di Lorenzo Vannucci «La narrazione è certamente uno de’ miei obiettivi. Esso non è l’unico, non è stato l’unico [...] I primi impulsi verso la scrittura, in me, ebbero un movente lirico e descrittivo, e insieme narrativo: poi venne anche il saggio, la sognata memoria filosofica da leggere all’Istituto di Scienze Lettere e Arti, da inviare ai concorsi accademici, dove si è premiati d’una medaglia di bronzo. Ho, in casa, dei pacchi, anzi nu cuòfeno ’e ''meditazioni filosofiche'', non totalmente spregevoli, d’altronde. Sono scritte in ottima prosa. La descrizione, il desiderio di conoscere e approfondire, si estese per gradi[...] La mia scrittura si è dunque volta a narrare» Con queste parole Gadda, nel 1950, apre l'intervista rispondendo alla questione se vi sia, all'interno delle sue opere, una preferenza per la filosofia e il genere, apparentemente più prevalente, narrativo. Indubbiamente, la mescolanza delle forme linguistiche in Gadda e la compresenza di più generi, che vanno dalla filosofia alla letteratura, dalla scienza alla psicanalisi, rende difficile tale distinzione. Ingegnere, scrittore, saggista, poeta, scrittore, filosofo, queste alcune etichette attribuite al poeta lombardo. Ma quale genere prediligeva veramente Gadda? I dubbi del giovane poeta, spaurito dallo svariare infinito delle possibilità narrativa, vengono palesati per la prima volta nel breve saggio il Racconto. La via filosofica sembra appagare il poeta. Si iscrive in filosofia, supera gli esami, inizia a scrivere la tesi di laurea su Leibniz e, improvvisamente, rinuncia al percorso. Perché? Quasi nello stesso periodo, Gadda scrive Meditazione milanese, un trattato ricco di teoremi, di dimostrazioni che ci restituisce una lettura in chiave filosofica di tutta la sua opera, organizzando in un sistema concettuale unitario e organico i propri pensieri. Un'opera, tuttavia, che non convince lo scrittore lombardo, critico verso il suo scritto tanto da chiamarlo Meditazione grossolana, Meditazione grossa o Meditazione prima. Lo stesso poeta, in una nota, riconosce come quell'abbozzo sia letterariamente assai confuso e incomposto. Gadda stesso, nella premessa al proprio manoscritto, anticipa quella «natura di rapida annotazione» dell'opera tanto criticata da Carlo Roscioni, filosofo e poeta a lui contemporaneo che, dopo un apparente elogio, riconosce che il proprio interesse per il manoscritto è relativo alla funzione storiografica che assolve, rivelandosi, solo, una miniera di notizie e di curiosità. Gadda, critico verso la propria opera, riconosce la mancanza di linearità, ma non nega al proprio scritto un qualche statuto filosofico, «spero, per altro, che il lettore e giudice non sarà così severo da negare a priori che sotto la congerie del materiale realistico si celi un seguito di idee più propriamente filosofiche. E d'altronde un certo rozzo realismo, anche filosoficamente parlando, ha diritto di cittadinanza nella città de' filosofi, tanto più quando esso è connaturato come aspectus parziale a un pensier io affermante realtà e idealità». Qualche anno dopo Gadda rinuncia definitivamente alla revisione della Meditazione milanese e alla Tesi in filosofia (concordata con Piero Martinetti sui Nouveaux Essais di Leibniz), e si dedica solo alla letteratura. Le bozze della tesi, presto interrotte, riprese e nuovamente abbandonate, stavolta per sempre, sono la prova di questa continua tensione tra filosofia e letteratura, visibile nelle opere letterarie dove le posizioni filosofiche elaborate nel trattato diventano portanti dei suoi romanzo. Fonti: Guido Lucchini, Gli studi filosofici di Carlo Emilio Gadda (1924-1929), in «Strumenti critici 9», n. 2, 75 (1994), pp. 223-245. Immagini tratte da: www.illibraio.it www.wordpress.com
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Febbraio 2023
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