L’Academy, si sa, è la vetrina più importante per tutti quei film commercialmente appetibili ma a volte può capitare che possa tornare utile anche a pellicole più particolari e artisticamente più interessanti: è stato questo il caso di “Sicario” di Dennis Villeneuve e della musica di Jóhann Jóhannson.
![]() Artista: Jóhann Jóhannson Titolo: Sicario – Original Motion Picture Soundtrack Anno: 2015 Etichetta: Varese Sarabande
È stata indubbiamente una grande sorpresa per i seguaci del cinema di Dennis Villeneuve trovare la sua ultima prova da regista, “Sicario”, fra i lustrini e le accecanti luci del palco americano dell’Academy. Ma non si trovava nelle sezioni più grosse come quella di “Miglior film” o “Miglior attore/attrice protagonista”, assolutamente no, e sperarlo sarebbe stato forse un tantino ingenuo. Era stato piazzato però in quella che è la sezione un po’ al limite rispetto a quelle sopraccitate ma che alla fine non è completamente snobbata o ignorata, spesso oggetto di attenzioni solo dai musicofili se in gara non sono presenti nomi popolari (leggasi Morricone o John Williams come quest’anno): la colonna sonora originale. Fra tutti i cinque candidati, il compositore di “Sicario”, Jóhann Jóhannson, per un verso è sicuramente quello con meno esperienza nel campo delle colonne sonore ma per un altro risulta assolutamente una personalità musicale di rilievo, specialmente nel suo paese, l’Islanda. Fondatore della Kitchen Motors, label indipendente di musica elettronica/sperimentale nonché organizzazione presente nei più svariati ambiti culturali come concerti, mostre, editoria e cinema, il musicista islandese ha fondato vari gruppi (Evil Madness, Ham, Apparat Organ Quartet fra i tanti), intessendo collaborazioni con tanti artisti internazionali e musicando spettacoli teatrali, documentari e, naturalmente, film. In tempi recenti Jóhannson è riuscito a balzare agli onori della cronaca internazionale proprio in ambito cinematografico, grazie ad un’altra opera di Villeneuve di tre anni fa, “Prisoners”, e soprattutto alla pellicola candidata al premio Oscar 2015 “La teoria del tutto” che ha fatto notevolmente salire le quotazioni del compositore islandese nel campo delle colonne sonore.
Per tutta la durata della musica, il battito ritmico e continuo di una tellurica pulsazione dal sapore industrial che sembra provenire dalla terra guida non solo l’orchestra ma anche la storia, facendole assumere ora toni drammatici per quanto riguarda la protagonista Emily Blunt, agente dell’FBI alle prime armi in un contesto estremo come quello della lotta ai cartelli della droga, ora più inquietanti e soffocanti invece per gli altri due comprimari, Josh Brolin e Benicio Del Toro, quest’ultimo con una prova attoriale assolutamente sopra le righe.
Nonostante il forte coinvolgimento emotivo che una tale scelta stilistica può comportare, e che in parte comporta, la musica, specialmente all’inizio, stenta a distaccarsi dal discorso filmico e non riesce a vivere completamente di vita propria. In particolare le prime cinque tracce, le più ossessive e oscure della colonna sonora, acquisiscono vera forza e potenza soprattutto se abbinate alle immagini del film, mentre se ascoltate indipendentemente perdono di espressività, anche se i suoni ottenuti con il certosino lavoro di post produzione rimangono efficaci e a loro modo affascinanti. Questa reiterata ripetitività che non fa altro che abusare della ritmica delle percussioni e addirittura rischia di scadere nella monotonia, almeno per chi scrive; molto più interessante è invece quando viene accostata al resto dell’orchestra come in “Night Vision”, “Tunnel Music” o nella dinamica “Convoy”. “Sicario” è un film che gioca molto col concetto di “confine”: confine fra bene e male, fra uomini e natura, fra deserto e ambiente metropolitano, e Villeneuve cerca di mettere alla prova il nostro occhio trasportandoci da un luogo a un altro facendoci perdere continuamente lo sguardo sullo schermo. Jóhannson, il quale ha iniziato a comporre le musiche prima ancora che partissero le riprese, traspone questo continuo cambio di ambienti nella sua musica: se i brani prima elencati si riferivano a luoghi più urbani e artificiali, ecco che ne emergono altri, i più belli e interessanti, che descrivono ampi spazi desertici sferzati dal vento caldo come in “Desert Music” e il suo violino, o “Melancholia”, dal fascino crepuscolare dato dagli arpeggi di una chitarra suonata al tramonto, e ancora l’ultimo brano, il migliore dell’intero lavoro, “Alejandro’s Song”, nenia spettrale dai cori quasi sacrali. Per apprezzare appieno questo lavoro di Jóhann Jóhannson non bisogna fermarsi ai primi superficiali ascolti: esso segue lo stesso andamento della pellicola, lento ed inesorabile; forse meno sfaccettato rispetto alla musica di “Prisoners” ma capace ugualmente di dare carattere alle scene e di regalare alcuni dei migliori brani che la musica da film abbia partorito negli ultimi anni. Per chi crede che l’Islanda finisca con Bjork e Sigur Ros, un artista assolutamente da scoprire.
Immagini tratte da:
copertina, da Amazon Jóhann Jóhannson, da discogs.com
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Dopo la recensione su Ennio Morricone e il suo lavoro per “The Hateful Eight” andiamo a scoprire un’altra colonna sonora, ugualmente interessante ma di tutt’altro carattere: “Carol” di Carter Burwell.
Se fra la rosa delle musiche candidate a miglior colonna sonora originale per gli Oscar appena trascorsi bisognerebbe scegliere quella alla quale il termine “elegante” calzerebbe meglio, molto probabilmente il nome di “Carol” sarebbe il candidato migliore. Non che le altre non lo siano (Morricone stesso ce ne ha dato ulteriormente un assaggio) o non nascondano al loro interno momenti di eleganza musicale, tutt’altro. Ma il fatto è che sono solo momenti, appunto, e se anche sono molto intensi sono parimenti molto brevi.
La musica composta da Carter Burwell che accompagna e sostiene le immagini dell’ultimo film di Todd Haynes, alla sua terza collaborazione con il compositore dopo “Velvet Goldmine” e la serie tv “Mildred Pierce”, non vive di momenti ma fa della ricerca dell’eleganza e della semplicità le sue costanti principali. Costanti che possono essere facilmente rintracciate nella maggior parte dei suoi lavori, in particolare in quelli eseguiti per Joel ed Ethan Coen da “Blood Simple” del 1984 per tutta la loro nutrita filmografia incluso l’ultimo “Ave, Cesare”. La singolarità e la bellezza delle musiche di “Carol” risiedono nel fatto che si muovono con i personaggi, portando in superficie oppure sottolineando tutto il carico emotivo che si viene a creare fra il gioco di sguardi degli attori, aderendo su questi ultimi come un elegante e vellutato vestito di seta sul corpo di Cate Blanchet, affascinante donna di mezza età alla ricerca di un amore che il suo confortevole nido famigliare evidentemente non riesce a dare. Emblematico da questo punto di vista il tema principale che già dai primi secondi denota egregiamente l’intera cornice entro la quale le due protagoniste dispiegano la loro vicenda: l’ensemble composto da un quartetto d’archi, pianoforte, arpa e alcuni legni disegnano un’atmosfera molto intima, dall’ andamento musicale quasi neoclassico, riservata tutta al rapporto fra le due attrici principali e le loro frasi sommesse e trattenute, come se non volessero rubare tempo al loro amore. Perché “Carol” potrebbe essere anche un film su un amore impossibile: impossibile non certo perché irrealizzabile e lontano ma poiché schiacciato dagli eventi e quindi profondamente malinconico; malinconico proprio come gli occhi della Blanchet e Rooney Mara e la musica che le accompagna.
Burwell riesce a dare spessore anche agli ambienti, in particolare quelli notturni e metropolitani della New York anni ’50: il piano riverberato di “To Carol’s” descrive con i suoi echi la lontananza ma anche la forte attrazione fra le due, osservate attraverso un vetro sporco di pioggia di una finestra o di un taxi. Il resto della colonna sonora si muove tutta su queste atmosfere minimali e trattenute, giocando e riprendendo la melodia del tema principale, aggiungendo a quest’ultima poco o nulla a livello musicale ma riuscendo a mantenersi sempre su un alto livello compositivo. Oltre alle musiche originali di Burwell sono presenti una serie di brani scritti fra il ’50 e il ’52 e molto famosi all’epoca, come “Smoke Rings” di Les Paul e Mary Ford, “Kiss Of Fire” di Georgia Gibbs e la delicatissima “No Other Love” di Jo Stafford scritta a partire dallo studio No.3 Op.10 di Chopin.
La musica di “Carol” è un ottimo lavoro dove si percepisce tutto il peso specifico di un autore, Carter Burwell, che sa come andare a stimolare le corde più profonde di una certa sensibilità fragile e malinconica. Un’opera che meriterebbe di certo molta più attenzione e sarà difficile dimenticarsene una volta ascoltata perché come dice Armani: “l’eleganza non è farsi notare ma farsi ricordare”.
Immagini da:
- foto di Burwell: www.ew.com
“The Hateful Eight” rilancia Morricone verso i suoi vecchi mondi sonori che l’hanno reso grande per tutto un certo tipo di cinema.
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Per l'88esima edizione dei premi Oscar tenutasi a Los Angeles sono stati cinque i candidati per la categoria di miglior colonna sonora originale: Morricone con “The Hateful Eight”, John Williams con il settimo episodio della saga di Star Wars, Carter Burwell con “Carol”, Jóhann Jóhannsson per “Sicario” e Thomas Neuman con l’ultima fatica di Spielberg, “Il ponte delle spie”.
Forse quella doppia cifra, ottantotto, poteva essere già un piccolo presagio: Morricone l’ha spuntata sugli altri quattro compositori ed è riuscito finalmente a coronare la sua lunghissima e prolifica carriera con l’Oscar, dopo che per svariati anni gli è stato soffiato praticamente da sotto il naso, anche da colonne sonore non all'altezza delle sue. Dopo il premio alla carriera, l’Academy si è quindi finalmente ricordata di Ennio Morricone, grazie anche ad un cineasta americano, Tarantino, che invece non si è mai dimenticato di lui e di tutto il cinema italiano. Ottantasette anni, più di cinquecento lavori fra colonne sonore, sigle e canzoni all'attivo, riconosciuto universalmente come uno dei (se non proprio il) più importanti rivoluzionari della musica da film: tutto ciò non ha comunque impedito a Morricone di commuoversi profondamente di fronte a tutta la platea del Dolby Theatre, ringraziando soltanto sua moglie Maria e il collega John Williams. Le sue parole così come la sua stessa figura sono state di una semplicità disarmante, stridendo a tratti con la pomposità dello spettacolo messo in scena dall'Academy, dimostrando, come se ce ne fosse ancora bisogno, quanto la musica e solo quella sia per Morricone fondamentale, vitale, assoluta. Perché sostanzialmente solo un compositore completamente dedito all'arte può riuscire a partorire un lavoro di così alto profilo com'è quello per “The Hateful Eight” in così poco tempo, ovvero circa cinque mesi dall'uscita nelle sale americane della pellicola, lavorando nel frattempo anche con due altri colossi come Tornatore e Malick. ![]()
Si è detto che Morricone fosse tornato al western dopo più di trent'anni, precisamente da “Occhio alla penna” del 1981: più che a questo genere che l’ha reso celebre, in realtà è “ritornato” a sonorità tese e dalle atmosfere sospese, cariche di tensione e pronte a esplodere da un momento all'altro. Come ormai la maggior parte del pubblico ha capito, l’ottavo film di Tarantino usa il western per mettere in scena un giallo da camera alla Agatha Christie in pieno stile “Dieci piccoli indiani”, senza neanche dimenticare un retrogusto al sangue da film horror alla “Carrie – lo sguardo di Satana” e “L’Esorcista” nel finale: la musica orchestrata da Morricone si muove proprio su questi molteplici binari, giocando con i generi che lui stesso ha contribuito a creare e tenendoli in perfetto equilibrio fra loro. Così come il film potrebbe essere diviso idealmente in due parti, una più teatrale finalizzata all’accumulo della tensione e l’altra al rilascio e all’esplosione violenta della stessa, anche la colonna sonora potrebbe essere riassunta in due brani cardine, la meravigliosa ”Overture” (presente solo nella versione integrale del film in 70mm) e “L’ultima diligenza di Red Rock”. Il primo brano è il corrispettivo musicale della prima parte: gli archi sembrano disegnare una tela invisibile, preparano il terreno per la misteriosa vicenda e calano da subito l’ascoltatore nell’atmosfera della pellicola mentre il secondo, grazie al suo tono quasi da thriller alla “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, incendia lentamente l’aria fino alla finale esplosione sanguinaria, un folle declino verso un’inaspettata verità; sublime l’uso che Tarantino fa di questo brano sin dai titoli di testa, con un lungo piano sequenza su un Cristo di legno innevato, e dove musica e immagini riescono ad andare perfettamente insieme in un continuo crescendo. La colonna sonora contiene anche altri momenti memorabili come “Neve”, il pezzo più lungo da dodici minuti che riprende il tema dell’”Overture” rendendolo ancora di più ampio respiro, e “L’inferno bianco”, probabilmente il brano dal tono più “mistery” della colonna sonora. Della partita sono anche due brani non originali, “Apple Blossom” dei The White Stripes e “Now You’re All Alone” di David Hess, anche attore in “L’ultima casa a sinistra” di Wes Craven da dove il brano è stato tratto. Ancora una volta Morricone è riuscito nel duplice intento di dare spessore alle immagini e di rendere fruibile la musica anche indipendentemente da esse, donandole vita autonoma come solo le più grandi colonne sonore possono fare. E’ spaventosamente abissale la differenza che corre fra l’utilizzo della musica fatto da Tarantino nei suoi lavori precedenti e in quest’ultima sua opera, rendendo del tutto comprensibili le aspre critiche mosse in passato da Morricone nei confronti del regista. L’esperimento in “The Hateful Eight” ha funzionato egregiamente: non resta che attendere i già confermati progetti futuri del binomio Morricone-Tarantino.
Immagini tratte da:
Ennio Morricone, oubliettemagazine.com Copertina del disco, Wikipedia, lingua inglese, voce "The Hateful Eight (soundtrack)" |
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Aprile 2023
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