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27/1/2017

A casa tutto bene 

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​di Alice Marrani

Conclusa la trilogia degli album precedenti con Vol. III, il cammino di Santiago in taxi, è uscito il 20 di gennaio il nuovo lavoro discografico di Brunori Sas, A casa tutto bene. Un cambio di rotta del cantautore calabrese che afferma in varie interviste di aver modificato il suo sguardo, spostandolo dal passato al presente. Gesto che inevitabilmente un po’ toglie il sorriso e rende più seri. Gli anni trascorsi rendono più maturi, più adulti. Parlando dell’ultimo album dei Baustelle ​avevamo detto: “Un altro disco che si propone di raccontare la complessa contemporaneità”. In questo caso potremmo ripeterci ma c’è una differenza. Il tema che si snoda attraverso queste dodici tracce è la paura di quello che ci accade intorno, della nostra reazione a quello che viviamo e soprattutto la paura della paura, quella sensazione che spesso ci chiude in casa facendo finta di non vedere. Un sentimento contrastante fra il voler uscire da quell’isola sicura e l’istinto di restarci dentro. Pochi giri di parole, poche allusioni complicate, tutto qui è chiaro, limpido e di una dolce e amara pacatezza. Uno sguardo sull’attualità che non è né un’urlata denuncia né un manuale di sopravvivenza: è una riflessione un po’ alla finestra, un po’ davanti allo specchio. È un guardarsi dentro cercando risposte che forse non arriveranno e facendosi domande che rimangono sospese nel dubbio.

Canzoni contro la paura racchiude dentro di sé questo concetto: Dario Brunori canta solo per sé (in realtà per tutti) canzoni che ti ricordano chi sei.

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Il percorso da Il cammino di Santiago in taxi è arrivato fino a quest’ultimo album attraversando Brunori Srl, uno spettacolo di canzoni alternate a monologhi che ha portato alla decisione di abbandonare l’ironia e utilizzare una prospettiva più seria verso l’attualità. A casa tutto bene è stato registrato per Picicca Dischi in un’antica masseria, prodotto da Taketo Gohara ed è frutto di un lavoro di scrittura che Brunori ha scelto di fare collaborando con i suoi musicisti, sfruttandone le diverse derivazioni musicali. Quello che ci troviamo davanti è un album dagli arrangiamenti stratificati, dall’unione fra i suoni moderni e quelli di strumenti antichi, fra la tradizione e la modernità, fra l’indie e il mainstreem. Un album che si accompagnerà a un tour di concerti che torneranno a essere solo “suonati” e cantati ma nel quale ogni brano parla in modo molto chiaro a ogni ascoltatore. Regna il contrasto fra la voglia di scappare e quella di rimanere, fra una parte e l’altra di noi stessi, fra la paura e l’accettazione, fra l’amore e la violenza, fra il bisogno di ritrovare degli ideali e l’autoconsapevolezza di averli persi.

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“Te ne sei accorto si, che parti per scalare le montagne e poi ti fermi al primo ristorante e non ci pensi più” inizia così, con un brano che si chiama non a caso La verità, tanto per mettere in chiaro le cose. “La verità è che ti fa paura l’idea di scomparire, l’idea che quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire”.
Il ritratto di Uomo nero non è l’antagonista delle favole ma l’inquietante e fedele descrizione di un uomo razzista. Quella che sembra solo un’accusa si accompagna alla sensazione di senso di colpa che Brunori sente, per esempio, quando ha paura per la sua vita se un ragazzino su un autobus si mette a pregare leggendo il corano. Forse il brano più politico del disco insieme a Don Abbondio.
Lamezia Milano, un viaggio fra la provincia e la città, fra tradizione e modernità dove “guerra santa” si accompagna a “settimana bianca”, in una vita reale che si distingue difficilmente da quella “cellulare”.
In Vita liquida si sciolgono i principi, la morale, il lavoro, le convinzioni, il senso del dovere. Un uomo tanto liquido che potrebbe evaporare ma che torna consistente e solido se ci si sposta in Sabato bestiale, un uomo animale, superficiale e ostentatamente individualista. Bisogna arrivare fino a Il costume da torero con il suo coro di bambini per sentire che la realtà fa schifo ma non tanto da abbandonarsi completamente al cinismo e credere che non possa cambiare. Alla fine, dopo aver indagato le varie sfumature dell’ipocrisia con Secondo me, si torna a casa verso qualcuno che ci aspetta e che finalmente sorride.


Continuano le presentazioni e inizia il calendario di quelle con gli studenti che partirà dall’Università di Siena il prossimo 30 gennaio. Da febbraio avrà inizio anche il tour di concerti che si inaugurerà a Udine.


Immagini tratte da: 
Immagine 01: https://www.facebook.com/brunorisaspage/?fref=ts
Immagine 02: http://wikitesti.com/come_stai_-_brunori_sas/ 

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20/1/2017

Baustelle, L’amore e la violenza

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​di Alice Marrani
Nell’articolo che presentava le novità discografiche del 2017, avevamo riportato l’affermazione di Francesco Bianconi che definiva L’amore e la violenza un disco “oscenamente pop”. Per ascoltare direttamente dalla sua voce, da quella di Rachele Bastreghi e da quella di Claudio Brasini la spiegazione a questa frase ci siamo mescolati alla calca di fan presente a una delle date di presentazione dell’album, presso la Feltrinelli RED di Firenze. Immersi nella marea di interviste e recensioni uscite negli ultimi giorni è difficile dire più di quello che è già stato detto e scritto su questo disco, da tutti, compresi proprio i Baustelle, nel bene e nel male.
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Cerchiamo dunque di concentrare il tutto andando all’essenziale: è un disco che vale un ascolto? Si. È un disco pop?  Sì è pop, ma di un pop denso, corposo e articolato.  
Finita la narratività di un concept album com’era stato Fantasma, questo album è un collage di pezzetti eterogenei che diventano un tutt’uno. Un altro disco che si propone di raccontare la complessa contemporaneità ma creando una carrellata di istantanee attuali di una certa crudezza e allo stesso tempo di intimità. Basta ascoltare, dopo l’inizio strumentale di Love, Il vangelo di Giovanni: “Giorni senza fine, croci lungomare, Profughi siriani, costretti a vomitare. Colpi di fucile, sudore di cantiere”, passando per il ritratto adolescenziale di Betty, all’idea della la vita che “è tragica, però è fantastica essendo inutile. È solo immagine, è tutta estetica io penso che la vita non è niente, Provo a vivere” di Vita. Da L’era dell’acquario, ispirata a ciò che fu scritto da un giornalista francese dopo la strage del Bataclan a proposito dell’assuefazione a tutto, anche al terrorismo, a Ragazzina che invece è pensata per una bambina. L’amore e la violenza sta per “l’amore ai tempi della violenza”, non necessariamente come un sentimento romantico simbolo di salvezza del mondo di oggi, ma come sopportazione del dolore, un incoraggiamento di fronte alla guerra.
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Perché dunque oscenamente pop? La volontà è quella di fare un disco di “canzonette”, come hanno detto più volte, ma “un disco che sia pop e che non si vergogni di esserlo”. In che modo?
È chiara nelle parole di Bianconi la volontà di allontanarsi da un pop che lavora essenzialmente nella “comodità” dei preset del computer, oggi spesso uniformanti. Si ritorna quindi agli anni ’70 e ’80. Non per questo vogliono essere categorizzati nel “vintage” o “retrò” che, bisogna dirlo, va di moda. Quello di cui si parla è di darsi delle regole nella composizione e seguirle, prendendo i colori da una tavolozza che si è scelto di usare. Uno dei più importanti è quello dato dall’uso di tutti sintetizzatori analogici, dall’abbandono dell’orchestra e dell’uso di un Mellotron originale, dall’uso di campionamenti di parti di batteria da vecchi dischi. Così come il colore è dato dalle sfumature, da un dialogo, per esempio, che si intuisce sotto la musica alla fine di “il vangelo di Giovanni” che è un dialogo in tedesco fra un uomo e una donna che parlano di filosofia. Non importa che se ne capiscano le parole rimaste nascoste da tutto il resto: è il colore che conta. Rachele Bastreghi, reduce da un percorso solista che le ha consentito di maturare e di superare alcuni dei suoi limiti passati, invece di alternarsi alla voce di Francesco Bianconi spesso si trova con lui all’unisono. Si crea quindi una voce doppia, un’unione di maschile e femminile che “massaggia i brani” dall’inizio alla fine.
Ci si può perdere ascoltando le tracce dell’album nel cercare e contare le citazioni che contengono, fra palesi riferimenti alle sonorità di Battiato alla citazione di Sandokan. La più evidente forse quella ad Amanda Lear che compare direttamente nel titolo del singolo estratto. Citata, dicono loro, anche se non ha un ruolo nel testo del brano, che si snoda invece nel rapporto fra due ragazzi insidiato da un tradimento. Amanda Lear in questo contesto rappresenta di per sé un richiamo agli anni ’70 e a un certo tipo di femminilità ambigua.


​Il tour che partirà a febbraio si svolgerà nei teatri. È prevista infatti una data all’Opera di Firenze il prossimo 6 marzo. La scelta del teatro era ovviamente comprensibile con un lavoro a base orchestrale come Fantasma ma qui è diverso. Lo spettatore seduto è “costretto” nell’immobilità ad ascoltare con attenzione e magari a cogliere ciò che a volte inevitabilmente si rischia di perdere.
Questi sono i Baustelle maturi, quelli che hanno voluto sperimentare percorsi da loro mai intrapresi fino a ora proprio in virtù dell’esperienza derivata dal punto avanzato della loro carriera.

Immagini tratte da:
Immagine 01: https://www.facebook.com/baustelleofficial/?fref=ts
Immagine 02: https://www.youtube.com/watch?v=34Mam4Ru1Dg

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13/1/2017

Un 2017 in Italia a tutto rock (e non solo)

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di Enrico Esposito


Vi avevamo già annunciato qualche mese fa che il 2017 avrebbe riservato per i tanti appassionati il ritorno sui palchi estivi d'Italia di alcune delle più grandi rock- band internazionali. Ebbene, dopo avervi già informato ad esempio dell'esclusivo tour dei Dream Theater e dell'esplosiva accoppiata all'I-days a Milano di Linkin Park e Blink 182 (qui trovate tutte le info, in questo nuovo articolo vi aggiorneremo anche sui primi nomi ufficializzati per storici festival del Belpaese, come il Lucca Summer Festival e il Pistoia Blues.
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Partiamo da un dato molto positivo per la nostra nazione, che fa riferimento alle locations messe a disposizione per i concerti e, di conseguenza, alla maggiore disponibilità di biglietti destinata al pubblico. Le arene all'aperto e gli stadi tornano infatti a rappresentare il teatro di spettacoli attesi e dal calibro importante, ripercorrendo un percorso parallelo (e speriamo di successo) caratteristico negli anni 70-80. Roma vivrà in tal senso un mese di luglio infuocato non soltanto grazie al tradizionale PostePay-Rock di scena all'Ippodromo delle Capannelle, ma anche per l'annuncio recentissimo della tappa allo Stadio "Olimpico" il 15 con la quale gli U2 celebreranno anche in Italia i 30 anni della pietra miliare "The Joshua Tree". Seppur non appartengano al genere rock per chiari motivi, è opportuno citare i tre appuntamenti che i Depeche Mode terranno a fine giugno ancora negli stadi italiani, e per la precisione il 25 al già citato "Olimpico" di Roma, il 27 al "San Siro" di Milano, e il 29 al "Dall'Ara" di Bologna.

Ritornando a parlare invece delle arene all'aperto, il passaggio dal 2016 al 2017 ha subito un surriscaldamento pericoloso nel momento in cui è arrivata la conferma, con tanto di data  4 luglio, dell'esibizione all'Ippodromo Snai di San Siro all'interno del Milano Summer Festival, degli Evanescence, la band metal statunitense che con "Bring me to life" si impose prepotentemente nel panorama musicale mondiale. Nemmeno il tempo di riprendere fiato ed ecco che i Guns 'N' Roses hanno diffuso il calendario del loro "Reunion Tour 2017", al quale non poteva mancare una breve sortita sulla penisola. L'Autodromo "Ferrari" di Imola, infatti, il 10 giugno prossimo rappresenterà l'unica occasione per i fans italiani di poter finalmente rivedere in azione, fianco a fianco, Axel Rose, Slash e Duff McKagan per un evento storico.

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E i festivals estivi direte voi? Quei classici appuntamenti che consentono nel giro di una settimana, o a volte di una giornata, di portarsi a casa emozioni a catena e serate indimenticabili? Ecco, anche in questo caso, il 2017 si può dire partito in maniera straordinaria. Nonostante si rincorrano in giro per il web mille voci riguardanti i Pearl Jam e Marilyn Manson (si tratta di bufale o comunque di pure ipotesi dei fans, così come l'evento che impazza su facebook nel quale i Foo Fighters saranno protagonisti di un concerto all'Ippodromo Le Mulina di Firenze il 4 luglio), il Pistoia Blues non aveva fino a due giorni fa svelato alcuna notizia riguardante la sua edizione 2017. Nel tardo pomeriggio di ieri però, è apparso sul sito ufficiale del festival un post che comunicava i primi ospiti della rassegna, The Jesus and Mary Chain, gruppo scozzese rock-noise che trent'anni fa sbocciava tra i fumi del folto underground londinese distinguendosi per uno stile artistico molto curato.

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Nella vicina Lucca, per celebrare i vent'anni alla nascita del Summer Festival, dai primi giorni dell'anno sino a ieri, sono arrivati in sequenza quattro annunci che già adesso stanno lasciando dei segni molto importanti su ticketone, tra i rivenditori autorizzati, e quant'altro. Dopo aver infatti riportato la notizia dei live degli Imagine Dragons (il quartetto pop di Las Vegas che due anni fa ha ottenuto successo mondiale con i singoli "Radioactive" e "Dragons") il 4 luglio, e duo alternative rap di Seattle Macklemore & Ryan Lewis il 22 dello stesso mese, è stata la volta della conferma di due invocatissimi ritorni sul palco di Piazza Napoleone. Il 23 luglio infatti all'interno della tournee mondiale in promozione al nuovo album disponibile in primavera, da Leicester, Inghilterra, i Kasabian esalteranno il pubblico toscano grazie al loro mix vincente di rock e elettronica. Il 14 giugno invece ad aprire il Festival saranno ancora loro, i Green Day, che dopo le date invernali di Firenze, Torino e Bologna, concederanno il bis in estate (il 15 luglio parteciperanno all'I-days di Milano), accompagnati dalla verve punk dei Rancid.

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A proposito di Kasabian, l'energetica band britannica ha inoltre reso nota la sua presenza per il 21 luglio al PostePay romano, kermesse rock nostrana tra le migliori, che contestualmente ha rivelato l'arrivo dei Marilyn Manson (25 luglio), e dei Red Hot Chili Peppers (20 luglio). Dopo le trionfali tappe a Torino e Bologna dell'ottobre scorso, la band di Anthony Kiedis e John Frusciante farà capolino di nuovo dalle nostre parti nella Capitale e a Milano il giorno successivo, sotto le luci dell'Ippodromo allestito per il Milano Summer Festival.



  Immagini tratte da:

- Immagine 1 da www.optimaitalia.com
- Immagine 2 da www.ticketone.it
- Immagine 3 da www.virginradio.it
- Immagine 4 da
https://www.facebook.com/PistoiaBlues/?fref=ts
- Immagine 5 da https://www.facebook.com/LuccaSummer/?fref=nf
- Immagine 6 da http://www.summer-festival.com/events/441/green-day

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6/1/2017

Strange Fruit alla cerimonia di insediamento di Trump?

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di Alice Marrani

I mandati di Barak Obama furono inaugurati dalle voci di artisti del calibro di Aretha Franklin, Bruce Springsteen, Bono, Mariah Carey. Essere invitati alla cerimonia di insediamento del presidente degli Stati Uniti è certamente un grande onore ma anche una grande responsabilità artistica. Il 20 gennaio Donald Trump entrerà ufficialmente alla Casa Bianca ma c’è ancora incertezza sui nomi di chi accetterà di prestare la propria musica alla cerimonia. Troppo rischioso associarsi ad un personaggio così controverso nell’opinione pubblica mondiale, tanto che a pochi giorni dalla cerimonia i dubbi sono ancora  tanti e i rifiuti si accumulano uno sull’altro. È di pochi giorni fa il tweet di Rebecca Ferguson, seconda classificata ad X Factor UK nel 2010. La carriera in ascesa e una richiesta: sì a Trump ma solo se potrà cantare Strange Fruit.
"Una canzone di immensa portata storica, una canzone reputata talmente controversa da esser stata bandita negli USA. Una canzone che parla a tutti i non-bianchi trascurati e oppressi negli Stati Uniti. Una canzone che ci rammenta quanto l'amore sia l'unica cosa che vincerà tutto l'odio che c'è in questo mondo, allora accetterò gentilmente il vostro invito e ci vedremo a Washington."
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La prima volta che Billie Holiday cantò questa canzone era il 1939. Era l’anno di Via col vento, ma la storia d’amore contornata dalla pacifica convivenza fra le popolazioni nere e i bianchi del Sud non corrispondeva alla realtà. Tempo prima, Abel Meeropol, un insegnante del Bronx, aveva scritto una poesia che conteneva tutto l’orrore dei linciaggi verso gli afro americani, al tempo ancora esistenti. L’aveva pubblicata sotto lo pseudonimo di Lewis Allan e ora era lì, nel repertorio della cantante, pronta per il pubblico di New York. Billie aveva ventiquattro anni e una vita tormentata dalla violenza. Suo padre era stato ucciso dalla polmonite che nessun ospedale aveva voluto curargli in tempo, il razzismo era una realtà quotidiana che anche lei sopportava sulla propria pelle ogni giorno. Era nel Cafè Society di New York, l’unico club che consentiva un pubblico misto di neri e bianchi e aveva paura di non rendere il senso del brano e che questo non sarebbe piaciuto. “Southern trees bear a strange fruit, blood on the leaves and blood at the root, black body swinging in the Southern breeze, strange fruit hanging from the poplar trees”.
I corpi che penzolano dai pioppi come in quella foto che probabilmente aveva sconvolto Abel Meeropol e che lo aveva portato a scrivere di ciò che ancora accadeva. La sua voce, che raccontava con cruda esattezza ogni parola, riempì la sala.    
Quando la canzone finì calò il silenzio: “mi venne il sospetto di aver fatto un grosso sbaglio e che forse era meglio che non l’avessi cantata. Alla fine del pezzo non accadde nulla, non ci fu neppure un briciolino di applausi, non il più leggero brusio. Poi attaccò un isolato a battere timidamente le mani e in un attimo gli applausi scrosciarono giù da tutte le parti”.

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È quel momento di muto stupore che la canzone si è trascinata dietro per anni, quella timida paura di iniziare un applauso, il ripercuotersi di un sonoro e pesante schiaffo. La Columbia Records si rifiutò di registrarla, fu così pubblicata dalla Commodore Records, una piccola casa discografica di New York. Non poteva essere cantata ovunque ma diventò uno dei dischi più famosi di Billie Holiday e tutt’oggi legato indissolubilmente al suo nome.  
Un brano di denuncia intriso dello spirito di protesta che anche nei decenni successivi rimase immerso in una sensazione di timore, sia in altri interpreti che nelle radio, causato da quel porre in modo terribilmente crudo alla luce del sole i lati oscuri della società. Un primo grido esplicito contro il razzismo che dalla voce evocativa della cantante è rimasto impresso nella cultura americana e mondiale come esempio del potere che l’arte e la musica possono avere nell’innescare difficili e contrastati processi sociali.   
Nell’autobiografia di Billie Holiday si può leggere: “attraverso gli anni mi sono trovata in una quantità di fatti curiosi per via di questa canzone. In un certo senso mi serviva a distinguere la gente veramente in gamba da quella col cervello bacato”.



Per anni è rimasta in un limbo: troppo impegnata, troppo politica, troppo difficile da poter interpretare ponendosi al posto di colei che l’ha incisa la prima volta. Una delle poche che ci ha provato è stata Nina Simone e negli ultimi anni tanti hanno dato nuova voce al brano di Meeropol: Sting, Dee Dee Bridgewater, Tori Amos, Cassandra Wilson, Annie Lennox ed altri. Quello di Rebecca Ferguson è un invito che non sappiamo se sarà accolto. Certo è che Strange Fruit rimane uno dei brani americani più politicamente significativi, capace di segnare profondamente e di lasciare alla sua conclusione, come quella prima volta, un attimo di sospeso silenzio in grado di scuotere qualsiasi anima.

Fonti:
https://twitter.com/RebeccaFMusic
Billie Holiday, La signora canta il blues

Immagini tratte da:
-https://twitter.com/RebeccaFMusic
-https://commons.wikimedia.org/wiki/File%3ABillie_Holiday%2C_Downbeat%2C_New_York%2C_N.Y.%2C_ca._Feb._1947_(William_P._Gottlieb_04251).jpg William P. Gottlieb [Public domain], via Wikimedia Commons

 
 

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6/1/2017

La sorprendente colonna sonora italiana di Oceania

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di Enrico Esposito

Nel 2016, per la settima volta nella sua storia, la Disney ha distribuito due film d'animazione durante lo stesso anno. Dopo Zootropolis, poco prima di Natale, nelle sale italiane è infatti arrivato Oceania, l'avvincente racconto delle peripezie che la giovanissima protagonista Vaiana incontra per poter salvare il suo popolo. (qui trovate la nostra recensione). Il film colpisce per la vivacità e la passione che avvolgono la narrazione, i personaggi, e non ultima anche la colonna sonora, che nella sua trasposizione in italiano raggiunge alti livelli di spettacolarità e coinvolgimento grazie alla presenza di un vasto repertorio di voci e generi.
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Le musiche di Moana, la versione originale di Oceania, sono frutto di Mark Mancina, luminare classe 1957 dell'industria hollywoodiana, che ha lavorato in tandem con il musicista samoano Opetaia Foa'i e soprattutto il carismatico compositore americano di origini portoricane Lin-Manuel Miranda, astro scintillante del musical broadwayano nonchè affermato attore, cantante e songwriter. Appartengono alla sua ispirazione infatti i testi dei brani (il cui adattamento in italiano è stato realizzato dal paroliere Lorena Bancucci) della pellicola, che, in attesa degli Oscar, ha già portato a casa la nomination a miglior canzone originale per "How far I'll go", traccia di chiusura interpretata dal talento emergente di Alessia Cara. Appena ventenne, Alessia Caracciolo (questo il suo vero nome) è nata in Canada da due emigranti calabresi, passando nel giro di pochi anni dal postare cover acustiche su Youtube a firmare un contratto con la Def-Jam recordings e calcare palchi prestigiosissimi come il Tonight Show with Jimmy Fallon sul canale a stelle e strisce NBC e il Glastonbury Festival in Inghilterra. La sua "How far I'll go" scorre anche durante i titoli di coda finali del film in italiano, mentre nel corso della storia è la voce della giovanissima cantautrice Chiara Grispo a condurre in musica i pensieri dell'eroina Vaiana (nella versione originale del film ad eseguire questi brani è la doppiatrice Auli'i Cravalho).


Vicentina doc, Chiara Grispo
vent'anni invece non li ha ancora fatti (li compirà il prossimo marzo) ma in compenso suona il pianoforte, ha frequentato il liceo musicale e dopo le esperienze a X-Factor 2013  e ad Amici 2015, oggi sta riscuotendo un seguito importante con singoli scritti e registrati in inglese come "Blind" e "Come on". Oceania ci restituisce una sua interpretazione emotiva in simbiosi con l'evoluzione del personaggio di Moana, che gradualmente abbandona dubbi e paure imponendosi con una forza e intelligenza straordinarie. E così il timbro della Grispo da fioco e nascosto diventa aperto e vasto, mettendo in mostra una dolcezza lieve, serena, nella consapevolezza della sua bellezza. Ad accompagnare i canti della fanciulla compare in due momenti chiavi della vicenda la nonna Tala, che nella versione italiana viene doppiata dall'attrice Angela Finocchiaro, esprimendo da una parte vitalità e brio e dall'altra rassicurazione e spiritualità.
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Da sinistra verso destra: Sergio Sylvestre, Chiara Grispo, Rocco Hunt, Angela Finocchiaro, Raphael Gualazzi

I brani in cui si produce Vaiana si presentano come le classiche melodie della tradizione Disney, assoli di musica leggera culminanti nei fiati e negli archi dell'orchestra. Tuttavia in Oceania assume parallelamente un grande rilievo l'aspetto tribale, che valorizzato dai ritmi del Sud-Pacifico creati da Opetaia Fa'i trova nella coralità e pluralità di timbri uno strumento di espressione ben riuscito. Un esempio significativo viene dato dalla traccia "La strada di casa", che accanto alla performance del doppiatore Luca Velletri vede la partecipazione del rapper romano Daniele Vit, per la prima volta alle prese con un'esperienza del genere. Musicista hip-hop nel midollo, egli dimostra di sapersi bene destreggiare tra le pieghe di un canto popolare a tutti gli effetti.
E veniamo ora alle canzoni che trasmettono in maniera evidente la derivazione dal mondo dei musicals e dell'intrattenimento moderno per merito del genio di Lil-Manuel Miranda. Le composizioni in questione sono tratte da un mix effervescente di pop e soul che alla solarità della traccia "Tranquilla" interpretata dal doppiatore Fabrizio Vidale affianca le atmosfere soffuse in cui Raphael Gualazzi, tra cantato e parlato, esegue "Lo splendente Tamatoa".
C'è infine anche spazio per l'hip-hop all'interno della variegata colonna sonora italiana di Oceania. Hip-hop che inaspettatamente si interseca con il soul contribuendo alla felice realizzazione di "Prego", versione italiana dell'originale "You're welcome", adattata nella nostra lingua dal rapper salernitano Rocco Hunt. Ed è proprio lui, il vincitore della categorie Nuove Proposte di Sanremo nel 2015, ad alternarsi gradevolmente all'interno del brano con la voce calda e suadente di Sergio Sylvestre, uno dei più interessanti talenti musicali italiani emersi nel corso del 2016. Gigante di oltre due metri, nato a Los Angeles nel 1991, Sylvestre si è imposto agli onori della cronaca per aver vinto l'ultima edizione di Amici grazie all'oggettivo fascino di una voce "afro" per eccellenza.



  Immagini tratte da:

- Immagine 1 da freall.co
- Immagine 2 da talkymusic.it

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