Il 12 gennaio scorso è uscito "2640", il terzo album in studio della cantautrice veneta. Un disco - diario che raccoglie viaggi a ritroso e in longitudine, riflessioni acute e mosaici musicali.
Non sono ancora 23 i suoi anni (li compirà il prossimo 25 febbraio), 2640 invece l'altitudine massima toccata dai rilievi di Bogotà, la capitale della Colombia che ha ospitato la nascita e l'infanzia di Francesca Michielin. Quella cifra, 2600 e più, Francesca allora se la porta indietro sin da piccola, ai ricordi dei giochi con la madre come afferma nell'apertura di "Comunicare", la traccia numero uno di questo suo terzo album. Dal 12 gennaio nei negozi di dischi è arrivato il nuovo lavoro targato Rca e prodotto ancora da Michele "Canova" Iorfida, che ci consegna una Michielin in gran spolvero, estroversa e creativa sia nella proposta concettuale che in quella sonora. Una Michielin cantautrice che firma di sua mano undici su tredici dei brani della playlist, rilasciando a Calcutta ("Tropicale") e Tommaso Paradiso ("E se c'era ....") la paternità completa dei due testi restanti perfezionati tecnicamente da Dario Faini, il pianista - compositore dei "Dardust". Calcutta contribuisce inoltre alla scrittura di "Io non abito al mare", e "Tapioca" in cui si occupa di una campionatura Cosmo, altro esponente di primo livello della scena indie, una dimensione centralissima del mercato italiano attuale (e non solo) alla quale Francesca si allinea concretamente prospettando ai suoi ascoltatori un'evoluzione rispetto al passato. Lungo le distinte coordinate di "2640" l'orecchio e l'occhio seguono le rivelazioni, i ricordi, gli interrogativi di una ragazza che appare seduto alla sua scrivania intenta a sfogliare istantanee che le rammentano luoghi, personaggi, situazioni a lei legati. Sciolta, priva di timidezze, Francesca passa in rassegna le consuetudini familiari (come la formula 1 guardata in tv tutti insieme), la passione per le serie tv, le delusioni patite in amore e in altre vicende (il brano "la serie B" rappresenta un esplicito riferimento alla retrocessione tra i cadetti del Vicenza, una memoria amara per chi la racconta). La traccia numero 11 "Tapioca" è basata su un canto liturgico ghanese e direttamente ispirata alle numerose domeniche trascorse dalla cantante a pranzo con la comunità del Paese africano, spettro dunque di un'esperienza depositatasi nella mente e soprattutto nell'immaginazione che nelle mani di Francesca si trasforma in uno scettro dal potere eccelso. La chance di poter modellare la realtà secondo la fantasia e la visione del mondo costituisce uno dei tre punti cardine su cui si regge l'intera architettura di "2640", insieme alla necessità nel dover comunicare (anche se verità scomode e dolorose) e alla capacità di fermarsi ad ascoltare e imparare. Sono questi i tre temi principali che l'autrice percorre all'interno della sua opera, sintetizza nell'espressione "Comunicare, ascoltare, immaginare", e raffigura mediante tre triangoli Δ∇Δ icone rispettivamente del fuoco di un vulcano interiore ("Vulcano" e "Lava"), di un mare caotico e immenso ("Io non vengo dal mare", "Tropicale"), e infine il verde chilometrico sul dorso di una montagna da scalare per toccarne la vetta e il picco dell'immaginazione. Non sono maschere, ma sinestesie che seminano "indizi" alla scoperta delle sfumature diverse nell'animo di Francesca Michielin. Come già detto, la giovane cantautrice si sofferma molto sulle nostalgie, come ad esempio nella traccia conclusiva "Alonso", una ballata pianistica sottile che attraverso un omaggio al grande campione spagnolo di Formula Uno rende merito ai sacrifici compiuti dai genitori per il bene dei propri figli. In "Lava" invece a partire dal testo di "Tahiti" di Bat for Lashes, la storia originale di violenza fisica e verbale nei confronti di una donna assume una forza tutta nuova di speranza e ribellione. Mentre con "Bolivia" Francesca concentra il proprio sguardo su una delle nazioni più povere e sottovalutate del mondo, mettendo in risalto la cecità di molte persone dinanzi ai propri errori quotidiani. Il tono di condanna e risentimento del testo è raffforzato dalla base ritmica musicale dark e tropicale su un sottofondo elettronico. L'elettronica è una costante importante dell'album per mezzo degli interventi di Michele Canova e di Dario Faini, ma si presenta attenuata, superficiale consentendo uno spazio maggiore a ritmi tropicali per l'appunto, ritmi anni '90, ai quali la Michielin partecipa attivamente suonando pianoforte, tastiere, Critter and Guitari. Talvolta, infine, si eleva una dimensione acustica sovrastante, come in "E se c'era...." e "Scusa se non ho gli occhi azzurri". Nel complesso con il suo "2640", Francesca Michielin dimostra di possedere alla precoce età di ventitrè anni un'idea chiara della dimensione artistica che al momento sente maggiormente adatta a sé: il ruolo atipico di una cantautrice pop che unisce mainstream e indie, con una vena compositiva ancora tutta da sviluppare e un bagaglio di inclinazioni musicali e esperienziali che promettono approfondimenti ulteriori. Tra meno di due mesi, da Parma partirà alla volta dei principali clubs della penisola il suo tour, anticipato da alcuni incontri di preview all'interno delle librerie Feltrinelli per concedersi alle domande e agli apprezzamenti del pubblico.
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Aprile 2023
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