gli altri presenti nella Sala Cieslak del Teatro Era affogata nel buio.  È la serata di un 11 ottobre mite, il giovedì della Prima Nazionale di “Storia d’amore e di calcio”, spettacolo del quale però si immagina (o quanto meno si pensa di immaginare) già qualcosina dal momento che si presenta collegato al cortometraggio “Il Mondiale in piazza”, premiato all’ultimo Festival di Venezia come miglior film nella sezione "MigrArti" - La Cultura che unisce -, realizzata in collaborazione con il MIBACT. Per la regia di Vito Palmieri, “Il Mondiale in piazza” racconta la storia di un Campionato Mondiale di calcio parallelo a quello ufficiale di Russia 2018, al quale partecipano un gruppo di italiani e di immigrati di altre nazionalità che daranno vita a un torneo a tutti gli effetti finché uno dei “migranti”, nato in Italia, si sente nel diritto di giocare per la nazionale azzurra. La sceneggiatura di questa storia porta la firma di Michele Santeramo, autore e attore di teatro nonché scrittore, che il pubblico del Termopolio conosce molto bene, dal momento che la nostra redazione ha avuto modo di osservare sui palcoscenici del Teatro Era e riportare sul nostro sito diversi suoi lavori, molto apprezzati per la loro profondità, poliedricità, leggerezza. Michele Santeramo, originario di Terlizzi (Bari), collabora stabilmente con la Fondazione Teatro della Toscana da tempo, e ha al suo attivo numerosi riconoscimenti che avvalorano la sua capacità particolare di rivestire gli spettacoli che scrive, dirige, interpreta di una coltre spessa, all’interno della quale l’ineluttabilità e la drammaticità delle vicende della vita viene smorzata dolcemente dalla volontà di non dimenticarsi che la battuta, la risata, il sorriso ammirato dinanzi a una visione bellissima debbano rappresentare una presenza necessaria della nostra mentalità. Che siano necessarie a sopravvivere, come lo stesso Aristotele aveva già scoperto millenni fa, e Spike Lee da pochissimo, nella realizzazione del suo ultimo film “Blackkklansman”, ci ricorda, compiendo un percorso lungo gli abissi e le deflagrazioni senza mai perdere vista una prospettiva autoironica, intelligente, e leggera. 
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“Storia d’amore e di guerra” si dipana in questa magica andatura. Corroborato dalle musiche di Sergio Altamura, Michele Santeramo prende per mano gli spettatori sin dalle prime righe della sua lettura, riversando su di loro un suggestionarsi di reazioni, punti di vista e soprattutto considerazioni. Egli parla di un Sud, che dall’immediato corrispettivo dell’Italia Meridionale abbraccia presto una configurazione più ampia, ideale più che geografica. La vicenda è calata tra le temperature infernali di un paese piccolo ma densamente abitato, in cui durante una noiosa serata d’estate esplode una mega rissa tra etnie per il controllo di una piazza. Dai marocchini contro polacchi si arriva allo scontro coi libici, cinesi, gli italiani. La disputa nasce già di per sè figlia di un malanno grave, quello dell’illegalità, della sovranità criminale e fuori dal sistema, ma si colora per il piacere dell’ascoltatore e il divertimento dei personaggi come della voce narrante stessa di un’occasione risolutiva di spirito, bizzarra ma densa di significato allo stesso tempo. Viene indetto infatti come nel corrispettivo cinematografico già citato, un Mondiale di calcio tra Nazionali, al quale parteciperanno tutti I gruppi etnici che saranno in grado di schierare almeno sette giocatori in campo. L’arbitro sarà un vigile urbano in pensione, la persona più imparziale a disposizione, e chi riuscirà a portare a casa la vittoria dopo un tabellone di sfide ad eliminazione diretta, potrà conquistare il totale possesso della piazza. Storia di calcio, di confronti accesi, ma anche disamina della disperazione di società intere, attraverso la voce di un giovane calciatore dalla Nazionale italiana, protagonista della narrazione.
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Michele Santeramo ci rivela nel corso della lunga intervista che ci concede a fine serata di essersi riservato più di un dubbio nella definizione della performance dell’opera, a stretto colloquio con Altamura, un amico vero conosciuto più di trent’anni fa ma per la prima volta in questo spettacolo comparso nella veste di collaboratore fondamentale. Se in precedenti lavori come “La prossima stagione” e “Leonardo Da Vinci”, era stata principalmente l’arte figurativa, sgorgata dalle pittoriche illustrazioni di Cristina Gardumi, per “Storia d’amore e di calcio”, la musica esaltata per merito della scelta di strumentazioni e ritmi differenti diviene la perfetta compagna del racconto. Le fasi che ripercorrono la genesi dell’altro grandioso tema della narrazione, l’innamoramento stilnovistico del protagonista per la ragazza indiana dagli occhi accecanti e all’interno dei quali il giovane finisce per annegare e rimanere vinto, vengono scandite dai battiti fulminei della loop-station, dalle urla stridule fuoriuscite da un’arco, e raggiungono il loro apice grazie all’intimità commovente del tema principale, una partitura per chitarra semplice che tuttavia cattura l’animo nella sua fusione con la dolcezza dei versi raccontati. In coro Santeramo e Altamura ci svelano la verità di una sintonia evidente nella loro percezione e interpretazione, una familiarità tra amici in grado di comprendersi dagli sguardi e di trovare la chiave del tutto a poche ore prima del debutto, al termine della prova che precede la discesa in scena. ​

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Il giovane italiano che non molti anni prima aveva messo in mostra un certo talento per il calcio, si ritrova in questa storia a vivere su piani prima distanziati e successivamente univoci due esperienze destinate ad un certo punto a provocare cambiamenti nella sua vita piatta e senza sussulti. Da una parte il campionato di calcio, un fenomeno singolare nato per motivi tutt’altro che esemplari, ma col passare del tempo evolutosi a momento di positiva comunione tra popoli, integrazione che Santeramo ha voluto sottolineare ricollegandolo all’attuale situazione di Riace e all’eccezionale momento di rivendicazione di un sentimento collettivo di uguaglianza e di rispetto dei diritti dell’essere umano. Dall’altra l’incontro con l’amore a prima vista, il rapimento subito da parte di una fanciulla che non sarà facile non solo conquistare ma ancor di più scoprire, frequentare. Sarà necessario scendere a dei compromessi con la severa famiglia della ragazza per poter coltivare il proprio sogno, bisognerà stringere un accordo che poi si tramuterà in una promessa a lei stessa: vincerai il torneo e sarò tua. Un aut-aut decisivo, di fronte al quale il nostro giovane, mai chiamato prima nella sua vita ad affrontare di petto situazioni così delicate, e invece più furbescamente incline a eludere ii rischi, tirerà fuori il suo carattere, lascerà che la sua felicità personale prenda il sopravvento sul resto, perchè non potrà fare a meno di accompagnare la sua amata sulle rive del mare a bordo del catorcio del padre risistemato solo per lei. Il giovane verrà trascinato forse eccessivamente dall’ardore del sentimento, perderà la bussola e non avvertirà fino in fondo ii pericoli che il contesto marcio intorno a lui ha in serbo. Sottovaluterà le minacce esplicite ricevute da alcuni malavitosi marocchini, il loro invito a calciare fuori I calci di rigore, le punizioni che capiteranno sul suo piede il giorno della finale Italia – Marocco. Si impegnerà al massimo delle sue forze sotto gli occhi incantati dell’indiana e quelli fiammeggianti del boss, e con una magnifica punizione a “foglia morta” paralizzerà l’attenzione di tutta una comunità di persone dipingendo un quadro di estatica bellezza. ​
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​Quel gol arriva alle orecchie e agli occhi dei presenti nella sala Cieslak come l’apice di una speranza coltivata pian piano durante l’evoluzione della trama con leggerezza. Ancora una volta, Santeramo riesce a farsi spazio tra gli uditori per merito del suo sorriso affabile e rassicurante, di una immedesimazione nei personaggi e nei loro strazi e picchi che dalla voce e dalla fisiognomica questa volta scivola repentinamente dentro le giunture, i muscoli e il suo animo. Mancano le parole anche a lui, decide di prendersi una manciata di secondi e più per rivelare agli altri i terribili risvolti di una gioia potentissima e illusoria, scaraventata negli abissi dalla violenza cieca di una mentalità umana in costante sfacelo. Anche la proverbiale saggezza che contraddistingue la sua visione delle infinite possibilità espresse dal fato traballa, fa fatica, mentre alle sue spalle I suggestivi filmati d’epoca montati da Vito Palmieri innescano un contrasto fortissimo ma unico con le conseguenze delle parole, e le luci in sala avvolgono nel buio l’assordante peso dell’insoddisfazione di molte esistenze. Ma c’è un altro episodio che ricorre nel momento in cui prende forma in scena l’evento sconvolgente dell’intera vicenda. Nel silenzio assoluto, si sente una risata aperta della frazione di un secondo, un “Ah”, figlio non del gusto, ma forse della stanchezza di doversi imbattere anche all’interno della finzione teatrale nella scoperta inquietante di uno stupro, figlio di una rabbia esaurita. Uno sfogo che a Santeramo, come a Sergio Altamura e a tutta la sala, è arrivato indistintamente, e ha reso l’autore pugliese consapevole di aver fatto qualcosa di importante all’esordio del suo nuovo spettacolo.

Immagini gentilmente fornite da Micle Contorno, Ufficio Stampa del Teatro Era

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