Gli Hoka Hey di Emidio De Berardinis (voce, testi) e Marcos Cortelazzo (produzione musicale) si buttano all’interno di questo periodo insolito per l'umanità con un Ep che sembra essere stato scritto come guida. Racconta Marcos: “Abbiamo scritto un disco che tratta di argomenti oggi attuali, quando ancora non avevamo la minima idea di quello che sarebbe accaduto oggi. Il primo brano dell’EP si chiama “Andrà tutto bene”. Nei giorni in cui questo slogan stava iniziando ad uscire, io ed Emidio ci siamo guardati un po’ increduli, perché il brano era nato la scorsa estate. Anche il senso che permea gli altri brani tuttavia, sono tutti legati in qualche modo a ciò che sta accadendo”. “II” , scritto in numero romano, ha diversi significati. Indica la pausa, un momento che permette di riflettere e magari crescere, ed è anche il numero minimo perché avvenga un’unione, una collaborazione. Il disco infatti riflette sulla necessità dell’altro e del diverso, come uno specchio e una via per crescere e riconoscersi, analizzando quelle che sono le trappole mentali che ci dividono. Il singolo di questo lavoro è “Respirare”, un brano rock dal ritornello danzante il cui video è ad opera del regista tedesco Karl Holperl. Un brano che parla di come sia necessario fermarsi e respirare per connettersi con la propria vera natura. “Andrà tutto bene”, invece, è un rock blues sornione: quando sei consapevole di chi sei puoi stare tranquillo che le cose si risolveranno al meglio, ma solo se saprai rispettarti. Segue “Ben è Tornata”, una bossanova per raccontare il ritrovarsi, diversi e accettarsi in pace. “Inno” invita a cantare sotto la pioggia. Una metafora delle avversità che diventa occasione per riconoscersi nelle gocce che cadono e che ci fanno capire che quel diluvio spesso lo creiamo noi. Chiude l’EP il brano “Piccole Dosi di Abbandono”, una tempesta di suoni dove l’ego di ciascuno di noi porta a far fallire le relazioni. La copertina è curata da Erik Solla, bassista ed artista che cura le grafiche per la band. II uscirà su tutti gli store on line a partire dal 19 maggio 2020. HOKA HEY - BIOGRAFIA Gli Hoka Hey sono Emidio De Berardinis e Marcos Cortelazzo (già “Laika Vendetta”). Un duo rock, che nasce nel 2018 sulla spiaggia di Pineto, con una chitarra, qualche poesia e una rinnovata incoscienza. I due si conoscono nel 2010 e sono tra i fondatori della band Laika Vendetta. Il loro stile, mantiene centrale il rock, ibridato con generi musicali molto diversi tra loro, come musica etnica, pop, elettronica, bossa nova e molto altro. I loro testi parlano di mondi interiori, psicologia, spiritualità, attraverso metafore quotidiane. Hanno pubblicato il singolo “Gravità” nel giugno 2019 e l’Ep “Super Legato Mantra” nel settembre dello stesso anno. Per maggio 2020 gli Hoka Hey presenteranno “II” (due). SIGNIFICATO DEL NOME Hoka Hey! È il grido di battaglia di Cavallo Pazzo e significa “Oggi è un buon giorno per morire!”. Con un grido di battaglia, gli Hoka Hey si mettono in gioco, cantando al mondo intorno, del mondo che c’è fuori e di quello che c’è dentro.
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Una “ninna nanna” elettronica
dedicata ai rapporti umani tra coraggio e speranza
di Enrico Esposito
Si intitola PINCIO il nuovo brano di Margherita Vicario, uscito per Island Records e disponibile su tutte le piattaforme digitali. In un periodo così particolare, in cui la vita sembra sospesa, Margherita vuole raccontare una storia di condivisione, di stima e di coraggio. Il Pincio è il luogo del ricordo ma anche del futuro, dove trova spazio un amore raccontato in questo brano in una delle sue forme più pure: quello nei confronti di una figura femminile che è un’amica, una sorella, una cugina.
Ci vedo da vecchie a bere, col tuo sguardo di sguincio sul terrazzo del Pincio, che mi offri un abbraccio mentre io do di matto La scelta di pubblicare PINCIO è strettamente collegata a questo momento particolarmente delicato e racconta la forza dei legami umani più intimi e concreti, quelli che maggiormente ci mancano oggi, tra la riscoperta del ricordo e la proiezione piena di speranza nel futuro. Il brano, infatti, è una dedica a una persona coraggiosa che continua a svolgere quotidianamente il proprio lavoro di ostetrica: un simbolo di speranza e di umanità. Con la produzione di Davide “Dade” Pavanello, le sonorità riflettono la delicatezza del testo, con atmosfere sospese tra la ninna nanna e il racconto cinematografico, quasi da “viaggio”. Queste si appoggiano su un tessuto elettronico, che rende il brano ballabile, regalandogli un’energia e un’apertura inaspettate. PINCIO è un’ulteriore prova della maturità artistica di Margherita Vicario, della sua consapevolezza e sicurezza nell’esplorazione di temi e suoni sempre diversi. L’uscita di PINCIO è accompagnata da un videoclip che racconta questo periodo attraverso lo sguardo da un terrazzo, con immagini “rubate” dalla vita quotidiana di uomini e donne che hanno dovuto adattarsi ad una nuova normalità. I piccoli gesti, che siano quelli di ogni giorno o che siano quelli più bizzarri, captati silenziosamente, diventano ancora più commoventi e carichi di significato.
Immagini tratte da: pagina ufficiale di Margherita Vicario
Alla scoperta di Highway 61 Revisited, l’album che ha “fatto uomo” Dylan.
di Pierfrancesco Campagnolo
Highway 61 Revisited viene rilasciato nell’agosto del 1965, in un periodo in cui le voci di protesta che si andavano levando in America avevano trovato finalmente il loro cantore. Il 1965 fu l’anno della svolta: vengono lanciati Satisfaction dei Rolling Stones, My Generation dei The Who, l’album Help! dei Beatles mentre la guerra in Vietnam era nel pieno del suo svolgimento e in America il Free Speech Movement chiedeva a gran voce un cambiamento. Questo album, considerato il cuore della “trilogia elettrica” (insieme a Bringing It All Back Home e Blonde on Blonde), rappresenta nella carriera di Dylan il punto di snodo. Nel 1964, a New York, il “bardo di Duluth” incontra i Beatles. Lo scambio di idee e consigli è più che proficuo: i neo baronetti vengono spinti dal cantautore a scrivere testi più personali, mentre Dylan entra in contatto personalmente con un modo di fare musica lontano dalle sue child ballads.
La genesi di quest’album è molto più complessa di quello che all’apparenza può sembrare. Nel 1961 John Hammond, già scopritore di Billie Holiday, propone a Dylan il suo primo contratto con la Columbia Records, e consegna allo stesso un disco non ancora sul mercato: King of the Delta Blues di Robert Johnson. Per ammissione dello stesso Dylan, quest’album influenzò in maniera tutt’altro che superficiale la stesura del suo capolavoro, insieme alle suggestioni suscitate dai testi di Brecht e di Weill, dalla poesia della beat generation (Allen Ginsberg in primis), dalla musica degli chansonnier e da quello spirito blues squisitamente americano. Dylan era conosciuto per il suo folk impegnato che riuscì a divenire, attraverso i suoi testi (come Blowin’ in the wind, The Times They are a-Changin’ e With God on Our Side), simbolo delle proteste che avrebbero percorso il mondo fino ai moti sessantottini.
Highway 61 Revisited sovverte gli schemi, rivoluziona il modo di fare musica, ma allo stesso tempo ci riporta l’atmosfera, culturale e geografica, di un’America che, nonostante tutte le sue contraddizioni sociali, voleva rinnovarsi. I testi sono di una potenza simbolica e descrittiva mai vista: Desolation Row, Just Like Tom Thumb’s Blues, Tomstone blues, Ballad Of a Thin Man sono ricordati come alcuni dei brani più rappresentativi dell’artista, in cui si mescolano riferimenti letterari (Kerouac, Poe, Rimbaud, Galilei) e suggestioni surreali tipiche del modo di scrivere del Dylan criptico e psichedelico di metà anni Sessanta.
Ma i due brani che fanno di questo album motore del cambiamento musicale, sia personale (nello stile e nei riferimenti) che collettivo, sono Like a Rolling Stones e Highway 61 Revisited. Il singolo, omonimo dell’album, ci catapulta all’interno delle sue 5 strofe in un trip psichedelico-biblico in cui Dylan narra 5 differenti storie in cui i protagonisti cercano di venire a capo di un problema che puntualmente risolvono sulla Highway 61. Oltre ad essere innovativo nello stile e nell’uso di particolari accorgimenti musicali (ad esempio il fischietto suonato da Dylan fra una strofa e l’altra per creare suspense intorno alla conclusione della storia), questo brano spinge l’ascoltatore a mettere lo zaino in spalla e a partire alla volta della famigerata autostrada, teatro di numerose avventure (la Highway 61 era la via che dal sud gli schiavi afro percorrevano fino al nord, ma era anche la strada su cui morì Bessie Smith “la regina del blues”, la strada che passava per Lauderdale Courts, Memphis, città natale di Elvis).
Ma il brano che rese celebre quest’album che infranse tutte le regole che la musica popular aveva fino ad allora difeso, fu sicuramente Like a Rolling Stone. Non soltanto è il pezzo più simbolico del cantautore premio Nobel, ma rappresenta una rottura definitiva nella vita artistica dello stesso. Con questo Dylan cessa definitivamente di essere il profeta vate della rivoluzione di costume, un atto anti-rivoluzionario gravido di cambiamento. Mutamento nella durata (dai canonici tre minuti si passa ai suoi 6’13’’), mutamento nell’arrangiamento (non più chitarra folk e voce, ma organo, batteria ed elettrica), mutamento nel messaggio (non più inno di protesta e/o denuncia ma metaforica invettiva contro chi lo aveva etichettato come cantore della protesta). Riascoltare e rileggere Highway 61 Revisited in questo periodo di stasi e clausura, non può far altro che spingerci in avanti, accendendo in noi il motore della rinascita, in una costante ricerca di quello stesso miglioramento che aveva spinto Dylan nelle acque sconosciute dell’elettrica. Non ci resta che inforcare le cuffie e farci travolgere da questo capolavoro, come da “pietre che rotolano”.
Immagini tratte da:
Foto Bob Dylan, https://www.cpm.it/public/news/bob-dylan-cpm-giornalismo-milano-music-1550601196183316-cpm-news-682.jpg Front album The Times They are a-Changin’, https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/81MBKs-M7gL._SL1500_.jpg) Front album Highway 61 Revisited, https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/81hJMjWLx0L._AC_SL1500_.jpg
Fonti:
F.Fabbri, Around the colck. Breve storia della popular music, Utet, Torino 2008; F.Bergoglio, I giorni della musica e delle rose. Rock, pop, jazz, soul, blues nel vortice del ’68, Stampa Alternativa, Roma 2018. IL DEBUT ALBUM DEL GIOVANE PRODUTTORE CLASSE 1996 IN USCITA IL 14 MARZO 2020 PER PITCH THE NOISE RECORD un mix unico di atmosfere, un chiaro-scuro elettronico “EPIC ARGUMENTS” Epic Arguments è il primo album di Savnko (fuori il 14 marzo per Pitch The Noise), giovane produttore e compositore elettronico che ha raccolto le sensazioni ed esperienze durante il suo soggiorno di due anni a Londra, trasformandole in un disco intenso, un mix unico di atmosfere, un genere indefinibile, un chiaro-scuro elettronico, la definizione di uno stile personale. Savnko nasce nel 1996 a Milano. Il suo amore per la musica inizia già all'età di 14 anni, quando Savnko comincia a scoprire e ad ascoltare musica elettronica. All'età di 17 lascia l'Italia per volare a Londra e migliore la sua conoscenza della cultura musicale, e intanto lavorare in una caffetteria per i due anni del suo soggiorno inglese. Durante questi due anni a Londra, gli è inevitabile scoprire nuova musica, completamente diversa da quella che aveve prima di allora ascoltato in Italia. Tutte le tracce del suo disco d'esordio, Epic Arguments, ricordano in qualche modo quel periodo londinese in cui Savnko scoprì il suo amore per i synth e il sampling.
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Marzo 2023
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