di Tommaso Dal Monte Il viaggio ultraterreno di Dante si sviluppa su un asse di completa verticalità: prima la discesa nell’inferno, poi l’ascesa purgatoriale e paradisiaca che si conclude con l’arrivo a Dio. Il moto spaziale, verso l’alto e il basso, corrisponde in via allegorica ad un percorso spirituale compiuto dal pellegrino, il quale, attraverso l’esperienza della pena, della redenzione e della beatitudine, indica, a tutti come a se stesso, un modello di vita per raggiungere la salvezza. Le tappe di questo cammino sono indicate già da Virgilio nel Canto I della Commedia: «Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno | che tu mi segui, e io sarò tua guida, | e trarrotti di qui per loco etterno; | ove udirai le disperate strida, | vedrai li antichi spiriti dolenti, | ch’a la seconda morte ciascun grida; | e vederai color che son contenti | nel foco, perché speran di venire | quando che sia a le beate genti. | A le quai poi se tu vorrai salire, | anima fia a ciò più di me degna: | con lei ti lascerò nel mio partire». Per quanto Dante compia un viaggio che nessuno ha mai percorso, ne conosce fin da subito il punto di partenza, la direzione, l’arrivo: la strada è erta, ma anche certa. I personaggi dell’Orlando furioso di Ariosto si muovono invece in senso esclusivamente orizzontale. I paladini e le dame sono sempre in viaggio, ma non sembra esserci alcuna meta definitiva benché si insegua sempre qualcosa: una donna, un cavallo, un oggetto magico. Ma tutti questi obiettivi non portano ad alcuna conquista stabile, così che tanto la fine del percorso, quanto la formazione dei personaggi, è sempre rimandata e in divenire. Questa fenomenologia del viaggio fa sì che gli attanti, costretti a muoversi pazzamente da un luogo all’altro (fin sulla luna!), non manifestino quello scatto di coscienza e conoscenza che compie a Dante. I due paradigmi della verticalità e dell’orizzontalità valgono tanto sul piano del moto fisico quanto su quello interiore – declinato sia in senso spirituale che cognitivo – e presuppongono visioni del mondo diverse. La sicurezza nel cammino di Dante è basata e corrisponde alla fiducia dell’uomo medievale nel proprio orizzonte epistemologico: non ci sono dubbi sul compito dell’uomo, sui meccanismi che ne regolano le forme di conoscenza, non si dubita del fatto che Dio esista e sia raggiungibile. Ariosto invece capta e dà una forma epico-narrativa ai segnali della crisi dell’uomo rinascimentale, il quale, dopo essersi proclamato artefice della proprio destino, affronta le implicazioni della critica a certezze terrene (si pensi solo allo sconvolgimento dovuto alla scoperta delle Americhe) e metafisiche millenarie.
Non stupisce allora che nella produzione letteraria contemporanea fioriscano opere modellate su un tipo di viaggio ariostesco. In questi testi, principalmente romanzi, osserviamo ricerche impossibili e incompiute che manifestano l’angoscia di un presente privo di certezze. Per fare alcuni esempi possiamo pensare ad Occidente per principianti (2004) di Nicola Lagioia, in cui un gruppo di ragazzi si sposta per l’Italia nel tentativo di ritrovare la fantomatica prima amante di Rodolfo Valentino, oppure a Branchie (1994) di Niccolò Ammaniti, dove la storia segue gli improbabili e inconcludenti viaggi di Marco in giro per Asia e Europa. Walter Siti si è invece riappropriato del modello dantesco nella sua trilogia autofinzionale, composta da Scuola di Nudo (1994), Un dolore normale (1999) e Troppi Paradisi (2006). I libri, che fin dai titoli suggeriscono un percorso ascensionale attraverso i regni ultraterreni, sono stati raccolti posteriormente in un unico volume dal titolo Il Dio impossibile. In effetti Walter, l’alter ego autoriale su cui è incentrata la trilogia, sperimenta un percorso filosofico e conoscitivo alla ricerca del nudo maschile – divinamente connotato ‒, il quale però, alla fine, si incarna nel corpo di un culturista che ha tutte le prerogative e i difetti umani. In tal modo il moto ascensionale verso un universo ultra mondano dove regna l’assoluto è ricondotto ad un incontro che si manifesta ed esaurisce sul piano terreno. Ad oggi, insomma, sembra che il modello di viaggio ariostesco sia di gran lunga il più prolifico. Le ragioni del prevalere della quête di ascendenza cavalleresca, in forme ovviamente aggiornate, si spiegano con la sua capacità di rappresentare molte urgenze contemporanee: la frammentarietà della vita, i dubbi che la animano, la mancanza di ideali sovraindividuali per cui lottare, il senso di vanità e insoddisfazione che si accompagnano agli sforzi per raggiungere qualcosa. E poi: c’è davvero qualcosa da raggiungere? Il nostro mondo occidentale, ricchissimo e dove tutto è alla portata, è proprio per questo più piatto, schiacciato su un’unica dimensione terrena. Lo slancio verso l’alto è destinato ad essere riassorbito e anche noi, come esseri umani, rischiamo di perdere profondità. Immagini libere da copyright
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Febbraio 2023
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