di Enrico Esposito
Venerdì 8 aprile è uscito "Miracoli e rivoluzioni", il nuovo atteso album dei Foja che segue il volume del 2016 " 'O Treno che va". Dopo aver festeggiato lo scorso anno il primo decennale con il cofanetto "Dieci" , la band folk-rock partenopea è tornata con un nuovo capitolo della propria produzione che unisce profondità di sentimenti, critica sociale ed eclettismo musicale.
I Foja sono ufficialmente tornati. Si potrebbe dire che in realtà non sono mai andati via. Malgrado il loro ultimo full-length album risalga a sei anni fa la band di Dario Sansone ha espresso la sua consueta versatilità pubblicando rivisitazioni dei propri brani anche in lingua straniera come dimostra la raccolta del 2021 "Dieci". Senza dimenticare il legame simbiotico con il cinema d'animazione attraverso le colonne sonore de "La Gatta Cenerentola" e de "Yaya e Lennie – The Walking Liberty” sbarcato nei cinema dallo scorso 4 novembre ma presentato in esclusiva al Festival di Locarno. Per l'uscita del quarto capitolo della propria carriera i Foja hanno dichiarato di aver lavorato per la prima volta "senza fissa dimora" a causa delle difficoltà e delle distanze imposte dalla pandemia. Una situazione inconsueta per un progetto che basa il suo credo sull'empatia umana e artistica. Ma "Miracoli e Rivoluzioni", pubblicato l'8 aprile, non da l'impressione di risentire in maniera grave dello status quo in cui ha visto la propria genesi perché si sa che la sincerità e la tenacia delle idee possono vincere su tutto.
Ne è nato dunque un disco molto prezioso e coinvolgente, equamente diviso tra passato e presente e ancora tra intimità e convivialità in tipico stile Foja. "Miracoli e Rivoluzioni" è un titolo che mette insieme le due anime di una persona, di un popolo, del tempo attuale. Da una parte la componente magica e inafferabile dei miracoli che prendono vita alla luce del sole e sul fondo delle sensazioni. Dall'altra la chiamata alle rivoluzioni, a cambiamenti sociali possibili soltanto se l'uomo si convince e agisce concretamente per la loro realizzazione. "Ogni giorno è un Miracolo. Ogni giorno può essere una Rivoluzione" è il sottotitolo all'album che attraverso le sue dodici tracce racconta vicende d'amore, di incomunicabilità, di libertà rese più intense dall'idioma napoletano e dall'impianto sonoro. Il mix vincente tra tradizione e modernità dei Foja si estende ulteriormente in questa nuova "prova" accostando al folk-rock parentesi votate a tanti altri generi musicali (blues, pop, rap, elettronica, musica leggera italiana) frutto di collaborazioni molto importanti. Si parte dalla prima traccia "Nunn’e’ ancora fernuta" che si avvale della Lira Pontiaca di Michele Signore della Nuova Compagnia di Canto Popolare nell'ambito di un incedere allo stesso tempo deciso e quieto. Il tema affrontato consiste nello "scuorno" che al giorno d'oggi spesso si impossessa dei singoli individui dinanzi al contraltare della collettività, Ridere dei guai altrui rappresenta una delle cifre dell'atteggiamento condiviso di fronte al quale cercare di stare bene esplode come un'azione soltanto da deprecare. Ma la speranza di poter superare queste perverse dinamiche non è finita. "Duje comme nuje" è invece la prima delle due accorate liriche già note al pubblico perché presenti in "Yaya e Lennie". Appoggiandosi al regolare riprodursi di una sorta di marcia, questo brano canta l'amore universale tra due persone che potrebbero essere tanto amanti, quanto amici o padre e figlio. Non importa la natura del loro rapporto, ma l'intensità che lo pervade. "Pe’ te sta’ cchiu’ vicino", canzone numero 7 della tracklist, si affida invece a un arrangiamento minimale tipico della canzone classica partenopeo in una celebrazione della necessità di allontanarsi dall'amore per fermare il male interiore.
La traccia n.3 "A cosa stai pensando?" vede la partecipazione di Davide Toffolo dei TARM in un rock up-tempo "pensante" sui controsensi provocati nelle relazioni umane dal proliferare dei social network. Uno strumento che si trasforma spesso e volentieri nell'unica occasione di una vicinanza alla fine nemica di una vera socialità. Segue "Santa Lucia", deliziosa ballata dedicata alle gesta di un'eroina moderna che vede il tocco rap di Clementino. " 'Na cosa sola" riprende il filo del discorso sociologico dell'album mettendo in mostra la sostanziale confidenzialità di alcuni aspetti della vita umana in una veste di ispirazione brit-pop. Atmosfere notturne e oniriche velano invece il sesto brano "Stella", ricordo di una passione svanita ma mai doma, seducente come il tappeto jazz disegnato da Lorenzo Hengeller al pianoforte.
"Addo’ se va", traccia numero 8, assume i contorni quasi di un'autocritica dal sapore post-blues dell'insicurezza che attanaglia i nostri domani. "Tu" fa venire in mente quelle pellicole in bianco e nero degli anni 50-60, epoca alla quale si richiamano il suo stile e il canovaccio che riproduce: ritrovare il proprio amore dopo anni superflui davanti alla profondità dei sentimenti. " ‘A mano ‘e D10S" acquista d'altra parte uno spazio tutto particolare perché mette in scena la rivisitazione in lingua napoletana del canto di un Dio umano, Diego Armando Maradona. Alla morte tragica del più grande calciatore di tutti i tempi Dario Sansone ha composto questa mirabile versione della canzone dell'artista argentino Alejandro Romero che qui compare dando vita ad una fusione intensa tra due culture dirette figlie del medesimo spirito. L'ultimo grande featuring de "Miracoli e Rivoluzione" si manifesta nel penultimo brano già accompagnato dal titolo misterioso " ‘Nmiezo a niente". Qui Dario Sansone guida i suoi Foja in un viaggio dalla città fino agli antipodi del mare dove lascia il timone nelle mani di un gigante della tradizione partenopea, Enzo Gragnaniello. Soltanto lui può servendosi del suo timbro vocale così sotterraneo condurre l'ascoltatore a rinvenire tra le profondità marine il valore assoluto di alcune componenti dell'avvicendarsi del tempo. Dalla nebbia di una lirica napoletana in perfetta sospensione tra i tempi alla chiusura solare de "L'urdema canzone" che su un testo di Alessio Sollo da spazio all'originale accettazione della fine di un amore. Un addio scanzonato tra beat degli anni ‘60 e al pop anni ‘80 che comporta una rivoluzione tangibile ed evidenzia il miracoloso influsso dei sentimenti.
Immagini gentilmente fornite dall'Ufficio Stampa Big Time
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15/4/2022 “Bocca di Rosa”, altro che prostituta! La critica ‘anarchica’ di De André agli usi e costumi italianiRead Nowdi Giovanni Frezzetti Era il lontano 1967, esattamente 55 anni, quando il visionario Fabrizio De André lanciò una canzone destinata a restare nell’immaginario collettivo: Bocca di rosa. Un brano che oggi è più attuale che mai. Ma come nasce questa canzone e qual è il vero significato? Nel corso degli anni la definizione di Bocca di rosa è stata erroneamente interpretata. In primis, De André trasse ispirazione per la sua Bocca di Rosa dal personaggio della famosa canzone del 1953 di Georges Brassens “Brave Margot”, come raccontato nel libro “Volammo davvero” curaro da Elena Valdini. Nel brano francese viene raccontata la storia di una pastorella che trova un gattino abbandonato. Per sfamare l’animale, la ragazza lo allatta al seno, attirando l’attenzione dei maschi del villaggio. Il parallelismo è chiaro. L’erronea interpretazione nel senso comune di Bocca di rosa è spiegato nel testo della canzone di De André. Nell’immaginario Bocca di rosa è una prostituta, ma non è così. “C'è chi l'amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, Bocca di rosa né l'uno né l'altro lei lo faceva per passione”, recita la canzone di De André. Dunque, è chiaro che quello che il cantautore vuole descrivere non è una prostituta, ma una giovane ragazza lontana dalle chiusure mentali dei piccoli paesini italiani a quei tempi. Una sorta di critica agli usi e ai costumi di quel tempo. Anche con i versi “Spesso gli sbirri e i carabinieri al proprio dovere vengono meno, ma non quando sono in alta uniforme e l'accompagnarono al primo treno”, De André conferma la sua linea anarchica criticando le forze dell’ordine. Alla fine Bocca di Rosa, a causa dell’ira “delle cagnette a cui aveva sottratto l’osso”, deve lasciare il paesino. Il colpo di scena finale, con tanto di richiami ai dogmi religiosi, è dietro l’angolo: quando Bocca di Rosa viene accompagnata alla stazione c’è tutto il paesino, compreso il parroco. Come se De André avesse voluto rappresentare una leggera malinconia di chi l’aveva allontanata ma era consapevole della ventata di freschezza portata nella monotonia quotidiana del paesino. A 55 anni dall’uscita questa canzone è attuale più che mai: in Italia la “diversità” è spesso vista come un problema e non come una risorsa. Chi era avanti già nel 1967 forse non avrebbe mai immaginato di trovare una situazione simile nel 2022. Ma si sa: l’erba cattiva non muore mai. Immagini tratte da https://www.instagram.com/fabrizio.deandre/?igshid=YmMyMTA2M2Y= Lo scorso 18 marzo è uscito "Una Sceneggiata", il primo album di Francesco Forni interamente in lingua napoletana. Un viaggio intenso nel magico capoluogo campano tra presente e passato di cui abbiamo avuto la fortuna di parlarne con il talentuoso cantautore.
di Enrico Esposito
1 – Buongiorno Francesco, ti ringrazio molto per essere qui con me oggi. Il tuo nuovo album “Una Sceneggiata”, uscito lo scorso 18 marzo, è un concept ambientato ai giorni nostri attingendo però ad elementi di un passato sia lontanissimo ma anche più recenti. Quando hai iniziato a lavorare a questa storia?
Buongiorno Enrico. Ho iniziato a fine 2020. Con il regista Pierpaolo Sepe abbiamo messo su una sceneggiata 2.0 per il Teatro Stabile di Napoli dal nome ‘Spacciatore’. Le canzoni hanno avuto una prima fase per lo spettacolo teatrale e una seconda vita più sviluppata sulle mie corde per il progetto musicale. 2 - “Una Sceneggiata” non è chiaramente solo il titolo di un brano strumentale presente all’interno della tracklist ma probabilmente l’unico nome che poteva essere attribuito alla tua opera. A mio parere un musical popolare che in base al suo sound e ai suoi contenuti coglie immediatamente l’attenzione. Hai sempre pensato di chiamare così questo lavoro? Nel momento in cui ho pensato al disco sì. Per la prima volta mi cimento con un concept album, per la prima volta ho pensato ad un titolo che non parlasse di me in modo diretto, per la prima volta non ho immaginato nemmeno per un istante una copertina con una mia foto, ma subito ho pensato ad un art work e nello specifico ad un'opera di Peppe Cerillo. 3 – Nonostante la tua lunghissima produzione per la prima volta hai scritto un disco interamente in lingua napoletana, rimanendone legato in modo esclusivo. Ci racconti quali sono le emozioni che ti hanno accompagnato in questo viaggio? Innanzitutto scoprire una nuova vena compositiva, autoriale e soprattutto interpretativa. La mia voce tocca corde che erano rimaste inesplorate e questa è stata una sorpresa e un'emozione molto forte. Scrivere in napoletano vuol dire in qualche modo entrare in una nuova fase artistica e se non fossi stato coinvolto nelle musiche di ‘Spacciatore’, forse non mi sarei sentito ancora pronto. Averlo fatto è stata una svolta epocale per me. Ora qualsiasi produzione affronterò, lo farò da artista che si è confrontato con le proprie origini e con una cultura millenaria conosciuta e seguita in tutto il mondo. 4 – Le vicende di “Una Sceneggiata” ruotano intorno alla storia di Spacciatore, spettacolo teatrale con soggetto di Pierpaolo Sepe e la drammaturgia di Andrej Longo. Come hai lavorato all’elaborazione del tuo album a partire da questo testo? Ho immaginato di tenere i personaggi e ho sviluppato le dinamiche delle loro relazioni. Sono partito dagli accenni di canzone che avevo scritto per lo spettacolo e li ho portati a compimento come piccole opere definite anche senza il supporto delle scene e del contesto teatrale. Lo sviluppo è andato nella mia direzione chiaramente, nella direzione che mi ha permesso di aderire a quei testi cantati tutti in prima persona. 5 – Nella costruzione dei personaggi e anche dei luoghi hai preso ispirazione da incontri ed esperienze personali? Quando i personaggi sono scritti così bene, tanto da identificarli come archetipi, tu puoi sentirti parte di quel personaggio, puoi sentire quello che il personaggio prova anche se è una donna, capobanda, agli arresti domiciliari, con un passato devastato e un futuro buio. Per delle singole atmosfere invece ho tratto ispirazione da quello che stavo vivendo e osservando in quel periodo. Così mi sono ispirato al testo di Gelusia, di Prenditi cura di me, di Perduto. In più ho cercato di farmi ispirare dagli attori che avrebbero interpretato quelle canzoni, così mi è successo in Padre che nello spettacolo è stata cantata da Roberto Del Gaudio. 6 – Il racconto della storia del giovane Spacciatore e del suo amore mette in mostra una grande intensità di stati d’animo non solo relativi al suo sentimento. Una varietà di colori e vicissitudini che vengono sottolineati anche dal ricorso a diversi generi e strumenti musicali (folk, tarantella napoletana, ballate, anche jazz in “Padre”). Ci parleresti un po’ dell’impianto sonoro della raccolta? Fondamentalmente l'impianto sonoro è di servizio al sostegno delle voci e dei testi delle canzoni. Sicuramente nel mio immaginario ho omaggiato un certo tipo di cultura napoletana rielaborata attraverso il mio sound. Così io so che per quelle determinate linee di chitarra battente o di tammorre ho avuto l'opera di De Simone come riferimento alto, e per altre sonorità ho cercato un impianto armonico più vicino ai classici napoletani che avrebbe potuto reinterpretare per esempio Murolo, e cosi via passando da Carosone, a Pino Daniele fino agli Almamegretta. Ma questo lo sento io perché so che tipo di intento ho avuto di omaggiare quella parte di cultura partenopea che mi ha formato artisticamente. 7 – Hai avuto l’opportunità di presentare ‘Una Sceneggiata’ dal vivo già in tre occasioni (a Napoli, Milano e Roma). Hai in progetto nuovi appuntamenti a breve? Non vedo l'ora di portare questo concerto dal vivo questa estate sui palchi dei festival. Dal vivo questa storia la sento ancora più vibrante e potente. A Roma, ma anche a Napoli, alla fine del secondo brano Spacciatore c'è stato un boato in risposta alla nostra onda d'urto. Non vedo l'ora di ricreare quell'onda d'urto. Immagini gentilmente fornite dall'Ufficio Stampa dell'artista (Chiara Giorgi) |
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Aprile 2023
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