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“Le assaggiatrici” di Rosella Postorino

10/3/2018

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di Eva Dei
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​“A mensa non riuscivo a mandar giù quasi nulla, mi sforzai. Non era per timore delle SS: speravo nel veleno. Se soltanto ne avessi ingoiato un boccone, sarei stata consegnata alla morte senza dovermela procurare, esonerata almeno da questa responsabilità. Ma il cibo era sano e io non morivo.”
 
Non sapremo mai se Margot Wölk abbia mai pensato qualcosa di simile. Lei che ha aspettato di arrivare a novantasei anni prima di riuscire a confessare di aver lavorato da giovane per Adolf Hitler.
Nonostante la sua non fosse stata una scelta personale, si era sempre vergognata di quel lavoro. Trasferitasi dai suoceri a Gross-Partsch, nella Prussia orientale, dopo il bombardamento della sua casa, era stata scelta come assaggiatrice del Führer, che aveva il suo quartier generale nei boschi, “Wolfsschanze”, la Tana del Lupo, proprio lì vicino. Margot e altre donne dovevano assaggiare ogni piatto destinato a Hitler, in modo da assicurarsi che non fosse avvelenato.
A questa donna si è ispirata Rosella Pastorino per la sua “berlinese”, protagonista del suo romanzo, Rosa Sauer. Uscito a gennaio, edito per Feltrinelli, il libro è già alla sua quarta ristampa.
Lo spunto della storia è sicuramente interessante, non solo perché ci racconta un aspetto del nazismo e della Seconda Guerra Mondiale diverso, a molti sconosciuto, pur partendo da una verità storica, ma anche perché la voce narrante è divisa, combattuta, lacerata: la Postorino mette a nudo con Rosa Sauer la contraddizione dell’animo umano.
Se ovviamente il romanzo prosegue con un intreccio narrativo che riguarda Rosa, gli altri personaggi del racconto e anche una parte di eventi storici realmente accaduti, quello che emerge in modo più interessante è la voce interiore della protagonista. Sì perché dietro alla forestiera, alla “berlinese” dagli abiti alla moda e dall’aspetto distaccato, si nasconde una lotta interiore mai sedata. Vivere lavorando per il Führer: essere una prescelta, ma al tempo stesso una vittima; sì perché Rosa viene pagata profumatamente per il suo lavoro, ma in realtà quello è il prezzo della sua vita. Una vita chiusa e controllata in una mensa insieme ad altre donne, gustando dolci, carne e prelibatezze, mentre le persone fuori faticano per mettere insieme un pasto. Il privilegio del cibo, che può rivelarsi ad ogni boccone il preludio della morte.
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Senso di colpa, paura e incertezza sono i sentimenti dominanti, quelli che continueranno a muovere le azioni di Rosa, confinandola in un’ambiguità in cui il lettore è sempre in bilico nel suo giudizio verso di lei. L’identificazione non è possibile, ma è impossibile non provare quel minimo di empatia che non ci permette di discostarci inorriditi davanti a questa donna. “Accadeva da mesi. Uno scollamento fra me e le mie azioni: non riuscivo a percepire la mia presenza”, forse questa è la frase che esprime al meglio il comportamento di Rosa. Un’altalena che va dal desiderio di sopravvivere e fuggire, a quello di non provare più dolore, di ribellarsi e morire. Una repulsione per il regime e per colui che al massimo lo incarna nella sua quotidianità, il tenente Ziegler, che si scontra con una maternità desiderata e mai arrivata, con il desiderio di sentirsi ancora voluta.
Le pulsioni e i desideri di una vita qualunque resistono alla Storia e se da una parte è un bene, perché sono un simbolo di speranza e la testimonianza di un’umanità che sopravvive alla crudeltà dei fatti, dall’altra spesso appaiono egoistici e futili in un momento simile.
Una protagonista che non ha niente dell’eroina, un libro che fa riflettere su quanto sia lecito fare per sopravvivere e su quanto questo sia spesso poco eroico, ma forse, non per questo, meno umano.
 
Foto tratte da:
http://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/le-assaggiatrici/#descrizione
I disegni inseriti in questo articolo sono stati espressamente realizzati da Elisa Grilli, per visionare altre sue opere visitate: https://elisagrillidc.wixsite.com/drawing2dream oppure
https://www.facebook.com/elisagrillidicortona/

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