Ce n'era bisogno di un disco così. Dopo la trilogia del 2012 "Uno!Dos!Tre!" e la raccolta "Demolicious" del 2014, il trio di Berkeley è tornato sulle scene l'autunno scorso con l'uscita di un album nuovo di zecca intitolato "Revolution Radio". "Revolution Radio" è un disco importante da tanti punti di vista sia per quanto riguarda la band stessa che i suoi fans. Più che di rivoluzione, questo potrebbe essere considerato il lavoro del rehab, della riabilitazione, come quella affrontata dal cantante Billie Joe Armstrong, decisosi a disintossicarsi da droga e alcool. Oppure come la rinascita dopo la sconfitta del cancro da parte del chitarrista turnista Jason White (dal 2012 considerato membro a tutti gli effetti della band), e della moglie del bassista Mike Dirnt. Partendo da tali considerazioni, "Revolution Radio" costituisce il grimaldello per mezzo del quale i Green Day hanno scardinato il silenzio di cinque anni che aveva dominato uno dei periodi più duri della loro storia, e si sono inoltre ripresentati al loro pubblico mettendo in evidenza un famelico ritorno a quel punk da cui provengono. Certamente "American Idiot" rappresenta ancora oggi qualcosa di sconvolgente tanto in ambito musicale, in virtù delle potenzialità inesauribili espresse dall'alternative-rock, che da un punto di vista narrativo – sociale, data la vastità di tematiche trattate inerenti alla realtà ma anche sbocciate dalla creatività di Billie Joe. "21th Century Breakdown" non rimarrà invece per nulla memorabile, e così "Revolution Radio", che tuttavia segna una tappa di transizione significativa per il gruppo californiano.
Raggiunto il traguardo formidabile di 30 anni di Green Day, Billie Joe e soci hanno sfornato un album composto da dodici tracce, "sole" se si pensa all'ampiezza di "American Idiot" e "21th Century Breakdown" per l'appunto, ma ad assumere invece i vecchi "Kerplunk" e "Nimrod" come termini di paragone direi si può già intuire la necessità di ripartire dalle proprie origine. Un reset evidente, ma non totale, dal momento che non possono essere cancellati del tutto quindici anni di successi e soprattutto innovazioni, nei meandri del rock e nell'approccio alla contemporaneità storica e culturale. Per questo motivo "Revolution Radio" conserva la rabbia adrenalinica nei confronti degli attentatori alla salute degli Stati Uniti e in simultanea la necessità di cogliere intimi aspetti della personalità e della corporeità. Ma seguendo il comportamento dei camaleonti, durante la sua progressione "Revolution Radio" muta pelle, recuperando lo spensierato desiderio da parte della band di suonare (e basta) in pura chiave punk e acustica come ai vecchi tempi (ne danno prova schiacciante i brani "Bouncing off", "Too dumb to die" e "Troubled times") Non sarà forse un caso che ad accompagnarli come headliners del "Revolution Radio Tour" saranno i Rancid, storica formazione portabandiera del genere (le date in Italia previste sono al Lucca Summer festival il 14 Giugno, e all'I-days all'Autodromo di Monza il giorno dopo). D'altro canto, per cercare di fornire un'anteprima completa di "Revolution Radio" non si può non prescindere dall'analisi dei testi composti da Billie Joe, e, anche in questo caso, dalle variazioni che ricorrono nel suo modo di scrivere ed esternare le sue idee in relazioni a molteplici argomenti. Il songwriter di "Revolution Radio" è profondamente diverso dall'ebbro trascinatore di "American Idiot" e di "Dookie", meno assetato di giustizia e anarchico. Innegabilmente, l'esperienza del rehab dalle sue dipendenze attua alcuni cambiamenti nella visione del mondo di Billie Joe, portandolo a rendersi conto dell'importanza di fermarsi un attimo a riflettere su quanto lo circondi piuttosto che lanciarsi in giudizi impulsivi e affrettati. Egli è perfettamente a conoscenza di quanto marcio si annidi sulle strade della sua America e, come da sempre ha fatto, sente il dovere di denunciarlo ponendosi stavolta da una prospettiva che non abbandona la spinta alla lotta e all'azione. Così dunque nella title-track "Revolution Radio" si invita senza mezzi termini a scendere in piazza a manifestare le proprie idee, sulla scorta di una marcia condotta a New York dai membri del movimento anti-razzista Black LivesMatter alla quale Armstrong partecipò con passione. E ancora in "Troubled times" risalta seccamente il cumulo di problemi di carattere razziale ed economico "regalati" dall'ascesa di Trump. Mentre "Bang bang", il primo singolo estratto dall'album nonchè la canzone più potente di tutto il lotto, si candida a ennesimo manifesto, in pieno stile Green Day, della volontà di emergere all'interno di una realtà seppur di merda. Billie Joe non ha paura nell'esporre senza filtri alcune vicende di grande rilievo della sua vita, sia pre che post-riabilitazione. Se "Outlaws" disegna il nostalgico ricordo della gioventù trascorsa insieme a Mike e Tre Cool tra le canne, furti di autoradio e altre goliardate da deliquentelli, con "Youngblood" Armstrong canta la sua ammirazione per la moglie Adrienne, e in "Still breathing" affronta infine il tema delicato della capacità di saper chiedere aiuto nel momento in cui sembra chiaro che da soli le proprie forze a volte non bastano. E nell'ultima traccia, la ballata "Ordinary world" (che precede "Forever Now", una mini-opera rock in sette minuti che fonde insieme brani diversi come la bellissima "Jesus of Suburbia" di "American Idiot"), il leader della band si ritrova voce e chitarra da solo sul palco, dando vita a una poesia breve e diretta che mira ad accontentarsi di quello che si ha, senza pretendere per forza troppo. ("Baby, I don't have much/But what we have is more than enough/Ordinary World"). Immagini tratte da www.greenday.com
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Aprile 2023
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