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30/3/2017

Motta alla fine dei vent’anni

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​di Alice Marrani
Francesco Motta ormai di anni ne ha trenta, compiuti a ottobre. A un anno dall’uscita di La fine dei vent’anni, primo disco da solista, il suo tour si concluderà questo ultimo fine settimana passando stasera dal palco del Deposito Pontecorvo (Pisa, sua città di origine), per arrivare il primo aprile all’Alcatraz di Milano.
Pisano cresciuto a Livorno, ha lasciato la Toscana cinque anni fa e da allora vive nella Capitale. L’opera prima non è realmente la prima ma segue una grande quantità di collaborazioni e di lavori personali che lo vedono attivo musicalmente già da dieci anni. I primi lavori risalgono all’inizio dei suoi vent’anni: due album usciti sotto il nome della band Criminal Jokers del quale è stato uno dei fondatori, il primo di questi, This Was Supposed To Be The Future, pubblicato nel 2010, è stato prodotto da Appino, leader degli Zen Circus.
Polistrumentista estremamente versatile, ha collaborato suonando chitarra, basso, tastiere e batteria con Nada, Pan del Diavolo, Zen Circus, Giovanni Truppi.
Il trasferimento a Roma lo ha portato in un percorso di studi di Composizione per film presso il Centro Sperimentale di Cinematografia dal quale sono derivate colonne sonore per film e documentari.

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Arrivato vicino ai trenta vede la pubblicazione del suo primo album da solista, un racconto della fine del percorso di crescita e dell’avvicinamento a quella che è una tappa simbolica della vita di ognuno, il passaggio all’età adulta con tutto ciò che questo comporta.
Nell’epoca nella quale si dice che i trent’anni siano i nuovi venti, Motta racconta una presa di coscienza della maturità personale, la fine di un periodo post-adolescenziale che si tramuta in maturità necessaria. ”La fine dei vent'anni è un po' come essere in ritardo, non devi sbagliare strada, non farti del male e trovare parcheggio”, così dice nella title track dell’album.
Un disco, frutto di un lavoro solitario di scrittura e registrazione durato circa quattro anni a stretto contatto con il produttore Riccardo Sinigallia, che segna un passaggio artistico oltre che quello biografico. Non è un disco d’esordio ma un punto di svolta in un percorso di maturazione. La selezione attenta dei materiali, la voce a tratti aspra, la scelta attenta delle dinamiche e delle parole in base al loro peso, dei suoni, dei tocchi elettronici, delle influenze etniche, ai ritmi ossessivi tribali, hanno creato dieci inediti che prendono il meglio del passato di Motta e lo mescolano ad un cantautorato pop che entra dentro a temi personali e quotidiani con estrema chiarezza e consapevolezza. Dall’importanza della famiglia di Mio padre era un comunista, alla dedica alla città che lo ha adottato di Roma stasera, a Sei bella davvero e Del tempo che passa la felicità, si racconta in modo sincero, introspettivo e allo stesso tempo, come ha dichiarato in tante interviste, in un certo senso, politico.


​Nel disco, oltre a Motta alla batteria, basso, voce e tastiere, si trovano elementi di Pan del Diavolo (Alessandro Alosi), Bud Spencer Blues Explosion (Cesare Petulicchio), Giorgio Canali, Andrea Ruggiero, Laura Arzilli e tanti altri.
Nel 2016, dall’uscita dell’album per Woodworm il 18 marzo, ha ritirato una Targa Tenco per la miglior Opera Prima, il MEI gli ha assegnato il premio PIMI Speciale 2016 per l’artista indipendente più rilevante per l’attività svolta fra il 2015 e il 2016 e ha girato l’Italia in un tour che lo ha fatto apprezzare dal vivo quanto dal disco, unendo il successo del pubblico agli apprezzamenti della critica.
Immagine tratte da:
- https://www.facebook.com/francescomottaufficiale/

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24/3/2017

Chuck Berry – il ragazzaccio del Missouri dal passo d'oca e il rock'n'roll nel midollo

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di Enrico Esposito


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Da Saint Louis a Saint Louis. Più di novant'anni dopo. Sabato scorso, nel suo Missouri, dopo una vita burrascosa condotta sempre al limite tra insofferenza del mondo musicale, il suo caratteraccio, e la fondazione del rock'n' roll, si è spento serenamente Chuck Berry, una delle leggende dell'arte sonora novecentesca. Un chitarrista prima di tutto, estroso e geloso del suo privato. Ragazzo di colore non proveniente da un quartiere malfamato e buio. Pupillo di un altro grande progenitore della musica contemporanea, Muddy Waters, che gli diede la possibilità di esibirsi e incidere. E realizzare nell'arco di soli tre anni, dal 1955 al 1958, un turbinio di copie vendute e l'elezione a idolo delle folle, giovanili e non, grazie alla spensieratezza dei suoi testi e all'imponente presenza scenica, con il suo caratteristico "Duck Walk", "il passo d'anatra". Chuck, probabilmente il primo musicista di colore a conquistare un pubblico misto, sfrontato e arrogante, che sin da adolescente aveva cominciato a infrangere la legge per diversi furti e aveva visitato il riformatorio. Fu nel 1959, all'apice di una popolarità conquistata sulla radioattività della chitarra elettrica e la voce frizzante di "Maybelline", "Johnny B. Goode", "Roll Over Beethoven", che il pioniere del rock'n'roll cadde di nuovo vittima della sua impulsività, quando venne accusato di aver fatto sesso con una quattordicenne e patteggiò tre anni di carcere.

Quando uscì dal gabbio, erano arrivati gli anni '60 e la musica non era più la stessa. In un sol colpo, l'America e con essa il mondo erano stati letteralmente sedotti dal surf dei Beach Boys, dal pop dei Beatles e dal rock dei Rolling Stones, che avevano inaugurato una nuova epoca culturale molto diversa dai tempi di Buddy Holly, Woodie Guthrie e Chuck Berry, tempi in cui imperversava la figura dello one man show rispetto alla dimensione collettiva delle bands.

Chuck Berry era stato largamente dimenticato da quelle masse che, come in un plebiscito, l'avevano adorato al punto da consegnarlo al mito. Ma il suo modello compositivo non era stato dimenticato proprio dai Beach Boys, da Mick Jagger, da John Lennon, che una volta dichiarò «Quando sento del buon rock, del calibro di quello di Chuck Berry, cado praticamente in ginocchio. Nient'altro della vita mi interessa. Il mondo potrebbe finire e non me ne importerebbe». Le bands del momento si erano infatti formate sulle hits di Berry, le avevano reinterpretate, ne avevano fatto la base per forgiare altre pietre miliari; è il caso di “
Surfin' USA” dei Beach Boys nata dagli accordi di “Sweet Little Sixteen” di Berry. Quando Chuck ritornò in circolazione, fu grazie alla sincera ammirazione nei suoi confronti da parte di questi artisti a far sì che il "passo d'anatra" potesse riprendere il cammino interrotto sui palchi più prestigiosi, sfornando nuovi brani di respiro internazionale come "You never can tell".
Da sinistra verso destra: Chuck Berry con John Lennon, gli Animals, e Mick Jagger.
Chuck Berry firmò con la Mercury Records, con cui incise cinque album, riportò in auge i successi del triennio d'oro degli anni '50, diede un pugno dritto in faccia a Keith Jarrett perché imbracciò la sua chitarra senza permesso, patteggiò circa un milione di dollari col fisco americano perché aveva evaso delle tasse relative ai concerti. Insomma era il Chuck di sempre, irascibile ma mai domo, che bocciava in maniera inesorabile il punk e i suoi fautori, che ancora a settanta anni portava "on the road" il grido di un'epoca lontana quasi mezzo secolo, ma dal merito incancellabile di aver gettato i semi del rock, del blues, dell'R'n'b.

Non è stato certo uno stinco di santo, tutt'altro, visto che ne ha fatte di cotte e crude, ma, d'altronde, senza la sua indole fuori dall'ordinario, Chuck Berry non avrebbe potuto farsi strada all'interno di un mondo in cui se non hai fegato, puoi restartene a sognare in panciolle. Ridotto a uno scheletro, quasi cieco del tutto, ma ancora perfettamente cosciente e reduce dalla pubblicazione del suo ultimo album, uscito nell'autunno del 2016 e intitolato con un semplice "Chuck", il ragazzaccio del Missouri se n'è andato lasciando all'immortalità tutta la sua musica.

  Immagini tratte da:

- Immagine 1 da www.chuckberry.com
- Galleria da www.guitaraficionado.com; www.gettyimages.com; www.teamrock.com

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17/3/2017

Musicalbox: Depeche Mode – Spirit

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Tornano, ormai a scadenza apparentemente fissa di quattro anni fra un disco e l’altro, i re incontrastati dell’electro pop, i Depeche Mode, che tagliano il traguardo del quattordicesimo album con Spirit, uno sguardo disincantato e sofferto sul caos del presente.
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​di Carlo Cantisani
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We're going backwards/Ignoring the realities/Going backwards/Are you counting all the casualties?
Un mondo attraversato da opposizioni che gli uomini creano fra loro in nome degli estremismi, muri eretti per contrastare coloro che vengono etichettati come “diversi”, una tecnologia ormai invadente che rischia di sfuggire a qualsiasi forma di controllo, il tutto servito con una forte dose di egocentrismo, narcisismo e supponenza che ci fa perdere il senso della “realtà”. Realtà umana fatta di relazioni, di costruzione continua del futuro, di comunicazione, ma che si risolve invece in puro nulla. Sembra questa l’interpretazione scelta da Dave Gahan per inquadrare dal suo punto di vista il mondo contemporaneo. Che abbia ragione oppure no, la voce dei Depeche Mode è sempre riuscita a dare forma alle più profonde inquietudini dell’anima, con un piglio drammatico e sottilmente decadente, e probabilmente non potrebbe fare oggi altrimenti. Come dichiarato dal gruppo in sede dell’unica intervista concessa a Rolling Stones USA, l’ultimo album in studio del trio britannico, Spirit, è “un disco sull’umanità, sul nostro posto nel mondo. Se vogliamo che le cose cambino, dobbiamo occuparci di cosa succede. Ma sembra che stiamo andando in un’altra direzione”.
Going backwards, quindi, come recita il testo riportato all’inizio nonché il titolo del brano di apertura di questo nuovo disco. La riflessione sul presente si fa amara, tendente a sottolineare il lento ma inesorabile processo di disumanizzazione in atto: di conseguenza, la musica contenuta in Spirit non può far altro che accompagnare questa idea generale, ponendosi come il logico riflesso dei sentimenti e della percezione dei musicisti.
Gahan chiama e declama, Martin Gore e Andrew Fletcher rispondono, e in maniera altrettanto potente: le note di pianoforte scandite sin dall’apertura dell’album fanno già intendere di che colore sarà l’anima dell’intero disco, divisa fra il grigio dominante, tocchi di oscurità ma soltanto appena sfiorata, e rari lampi di rosso per accendere una rabbia latente e nascosta. Il precedente Delta Machine aveva un piglio più acido, teso e maggiormente elettrico nel suo mood generalmente industrial; Spirit sembra volersi scrollare di dosso questa enorme matassa metallica puntando invece alla fisicità e alla visceralità che l’urgenza della visione dei Depeche Mode porta adesso con sé. Un’urgenza che, in ogni caso, predilige una maggiore distensione dei suoni, magari rendendoli un po’ più pesanti e carichi, come nel singolo Where’s the Revolution, il brano che esplicita sin dal titolo il piglio politico del disco, in Poorman e Going Backwards. L’animo decadente che da sempre accompagna il gruppo ha spazio in pezzi come in The Worst Crime, dove l’intimità della voce di Gahan si accompagna alla chitarra pulita, nell’incedere quasi soul di Poisoned Heart e nelle pulsazioni elettroniche di Cover me, caratterizzata da una coda strumentale che riesce a squarciare per un attimo il grigio fumo, ponendosi così come uno dei brani più affascinanti del disco. C’è spazio anche per un piccolo e fugace salto nel passato grazie a So Much Love che, con il suo piglio new wave percussivo e diretto, sembra uscita direttamente dai vecchi album degli anni ’80 del gruppo, con in più una dichiarazione altamente personale e soggettiva che la rende meno innocente: You can despise me/Demonize meIit satisfies me so! /There is so much love in me. È forse grazie a questo accenno a una catarsi individuale che Spirit assume un’altra dimensione, se pur comunque minima e non certo preponderante, che permette di dare sfogo lo stesso alla propria frustrazione attraverso pezzi più velenosi come Scrum o con un andamento oscuro e allo stesso tempo sensuale, come in You move.
Giunti alla fine dell’album, non si può che rimanere soddisfatti del lavoro della band: si potrebbe tranquillamente dire che Spirit è l’ennesimo ottimo album dei Depeche Mode, che non aggiunge niente e non toglie nulla a una discografia che ha alle spalle trent’anni di vita. Se pur perfettamente inquadrati in uno stile che è esclusivamente loro, i Depeche Mode riescono, invidiabilmente, a non risultare mai stancanti e ripetitivi, evitando di svuotare la loro scrittura, la quale invece si è mantenuta viva e fresca nel corso dei decenni, grazie a una personalità molto marcata e a una formula che pone in perfetto equilibrio la voce sensuale e drammatica di David Gahan con le architetture sonore minuziosamente curate (anche negli episodi più “sporchi) di Gore e Fletcher. L’urgenza di Spirit è palpabile, la sua musica molto solida: i Depeche Mode non hanno ancora smesso di dire ciò che volevano da sempre affermare, e ciò non è affatto poco.
 
Depeche Mode – Spirit (Columbia, 2017)
  1. Going Backwards
  2. Where’s the Revolution
  3. The Worst Crime
  4. Scrum
  5. You Move
  6. Cover me
  7. Eternal
  8. Poisoned Heart
  9. So Much Love
  10. Poorman
  11. No More (This is the Last Time)
  12. Fail


​Immagine tratte da:

pitchfork.com

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17/3/2017

Il Girello di Jacopo Melani

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Di Alice Marrani

Mentre la Manon Lescaut di Puccini tornerà domani sera a Pisa dopo ventuno anni, a Pistoia andrà in scena Il Girello un’opera dalla produzione del Teatro Verdi in collaborazione con l’Associazione Teatrale Pistoiese e con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.
Per la prima volta eseguita in tempi moderni, quest’opera andrà ad arricchire il programma di eventi per la Capitale Italiana della Cultura 2017 e arriverà anche al Teatro Verdi di Pisa a novembre, nel programma della prossima stagione lirica. L’opera è un dramma burlesco con la musica del compositore pistoiese Jacopo Melani e il libretto di Filippo Acciaiuoli.

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È stata rappresentata per la prima volta nel 1668 al Palazzo Colonna di Roma. Arriva oggi, al Teatro Manzoni di Pistoia, con un nuovo allestimento, nato dall’unione di Auser Musici, ensemble dalle radici pisane che dal 1997 si occupa della musica europea del sedicesimo e diciassettesimo secolo, e delle marionette della Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli che negli ultimi quarant’anni hanno portato questa arte in Europa e nel mondo. La direzione è di Carlo Ipata e la regia di Eugenio Monti Colla. Le marionette vestiranno i panni dei personaggi comici in una visione parodistica del potere che si alterna fra le mani del giardiniere Girello e i personaggi nobili Filone e Ormondo, con colpi di scena, magia, intrecci amorosi. Ci viene riproposta in un’unione fra i vari registri drammatici e la Commedia dell’Arte, da una versione documentata [“…con fantoccini…”], eseguita per il carnevale di Venezia del 1682. La famiglia pistoiese dei Melani che contò, in tre generazioni, due compositori e quattro cantanti, passò dalla condizione di “popolani” di una cittadina di provincia a una posizione di spicco nella sfera artistica e politica del Seicento, in Italia e poi in Europa. A loro sarà dedicata una tavola rotonda di approfondimento, domani 18 marzo alle 16.00, presso il Palazzo De’ Rossi di Pistoia.

Il Girello sarà al Teatro Manzoni di Pistoia domani sera, 18 marzo, alle ore 21.00 e domenica 19 marzo alle 16.00.

Teatro Manzoni: http://www.teatridipistoia.it/teatro-manzoni/
Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017: http://www.pistoia17.it/it/
Teatro Verdi di Pisa: http://www.teatrodipisa.pi.it/


Immagini tratte da http://www.teatrodipisa.pi.it/


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10/3/2017

The Chainsmokers - Fumatori accaniti di successo

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di Enrico Esposito

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"Fumatori accaniti". Non sappiamo se lo siano di nome e di fatto, ma di certo The Chainsmokers ci sanno fare eccome con la musica dance. La loro hit autunnale "Don't let me down", in collaborazione con la giovanissima cantante Daya (classe 1998), si è aggiudicata il Grammy nella categoria "Best Dance Recording", consacrandoli come una delle realtà più importanti sulla scena della disco. E il loro ultimo singolo intitolato "Something Just Like This", che vede la partecipazione dei Coldplay, ha aperto per il duo statunitense le porte per accedere ai salotti privilegiati della musica.

Per il newyorchese Alex Pall, appena trentunenne, e il socio Andrew "Drew" Taggart del Maine, lui nemmeno trentenne, è tutto partito con un selfie. Non parliamo di uno scatto fortunato col produttore buono, nè con il rapper giusto. "#Selfie" è il brano d'esordio con cui The Chainsmokers si sono fatti conoscere al mondo alla fine del 2013. Traccia scaricabile gratuitamente dal web, spuntata da chissà dove nel momento in cui la moda dell'autoscatto stava raggiungendo l'apoteosi. Una furbata firmata da due giovani ex-studenti che sotto l'egida del manager Adam Alpert avevano intrapreso il progetto nel settembre del 2012, cominciando con dei remix di brani indipendenti e lanciandosi nella pubblicazione propria con i singoli "Erase" e "Rookie", incisi insieme alla cantante e attrice indiana Priyanka Chopra. Tra i milioni di timpani a cui era arrivata la simpatica melodia di "#Selfie", ce n'erano due in particolare che contavano moltissimo in ambito discografico. Il loro proprietario era Steve Aoki, disc-jockey americano di origini giapponesi, nonchè fondatore della casa di produzione Dim Mak records, che in meno di un mese reclutò The Chainsmokers all'interno della sua etichetta e conferì a "#Selfie" una risonanza mondiale e l'invasione delle classifiche di musica elettronica. Fame e successo per la premiata ditta Pall – Taggart, i due bravi ragazzi dalla faccia acqua e sapone e dai pochi vizi, che un anno dopo, nel 2015, firmavano un nuovo contratto, questa volta con la Disruptor Records, cellula di una certa Sony. Il successone.
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"Bouquet" è il nome del loro primo Ep, uscito nell'Ottobre 2015, e capace di conquistare fans su fans per merito di singoli diversi l'uno dall'altro nell'interpretazione e nella fusione di generi ai quali lo stile dei The Chainsmokers si richiama. Il loro marchio di fabbrica è un dance-pop che non disdegna frammenti elettronici e hip-hop, e sprigiona la sua originalità per merito dell'incontro della potenza dei ritmi con l'efficacia dell'alternanza alla voce tra Drew e le differenti vocalists che si prestano al featuring di turno. Tra queste Elizabeth Mencel in arte "Rozes", che canta "Roses", la traccia maggiormente apprezzata di "Bouquet", la già citata Daya in "Don't let me down", e soprattutto Halsey. Halsey è un anagramma di Ashley, un gioco di parole apparentemente comune ma in realtà simbolo di una condizione difficile, un disturbo bipolare di cui soffre Ashley Nicolette Frangipane, vulcanica songwriter di origini italiane che con il suo album di debutto "Badlands" aveva ottenuto una popolarità clamorosa nell'estate di due anni fa.
Halsey dà vita in "Closer" a un duetto intenso con Drew Taggart, un dialogo tra due innamorati che ritornano a incontrarsi dopo quattro anni di lontananza. Prima parla lui, poi tocca a lei, entrambi si esprimono quasi sottovoce, intimiditi. Poi si incrociano, il loro tono diventa energico, le parole d'amore che pronunciavano separatamente si alzano all'unisono. Questa è l'armonia di "Closer", l'hit estiva dei The Chainsmokers che li ha visti balzare direttamente al primo posto della classifica dei singoli più venduti in Usa e in Gran Bretagna, e conquistare il gotha della scena musicale odierna.

Dopo la sbornia trionfale del 2016, il duo, che nel frattempo ha accolto all'interno della sua formazione live il batterista Matt McGuire, non si è rilassato granchè, rendendo disponibile il 13 gennaio del nuovo anno la canzone "Paris", ancora giocata su una commistione di voce maschile e femminile. Appena due settimane fa, in contemporanea con l'uscita di "Something Just Like This" featuring Coldplay, The Chainsmokers hanno annunciato l'uscita del loro primo album dal titolo "Memories ... Do Not Open" per il 7 Aprile, nel pieno del loro tour, che in una selva di date oltreoceano non mancherà di far tappa in Italia, precisamente a Milano, il 28 giugno all'Urban Festival di San Siro.
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9/3/2017

Gli EX-OTAGO arrivano a Livorno

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di Alice Marrani

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Gli Ex-Otago arrivano al The Cage Theatre di Livorno nel bel mezzo del loro tour, iniziato nel 2016 in seguito all’uscita di Marassi, loro quinto album. Un nuovo singolo e un nuovo video firmato da Serena Gargani e Lorenzo Martellucci precedono le date del 2017. L’entrata del rap fra le strofe di Gli occhi della luna, è frutto di una collaborazione nata dall’incontro fra la band genovese e Francesco Vigorelli, in arte Jake la Furia, dopo un’ospitata sul palco di un locale di Milano, nella prima parte del tour. Unione che arricchisce lo spirito del disco in un accordo di pop e rap che si sposa perfettamente con tutto il resto dell’album.


Marassi è un quartiere di Genova, sede dello stadio e del carcere, della città che ha visto nascere gli Ex-Otago nel 2002 e nel quale ancora vivono. A tredici anni dall’uscita del disco di esordio, The Chestnuts Time, dopo il viaggio esotico di In capo al mondo, uscito nel 2014, il gruppo torna indietro là dove è nato, dove può trovare lo spirito della più sincera contemporaneità e le sue contraddizioni, il divario fra generazioni e la quotidianità attuale. Raccontano la città, la generazione e allo stesso tempo loro stessi, unendo uno sguardo sociale (presente per esempio in Cinghiali incazzati e I giovani d’oggi, primi estratti del disco) e uno più intimo e introspettivo, entrambi intrisi di un senso di leggera malinconia e di esplicita volontà di raccontare la realtà. Dal loro lavoro e quello di Matteo Cantaluppi (già produttore di Fuoricampo dei Thegiornalisti) nasce un disco di un pop fluido ed essenziale che si immerge nei suoni dei synth, in richiami ad un certo periodo di Jovanotti e in certi sapori anni ’80.
Le date del tour si spingono verso la primavera. Al The Cage Theatre il concerto inizierà alle 22.30. Per maggiori informazioni sui biglietti e sull’evento:
 https://www.facebook.com/events/203799573425935/
http://thecagetheatre.it/
http://ex-otago.tumblr.com/

Immagine tratta da:
https://www.facebook.com/events/203799573425935/


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3/3/2017

Una Leggera Musica Nuda

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di Alice Marrani
Quando la leggerezza salva e protegge, ci ricorda chi siamo e cosa possiamo essere. Non frivola superficialità ma possibilità di guardare tutto da un punto di vista più alto, “senza macigni nel cuore”. Questo è l’approccio calviniano che Petra Magoni e Ferruccio Spinetti hanno usato nel loro nuovo album, Leggera, uscito a gennaio 2017 per Warner Music. Una leggerezza densa di consapevolezza e di esperienza che permette di non farsi appesantire dal grigiore del mondo contemporaneo. Una controtendenza quindi rispetto all’attualità difficile che, lo vediamo tutti i giorni, è pesante e si rispecchia inevitabilmente anche nella maggior parte della musica di ultima uscita. “Leggera” come la musica leggera italiana degli anni ’60 dalla quale Petra Magoni e Ferruccio Spinetti si ispirano per il loro decimo disco. Undici inediti e una cover di un brano di Bruno Lauzi. Tutto il buio generalizzato che appesantisce questi anni non passa attraverso le armature cinquecentesche che i due indossano in copertina (sono vere e originali), ma si ferma sull’arma impugnata da Spinetti, un contrabbasso, e si scioglie nella tazza di tè fra le mani di Petra.

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La leggerezza mista a raffinatezza di Musica Nuda scorrono in ognuna delle canzoni del disco. Dall’intimità dell’amore nelle sue sfumature all’ironia teatrale di Zitto Zitto, dal tepore del piumone quando di lunedì non vorremmo mai alzarci all’ambiguo via vai di una grande libreria. Qualsiasi cover o inedito che passa fra le mani (e la voce) di Musica Nuda assume una sonorità immediatamente riconoscibile. In questo disco completamente in italiano, gli anni Sessanta si mescolano alla liricità del napoletano, a sonorità jazz, sentori brasiliani. La voce poliedrica e istrionica si unisce e si moltiplica, unita alla varietà tecnica del contrabbasso, ai suoni della chitarra, in un tutt’uno che, per essere “nudo”, nessuno definirebbe vuoto o monotono.
Molti i nomi che hanno firmato i brani del disco: Peppe Servillo per Come si canta una domanda, brano di apertura, mentre Fausto Mesolella, che suona in due dei brani, ha scritto la musica di Tu sei tutto per me. Il testo di Lunedì è invece di Frankie Hi-NRG Mc mentre quello di Feltrinelli è di Francesco Cusumano. Kaballà e Tony Canto hanno scritto Leggera, brano che dà il nome all’album, e Condizione imprescindibile, forse il più tipicamente in stile Musica Nuda. La seconda voce di Canzone senza pretese, un inedito di Lelio Luttazzi, è quella della figlia dodicenne e innegabilmente talentuosa di Petra, Frida Bollani Magoni. Luigi Salerno invece è presente con la voce nella prima parte di Io ti darò e come co-autore del brano insieme alla cantante. Chiude Ti ruberò, brano del 1965 di Bruno Lauzi.


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Musica Nuda da quattordici anni si prefigge proprio la ricerca dell’essenzialità, i brani si spogliano di tutto il superfluo e rimangono (quasi solo) melodia, testo, basso e voce. “Quasi” perché in alcune occasioni al contrabbasso di Spinetti e alla voce di Petra, che riescono comunque ad essere indipendenti e forti di un’affinità decennale, si aggiungono altri strumenti, come in questo caso la chitarra. Dire “solo contrabbasso e voce” può dare l’idea di scarno ma sfido chiunque abbia ascoltato un loro disco, o soprattutto, li abbia ascoltati dal vivo, a non riconoscere immediatamente la ricchezza che proprio questa essenzialità porta e la difficoltà tecnica che comporta. Ne deriva una sintesi di eleganza, bravura e originalità che ha incantato negli scorsi anni e che siamo sicuri incanterà anche durante il “Leggera tour” che parte proprio oggi da Botticino (Bs). Le date che si snodano, per ora, fino al 30 aprile, li porteranno dall’Italia agli Stati Uniti, passando per la Francia.


Le date del tour:

03/03 Botticino (Bs) - Teatro Centrolucia
04/03 Mira (Ve) - Teatro Villa dei Leoni
05/03 Torino - Cap10100
10/03 Rimini - Teatro degli Atti
11/03 Milano - Blue Note (Doppio spettacolo ore 21,00 e 23,30)
16/03 Napoli - Teatro Politeama
21/03 Cusset (Francia) - Theatre de Cusset
29/03 Parma - Wopa Temporary
07/04 Poggibonsi (Si) - Teatro Politeama
08/04 Vittoria (Rg) - Teatro Vittoria Colonna
12/04 Matera - Auditorium Gervasio
18/04 Roma - Auditorium Parco della Musica - Sala Petrassi
22/04 Fano (PU) – Teatro della Fortuna
27/04 Denver (Colorado, Usa) - Newman Center For The Perfoming Arts
28/04 Detroit (Michigan, Usa) - Detroit Institute Of Arts
29/04 Ann Arbor (Michigan) - Kerrytown Concert House
30/04 Toledo (Ohio, Usa) - Toledo Museum Of Art

http://www.musicanuda.com/


Immagini tratte da:

Immagine 01: https://www.facebook.com/MusicaNuda/?fref=ts
Immagine 02 dell’autore

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