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24/6/2016

LIVE! - Erika Wennerstrom in Italia per la prima volta

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La voce degli Heartless Bastards è stata ospite dell'Ex Cinema Aurora di Livorno in una delle date del suo tour da solista europeo.
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di Alice Marrani


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Quando Erika Wennerstrom dal silenzio comincia a suonare lo fa con i primi due accordi che si ripetono leggeri all'inizio di Marathon. Inizia così la scaletta, come inizia Arrow, il penultimo album uscito degli Heartless Bastards. Capelli biondi e chitarra, seduta nella sala dell' Ex Cinema Aurora di Livorno, in un atmosfera intima che si sposa alla perfezione con l'atmosfera dei brani, un grande salotto ricavato dalla sala di un cinema abbandonato che ha ritrovato l'anima una manciata di anni fa.
Erika, originaria dell'Ohio è la voce e la guida degli Heartless Bastards, gruppo ormai realtà consolidata negli Stati Uniti ma che sta trovando negli ultimi anni nuovo pubblico fuori dal suolo americano. Nato nel 2003 a Cincinnati ha avuto una svolta dopo che Patrick Carney dei Black Keys ha presentato un loro demo alla Fat Possum Records nel 2004. Fra una recensione entusiastica di Rolling Stones e l'altra, dal primo Stairs and Elevators del 2005, è uscito nel 2015 l'ultimo e quinto album, Restless Ones, punto di arrivo di un percorso in cui ai suoni iniziali si sono aggiunti elementi nuovi e contemporanei fino ad arrivare ad un rock di varie sfumature, un po' rock 'n roll anni '70, un po' psichedelico, blues e country. Si sono susseguite diverse formazioni fino all'uscita di Arrow nel 2012 e al trasferimento della loro sede ad Austin, Texas, ma la Wennerstrom ne è parte fondamentale dall'inzio, punto fermo intorno al quale il gruppo ruota e si forma. Una donna che fa rock, cantante, chitarrista e compositrice dalla voce potente e riconoscibile.
E' da sola che ha deciso questo anno di imbracciare la chitarra e volare in tour in Europa per tutto giugno. La scaletta mescola i brani del gruppo creando con la sua voce un percorso estremamente coerente e suggestivo. Certo mancano dietro di lei le ritmiche di Jesse Ebaugh e Dave Colvin e le chitarre di Mark Nathan ma la musica dei “Bastardi senza cuore” viene così spogliata e ridotta all'essenziale. I fortunati che l'hanno ascoltata dal vivo hanno certamente sentito una voce dalle grandi doti espressive, il timbro scuro a volte quasi maschile, a volte graffiante ma mai grezzo o poco curato. Pochi virtuosismi, linee essenziali e acuti limpidi e dritti come quelli di Only For You, uno dei brani più conosciuti. Padronanza e potenza espressiva. Una di quelle voci che entra dentro e inevitabilmente si deposita nella memoria.
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Finito il concerto mi confessa che è la prima volta che viene in Italia e ne è entusiasta. Mi racconta di essere stata in Svizzera e che, dopo una data a Caserta, volerà in Inghilterra per tutto giugno. Chissà che dopo tante formazioni cambiate in questi anni ci sia in progetto un album da solista o se la solitudine del tour (oltre che per gli elevati costi) è dovuta a un semplice bisogno di riposo solitario nel vecchio continente dopo un maggio fitto di date su e giù per gli Stati Uniti. Un bisogno di riposo e di riflessione, di introspezione, elementi che sicuramente sono facilmente riconoscibili ascoltandola dal vivo ripercorrere da sola il filo del suo percorso artistico, saltando da un disco all'altro, con la sensazione di ascoltare qualcosa che viene da lontano ma nella quale ognuno si può immergere e immedesimare. Certamente fa un po' strano pensare ad un pezzo di Texas a Livorno, seduta davanti al microfono con in braccio una chitarra, a terra un calice di rosso, alla presenza di non molti fortunati silenziosamente rapiti dalla sua voce in una sala che ha una storia ma un’atmosfera informale e calda che il locale stesso definisce un luogo “per sentirsi a casa fuori casa”. In alcune interviste passate ha detto che alcuni dei suoi brani sono nati proprio dall'ispirazione derivata da viaggi solitari fatti in America e la sensazione del viaggio è facilmente trasmessa a chi ascolta, anche se è comodamente seduto con i piedi ben piantati per terra.
Chiudi gli occhi e un po' ti trovi con il vento sulla faccia, su una di quelle lunghissime strade assolate e dritte che tagliano luoghi polverosi e deserti. In attesa del prossimo disco, è un viaggio che vi consiglio di fare.


Immagini tratte da:
Img 01: http://music.blog.austin360.com/2015/10/21/nathaniel-rateliff-heartless-bastards-to-tape-acl-in-november/
Img 02: http://thetalkhouse.com/wp-content/uploads/2015/06/press2-e1434575789925.jpg

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24/6/2016

MUSICALBOX: Melanie De Biasio – Blackened Cities

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​di Carlo Cantisani
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È il momento disperato in cui si scopre che quest'impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. – Italo Calvino, “Le città invisibili”.
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Nel paesaggio descritto da Calvino sembrano muoversi sinuose le note dell’ultimo lavoro di Melanie De Biasio, dal nome “Blackened Cities”. Il suo cognome non fa mistero delle sue origini meticcie: di madre belga e padre italiano, sorella di Catherine De Biasio, musicista anch’essa, Melanie nasce e cresce a Charleroi, cittadina ad ovest del Belgio, dove muove i suoi primi passi nell’ambiente musicale locale, principalmente jazzistico e classico, accompagnata dal flauto traverso sin dalla tenera età di otto anni, facendosi le ossa sui palchi e imparando soprattutto ad ascoltare i vari stimoli che la scena del suo paese poteva offrire. Un diploma in canto rilasciato dal conservatorio di Bruxelles in tasca, la De Biasio pubblica il suo primo album nel 2007, “A Stomach is Burning”, dimostrando, soprattutto in patria, tutto il proprio talento; talento che verrà riconfermato ben cinque anni dopo (per il mercato belga, sei per quello del resto del mondo) con “No Deal”: a dispetto del titolo, l’accordo c’è sia a livello musicale, un incontro fra il suo background jazzistico e le atmosfere di acts internazionali quali Portishead e Nick Cave, e sia con il proprio paese, il Belgio, che la elogia e la coccola come giovane portabandiera del jazz belga nel resto del mondo.
È con questo grosso peso (o responsabilità, fate voi) che la De Biasio si ripresenta sulla scena internazionale, intenzionata ad allargare ancora di più i confini della propria musica senza però recidere completamente il cordone ombelicale con il proprio Paese. Le città annerite ed oscure del titolo vengono riassunte infatti in un’unica immagine, quella della natia Charleroi, ed è proprio da qui che Melanie vuole ripartire per allargare il suo sguardo su un’Europa ed un mondo che oggi più che mai sembrano aver perso qualsiasi prospettiva futura, schiacciati da un benessere puramente materiale e dai contorni disumani. Per essere un album di estrazione jazz, la copertina stride parecchio con l’idea comune che si ha di certe sonorità, ma uno dei motivi d’interesse che possono spingere ad ascoltare “Blackened Cities” è proprio questo: dietro ai suoni eleganti ed acustici e nella voce calda e sensuale della Di Biasio si nascondono tutto il rancore e il dolore nel vedere la propria città trasformata in un eterno cantiere industriale e in una discarica dei sogni infranti per le manie di grandezza coltivate dalla connazionale Bruxelles, “sorella maggiore” di Charleroi e nella quale quest’ultima vorrebbe rispecchiarsi, con risultati altrettanto disastrosi per il benessere dei cittadini.


Un unico brano di quasi venticinque minuti è sufficiente per dipingere i contorni di questa (o di queste) città invisibile. Nato da una jam in studio con il quintetto di sempre formato da Pascal Paulus ai synths vintage, Samuel Gerstmans al contrabbasso, Dre Pallemaerts alla batteria, Pascal Mohy al pianoforte e Bart Vincent ai cori, Blackened Cities è un brano che fa della narrazione e del
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movimento le sue caratteristiche peculiari. Melanie De Biasio ci prende con sé e, telecamera alla mano, inizia a riprendere un ipotetico film a metà fra il surreale e il realista, imprimendo sulla pellicola ogni angolo, strada e persona che pullulano come ombre l’ambiente industriale delle città invisibili. Il discorso intrapreso con “No Deal”, finalizzato ad un ampliamento del suono che cercasse di andare oltre la scrittura jazz, qui viene portato finalmente a compimento: in “Blackened Cities” il jazz è inteso solo come un mezzo fra i tanti possibili, ma che alla fine si rivela essere il più adatto, per essere usato come impalcatura sulla quale costruire il proprio edificio. La tiepida luce del sole illumina timidamente questo edificio in continua trasformazione: le fondamenta vengono gettate dalle nebbie dei synths e dai leggeri tocchi del piano, incalzati dalle pulsazioni minimali ma profonde della sezione ritmica man mano che passano i minuti. La meravigliosa voce della Di Biasio, all’epoca del suo esordio denotata con l’inutile etichetta di “Billie Holiday belga”, plana delicatamente sullo scheletro del solido edificio musicale, senza mai imporsi sugli altri strumenti, con vocalizzi che sembrano provenire da lontano, alternandosi agli inserti di flauto traverso che danno un tocco kraut/psichedelico anni ’70 e ampliando così il senso di abbandono e di rarefazione che la città invisibile trasmette inconsciamente. Arrivati a metà pezzo, Blackened Cities ha ormai rapito l’ascoltatore, che si ritrova completamente fra le braccia della musica senza neanche sapere come sia potuto succedere. Come le onde del mare, il pezzo prosegue deciso per la sua strada, senza una pausa o un solo che ne spezzi l’andamento, delicato, ipnotico, ciclico. Il taglio “da jam session”, a cavallo fra improvvisazione e scrittura, si percepisce completamente e denota una grande coesione dei musicisti, capaci di costruire un’impalcatura solida ma mai chiusa su sé stessa. Gli ultimi minuti conclusivi sfumano ancora con la voce sensuale e calda della De Biasio: arrivati alla fine sarà come essersi risvegliati da un sonno profondo. Immaginifico, cinematico, capace di dilatare spazio e tempo, l’ultima opera della musicista belga riesce a scrollarsi di dosso i rimasugli di facili etichette quali quelle di “cantautrice jazz” o “jazzista” vera e propria. “Blackened Cities” col jazz ci gioca, prendendo ispirazione in primis dallo stile nordeuropeo, rimandando poi con la mente a gruppi come i The Cinematic Orchestra e strizzando infine un timido occhiolino a quel filone (musicalmente non ben definito) chiamato genericamente “doom jazz", "dark jazz" o "funeral jazz”.
Ciò che rimane è l’indiscutibile classe della De Biasio e dei suoi compari nell’esser capaci di scrivere una piccola colonna sonora per le nostre città ormai ridotte a foto sbiadite di sé stesse.
 
Melanie De Biasio – Blackened Cities (Play It Again Sam, 2016)
Tracklist:
  1. Blackened Cities
Immagini tratte da:
  • impattosonoro.it

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24/6/2016

Fine settimana Live Toscana 24-26 Giugno

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di Alice Marrani
FIRENZE

Dopo i tradizionali fuochi di San Giovanni inizia la rassegna estiva di concerti per “Firenze Suona all’Anconella”, ospite di questa prima serata, Verdiana Raw che presenterà il suo album “Whales Knows The Route”.

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Domani sera alle 21.30, per la rassegna “Estate Fiesolana”, nel teatro romano di Fiesole ci saranno i livornesi Carnéigra, gruppo di musicisti provenienti da diversi ambiti musicali ma che si concentrano su un cantautorato pervaso da influenze della musica popolare di tutto il Mediterraneo. (Biglietti 7/10 euro) Domenica, alle 19.30, una delle opere più famose di Francis Paulenc e Coteau, La Voix Humaine, in un allestimento specifico per le Terme che ne darà un immagine nuova e suggestiva. (Biglietti 15/12)

PISTOIA

Il 24 e 25 giugno torna alla Villa Medicea la Magia di Quarrata il Quarrata Folk Festival. Una due giorni ricca di eventi musicali e non che si alternano nelle due giornate. Fra concerti con interpreti internazionali e pizzica salentina, suggestivi concerti acustici di mezzanotte e stazioni musicali a sorpresa durante passeggiate organizzate nel bosco, troviamo anche presentazioni di dischi e vari woskshop e laboratori. (L’ingresso è di 5 euro)
All’interno della Rocca di Serravalle Pistoiese torna come tutti gli anni il ciclo di incontri promosso dalla CGIL Pistoia. Da oggi al 10 luglio una serie di eventi culturali e incontri dedicati al tema “le ragioni del futuro”. Stasera in concerto Cecco e Cipo con il loro Flop Tour. L’ingresso è gratuito.
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PISA

Stasera a Pisa, sul palco di Arno Vivo il duo siciliano formato da Pietro Alessandro Alosi (chitarra, grancassa e voce) e Gianluca Bartolo (chitarra e voce), Pan del Diavolo. La loro anima folk-rock e raccontata alla perfezione dall’ultimo album FolkRockaBoom, registrato in presa diretta e poi mixato a Tucson da Craig Schumacher. Inizierà alle 22,00 dopo l’apertura del cantautore e polistrumentista siciliano Cappadonia (ore 21.30)
Il 25 e il 26 giugno nasce la prima edizione di Tuscania Festival presso Peccioli. Un grande connubio fra musica e arte nel quale i concerti si mescolano a installazioni, performance, mostre e laboratori di vario genere. Per la musica, cinque location all’interno di Peccioli nelle quali si alterneranno dalle 18.30 circa, sia domani che domenica, più di 20 band al giorno.

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Domani sera al circolo l’Ortaccio a Vicopisano il duo fiorentino Piaceri Proletari. La loro musica fonde brani di vario genere ed epoca basandosi su uno swing italiano mescolato al folk americano.
Mentre nella piazza della Repubblica di Ponsacco torna il Bluesacco Festival. Dalle 18.30 The Partners in Crime, Tito Blues Band, Jaime Dolce e Backseat Boogie.


AREZZO
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Domani parte a Castiglion Fiorentino la terza edizione di Villaggio Rock. Cinque rock band a sera si alterneranno sul palco da domani a domenica con la collaborazione di Radio Italia 5: Sycamore Age, Moustache Prawn, Five Roses, Rural Rulers, ZN, Tacita Intesa, Capitolo 21, Busciuba, Lift e Fenek. I live iniziano alle 19.00.

SIENA
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Come tutti gli anni, l’ultimo fine settimana di giugno di Torrita di Siena è all’insegna del blues con Torrita Blues Festival. Dal 1989 ad oggi il festival ha ospitato tantissime personalità di spicco del mondo blues diventando un grande punto di riferimento toscano per il genere. Stasera Mighty Mo Rodgers Band e Dana Fuchs Band. Domani X-Jam Band con Deviana P., T. Leblanc e Nadyne Rush e Mississippi Head.
Il 25 giugno, a Sovicille torna TerraRossa Etnofestival, evento musicale fondato sulla contaminazione etnica e culturale. Sul palco si alterneranno Puerto Sureno, Mescaria, Super Griots, Pedro Navaja Sound Machine, in una giornata musicale che spazia dai ritmi cubani all’afro-jazz, dal Salento ai Balcani, dal blues al reggae.

Per maggiori informazioni:

Tuscania Festival: http://www.tuscaniafestival.it/
Bluesacco Festival:https://www.facebook.com/events/1039295109450870/
Torrita Blues Festival: https://www.facebook.com/torritablues/
TerraRossa Etnofestival: http://terrarossaetnofestival.blogspot.it/
Quarrata Folk Festival: https://www.facebook.com/quarratafolk/
Villaggio Rock: http://www.villaggiorock.com/
Estate Fiesolana: http://www.estatefiesolana.it/
ArnoVivo: http://www.arnovivo.it/

Immagini:

IMG 01 http://www.gogofirenze.it/verdiana-raw-skom-al-sicurcaiv-dj-set-larry-the-hit-e-simone.html
IMG 02: https://www.facebook.com/events/1024872854278599/
IMG 03: https://www.facebook.com/tuscaniafestival/?fref=ts
IMG 04:https://www.facebook.com/events/929766893789267/
IMG 05: https://www.facebook.com/torritablues/



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17/6/2016

REWIND - L’indimenticabile signora del Jazz

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Il 15 giugno 2016 è stato il ventesimo anniversario della morte di Ella Fitzgerald
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di Alice Marrani
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l ventuno novembre 1934 davanti al palco dell'Apollo Theatre di Harlem, New York, una ragazzina di diciassette anni aspetta il suo turno per salire sul palco. E' una delle serate dedicate agli artisti amatoriali e lei deve esibirsi ballando. Il panico ha il sopravvento e la ragazzina rinuncia ma decide invece di cantare. Vince il primo premio e forse nessuno avrebbe creduto che quel cambio di programma sarebbe stato solo l'inizio della carriera di una delle più grandi cantanti del 1900.
Chick Webb si era dimostrato riluttante a prenderla nella sua orchestra, una ragazza che definì “goffa e incolta. Un diamante grezzo”, una ragazza dall'infanzia difficile, rimasta orfana a quindici anni, entrata e uscita da un orfanotrofio. Il destino vuole che quella ragazza fosse Ella Fitzgerald e che fosse pronta a smentire tutti i dubbi. Non solo entrò nell'orchestra di Webb, incidendo più di cento brani fra il 1935 e il 1940, ma alla sua morte ne prese la direzione e l'orchestra cambiò il nome in “Ella and her famous Orchestra”. Il talento e la qualità della sua voce si dimostrano subito innegabili.

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Ella Fitzgerald e Dizzy Gillespie
Nel 1942 inizia la sua carriera da solista e poco più tardi la sua collaborazione con Milt Gabler prima e con Norman Granz dopo, imprenditore che diventerà il suo manager. I due contribuirono a spingere la sua carriera verso un’eccellenza che poche donne sono riuscite ad eguagliare. Grazie a Glaber entrò in contatto con Dizzy Gillespie mentre Granz le garantì più tardi i live al Jazz at the Philarmonic e la affiancò a Luis Amstrong.
In quegli anni c'è una novità che invade il mondo del Jazz, una rivoluzione in termini improvvisativi, armonici e formali che si espande presto fra le nuove generazioni. Ella non può che farne parte prestando la sua voce alla band di Dizzy Gillespie, trombettista che quella rivoluzione aveva fortemente contribuito ad iniziarla: è l'avvento del bebob e inevitabilmente l’avvento di un nuovo elemento dello stile vocale di Ella che nella band di Gillespie sperimenta e lo fa proprio: lo scat, elemento che diventerà inscindibile dalla sua figura in quanto ne è diventata negli anni la più grande esponente. La voce è uno strumento fra i più misteriosi, i più intimi e fisici e lei lo suona senza parole, in improvvisazioni vocali che dialogano alla pari con gli altri strumenti, lunghe e complesse ma sempre coerenti e godibili, rimaste sicuramente inimitabili.

A metà degli anni Cinquanta nasce la Verve Rercord per mano di Granz, che le fa registrare uno degli album che daranno l’ennesima svolta, Ella Fitzgerald Sings Cole Porter Songbook, il primo di otto songbook che registrerà fra il 1956 e il 1964 che andranno a rappresentare i brani dei più grandi compositori americani. Granz le garantì l’accesso ai vertici della storia del Jazz.
Marilyn Monroe promise al proprietario del Mocambo che avrebbe preso un tavolo tutte le sere davanti a lei se l’avesse invitata a cantare in quello che era uno dei più famosi club per soli bianchi di Los Angeles. L’amicizia che la legherà all’attrice rimarrà tale per tutta la sua vita. La stampa impazzita e il grande successo le permisero di scavalcare pregiudizi razziali e di non dover più cantare solo in piccoli club. Numerosissimi i tour in giro per il mondo dai quali sono stati tratti album live, alcuni dei quali hanno fatto la storia della musica americana e non solo. Basti pensare a Ella in Berlin che contiene quel piccolo “incidente” su Make the Knife nel quale si dimenticò il testo e cominciò ad improvvisare, “incidente” per il quale ha vinto il Grammy. Nello stesso live il solo scat su How High is the Moon contenente la citazione di Ornitology di Charlie Parker, costruita appunto su quel giro di accordi, considerato uno dei suoi migliori soli di sempre.

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La sua voce scorre negli anni fra i palchi più importanti e si fa sentire ovunque, da Brodway al cinema, alla televisione. Sono tanti i grandi nomi che ha affiancato, fra i quali Frank Sinatra, Luis Amstrong, Count Basie, Joe Pass, Duke Ellington, Dean Martin, Nat King Cole. Tanti i musicisti che hanno suonato al suo fianco come Roy Eldridge, Oscar Peterson, Poul Smith.
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Ella Fitzgerald e Louis Amstrong
Furono gli anni ottanta quelli nei quali la malattia le impose un rallentamento fino al 1993 quando le furono amputate le gambe sotto il ginocchio. Gli ultimi mesi della sua vita li trascorse nella sua casa di Beverly Hills. Morì il 15 giugno 1996.
Una voce straordinaria, un’estensione tre ottave, la sicurezza e il talento nell’improvvisazione, il fraseggio impeccabile. Tredici Grammy e più di quaranta milioni di dischi venduti.
“Non è da dove vieni bensì è dove stai andando ciò che conta”, dicono che abbia detto una volta, e certo è stato vero per quella ragazzina dall’infanzia disastrosa che non riuscì a ballare nel 1934, che riservata e timida è diventata una delle voci che hanno segnato la musica del Novecento.

Immagini tratte da:


Img 01: https://kidskonnect.com/people/ella-fitzgerald/
Img 02: http://udiscover.tumblr.com/post/24614113054/ten-things-you-need-to-know-about-ella-fitzgerald
Img 03: http://www.allmusic.com/album/mack-the-knife-ella-in-berlin-mw0000649510
Img 04: http://misadventuresmag.com/trail-mix-two-are-better-than-one-part-two/louis-armstrong-e-ella-fitzgerald/

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17/6/2016

MUSICALBOX: Afterhours – Folfiri o Folfox

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Nuova prova discografica per gli Afterhours di Manuel Agnelli: “Folfiri o Folfox” è pesante, acido, a suo modo urticante e spigoloso, ritagliandosi un posto del tutto particolare all’interno della lunga discografia del gruppo. Un passo ulteriore nella loro personale evoluzione.
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​di Carlo Cantisani
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Folfiri e folfox sono due metodi chemioterapici alternativi per curare il cancro all’intestino in uno stato abbastanza avanzato. I trattamenti ai quali, come ha svelato Manuel Agnelli nelle varie interviste in seguito all’uscita del nuovo disco, si è dovuto sottoporre suo padre ma che non hanno comunque potuto evitargli la morte.
Da questo evento personale molto forte, che si va a sommare ad altre dolorose concomitanze accadute agli altri membri del gruppo, prende le mosse il decimo album degli Afterhours, “Folfiri o Folfox” per l’appunto, composto da ben diciotto tracce divise in due dischi. Trattandosi di un vero e proprio concept in pieno stile rock anni ‘70, i musicisti hanno tentato di dare un andamento ben preciso all’intero lavoro, a partire dai suoni sino agli arrangiamenti, dalla disposizione delle canzoni ai testi, riuscendo a far emergere chiaramente il carattere cupo, rabbioso e duro ma anche forte, maturo e incline ad una reazione attiva al dolore che vicende del genere possono scatenare individualmente. Il carattere così soggettivo dell’intera vicenda capitata a Manuel Agnelli (che, non dimentichiamolo, si riflette anche nelle altre e fa un po’ da trait d’union) viene espresso senza troppi giri di parole, con l’uso di metafore che rimandano a situazioni e sensazioni facilmente riscontrabili nella vita di ognuno, e quindi, proprio per questo, permettendo di creare un ponte empatico verso l’ascoltatore che si ritrova nell’ambivalente situazione di non poter ignorare l’urlo di rabbia dei musicisti e di poterne, nello stesso tempo, reinterpretare le parole a seconda della propria esperienza.

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“Ambivalente” può essere l’aggettivo più adatto a descrivere anche la musica contenuta in “Folfiri o Folfox”: una commistione sonora che nasce dall’unione degli ultimi lavori del gruppo, in particolare “Padania” e “I Milanesi ammazzano il sabato”, con soluzioni inedite per gli standard degli Afterhours. Il suono asciutto, scarno e spigoloso di quei dischi viene preso a modello e fa da trampolino di lancio per innesti sonori che in quest’ultimo disco sono più pesanti e acidi, specchi perfetti di quell’urgenza espressiva che è palpabile lungo tutto il lavoro. A tal proposito, canzoni come Qualche tipo di grandezza, Il mio popolo si fa, martoriata da un riff di basso pesantissimo e cupo che si ritrova anche nella strumentale Cetuximab dai toni math e noise, o Fra i non viventi vivremo noi, scheggia hardcore impazzita, risultano dei veri e propri schiaffi a mano aperta, piccoli shock sonori per chi è abituato ai soliti Afterhours degli anni ’90. È meglio essere chiari: Manuel Agnelli e la sua ciurma ribadiscono con forza che quegli Afterhours non esistono ormai più e nei due dischi di “Folfiri o Folfox” fanno di tutto per ribadire il concetto tracciando un solco profondo che li distanzi da quel loro periodo storico. Da questo solco emergono nuove forme di vita, sconosciute e alquanto aliene, nelle sembianze di pezzi che traggono linfa vitale dalla voglia di osare e sperimentare del gruppo milanese: in primis, la title track, manifesto sonoro dell’album e pervasa da un andamento ossessivo tipico dell’indutrial alla Einstürzende Neubauten, nella quale, a metà canzone, irrompe un break di piano che da un minimo respiro al tutto. Ma è solo un’illusione momentanea e Folfiri o folfox continua imperterrita nella sua marcia, trasmettendo il suo DNA ad altri episodi interessanti che riescono a riadattarlo sotto altre forme, tipo Il trucco non c’è, che partendo da pochi suoni minimali procede per accumulazione, e soprattutto San Miguel, uno degli esperimenti più interessanti del disco dove la voce di Agnelli recita come un mantra la preghiera del santo protettore degli aviatori, “disturbata” in sottofondo da tappeti di suoni elettroacustici; sicuramente la traccia più particolare dell’intera carriera degli Afterhours.

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Se da una parte questi pezzi costituiscono l’ammasso sonoro compatto e duro, come la lava appena solidificata, di “Folfiri o Folfox”, l’altra faccia di quell’ambivalenza sopra accennata si rispecchia invece nel carattere più acustico e cantautoriale della nuova musica degli Afterhours. Scampoli di Battisti, Tenco e Dalla fanno capolino fra gli arrangiamenti, influenzando con la loro eleganza e maturità anche lo stile più classicamente rock per il quale la band è diventata famosa negli anni. Basti ascoltare ad esempio Grande e Oggi, i due pezzi d’apertura rispettivamente della prima e della seconda parte dell’album, uno specchio dell’altro, oppure la magnifica L’Odore della giacca di mio padre, con un piano quasi jazz che trasporta emotivamente l’ascoltatore e che fa della semplicità la sua arma migliore. Gli fa eco Noi non faremo niente, con il suo tono intimo e raccolto, quasi fosse una confessione, mentre Se io fossi il giudice, posta simbolicamente al termine dell’album, stupisce per il tono solare e aperto, come se il gruppo volesse comunque lasciare uno spiraglio per una futura rinascita dopo aver attraversato le intemperie del dolore.
Naturalmente sono presenti anche pezzi che si rifanno allo stile classico degli Afterhours e che saranno sicuramente apprezzati da chi è più abituato ai loro singoli: Ti cambia il sapore, Fa male solo la prima volta, Né pani né pesci o il singolo Non voglio ritrovare il tuo nome vengono però per lo più messi in ombra dalla particolarità e la ricercatezza del resto della scaletta, risultando poco incisivi sul piano musicale.
Gli Afterhours hanno creato un album che procede per contrasti, un’altalena sonora capace di sferrare colpi feroci così come delicate carezze. Da un punto di vista più generale non siamo in presenza di nulla di rivoluzionario, nonostante le testate faranno a gara per eleggere “Folfiri o Folfox” a disco del mese (e probabilmente a disco dell’anno a fine 2016): gli Afterhours non sono certo i primi a sperimentare determinate soluzioni, ma anzi arrivano in ritardo rispetto ad altri artisti che lo fanno in maniera più radicale e da molto più tempo. È da sottolineare l’apporto della nuova line-up, dall’alto tasso tecnico e molto più orientata alla sperimentazione, rinnovata grazie all’ingresso di Fabio Rondanini (dei Calibro35) alla batteria e di Stefano Pilia alle chitarre (Massimo Volume, In Zaire e autore lo scorso anno di un album solista assolutamente di rilievo); si percepisce che la coppia Pilia-Iriondo ha giocato un ruolo decisivo, e che molto di quello che i due musicisti fanno in sede solista o con altri progetti è stato trasposto anche in “Folfiri o Folfox”. In ogni caso, ciò che l’album ha da offrire lo offre in maniera appagante ed onesta, senza risultare forzato. Stravolgere trent’anni di storia non è affatto facile e se un gruppo di caratura internazionale come gli Afterhours è riuscito a non scendere a compromessi così radicali tali da comprometterne la credibilità artistica, allora si può dire che “Folfiri o Folfox” è perfettamente riuscito nel suo intento. Da questo momento un ciclo si è chiuso ed un altro potrà essere aperto.

Afterhours – Folfiri o Folfox (Universal, 2016)
CD1
  1. Grande
  2. Il mio popolo si fa
  3. L’Odore della giacca di mio padre
  4. Non voglio ritrovare il tuo nome
  5. Ti cambia il sapore
  6. San Miguel
  7. Qualche tipo di grandezza
  8. Cetuximab
  9. Lasciati ingannare (una volta ancora)
 CD2
  1. Oggi
  2. Folfiri o folfox
  3. Fa male solo la prima volta
  4. Noi non faremo niente
  5. Né pani né pesci
  6. Ophryx
  7. Fra i non viventi vivremo noi
  8. Il trucco non c’è
  9. Se io fossi il giudice
Immagini tratte da:
  • repstatic.it
  • sentireascoltare.com

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17/6/2016

Fine settimana Live Toscana 18-20 Giugno

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di Alice Marrani
                                                                           
Tornano gli MTV Awards dalle 20.00 di domenica al Parco delle Cascine e in diretta su Mtv. Dalle 21,00 presentati da Francesco Mandelli, live sul palco Alessandra Amoroso, Alessio Bernabei, Annalisa, Benji & Fede, Elisa, Emis Killa, Emma Marrone, Francesca Michielin, Lorenzo Fragola, Max Pezzali e The Kolors.  
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Anche nel 2016 si rinnova la collaborazione fra ORT, Orchestra della Toscana e il Polo Museale Regionale della Toscana che promuovono una serie di concerti all’interno di Villa la Petraia, villa medicea fra le più belle delle facenti parti del patrimonio Unesco di area fiorentina. Il concerto di stasera è diretto da Clair Gibault e ruoterà intorno alle opere di Mozart. Sempre per la musica classica invece domani sera, al Teatro dell’Opera, Zubin Mehta dirigerà la Missa Solemnis in re maggiore op. 123 di Beethoven, mentre domenica alla direzione della Filarmonica della Scala ci sarà Myung-Whun Chung in un concerto che ha in programma la Sinfonia in sol minore k. 550 di Mozart e la sinfonia n. 5 in do diesis minore di Mahler.
                                                                                                                                                        
Dal 1995 nella Buca del Palio di Fucecchio, alla fine di giugno si svolge Marea Festival. Il tema dell’anno è il viaggio con un particolare occhio all’interculturalità. Stasera sul main stage il We Are Music Festival con Federico Scavo special guest (costo 12 euro) mentre domani, L’ORSO, Damiano Grazzini & Interno 17 (Black Out Festival), Albedo (Fred Buscaglione Festival). Domenica sarà il turno invece di Piotta con Baobab Klan.     
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A Campi Bisenzio si svolge la nuova edizione di Campi Beer Festival presso il parco di Villa Montalvo. Tanti gli eventi in programma dal 16 giugno al 3 luglio. Domani sera alle 22,00 torna sul palco Bobo Rondelli con il suo Come i carnevali tour. (ingresso libero)    
PISTOIA

La cantautrice bresciana L’aura ha in programma per il 2016 l’uscita del nuovo disco, lavoro di ispirazione anni ’60, ’70 e ’90 prodotto da Simone Bertolotti. Torna così in tour con una serie di date che si estendono da maggio fino ad agosto. Sarà domani sera al Parco Pertini di Agliana per un concerto gratuito.
A Montecatini Terme il 18 e il 19 giugno sono i giorni dell’anteprima della terza edizione della Festa Europea della Musica che si terrà il 21. Domani dall’ora dell’aperitivo sono previsti concerti di musica live con vari gruppi, dal reggae al rhythm and blues mentre domenica sarà musica non-stop dalle 10,00 alle 22,00 dai generi che accontentano tutti i gusti.                               
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PISA

Finiti i festeggiamenti per la Luminara di quest’anno stasera Arno Vivo ospita Danny Bronzini, chitarrista e cantante reduce dal tour 2015 e 2016 di Jovanotti. Mentre domani sera alle 21,30 ad Argini e Margini è ospite il Duo Apolide di Marco Colonna e Carlo Maver, evento targato Pisa Jazz.
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LIVORNO

Da ieri sera a domenica la Terrazza Mascagni di Livorno è la location del Surfer Joe Summer Festival 2016, grande evento dedicato alla musica surf. Ricco di eventi collaterali ospita un’esposizione di chitarre vintage ad ingresso libero dalle 12.00 alle 24.00, seminari dedicati alla chitarra e al basso, una radio, una rampa per skateboard, ma soprattutto quaranta band provenienti da tutto il mondo, dal Messico al Giappone, dagli USA alla Germania, passando per la Francia e l’Italia per quattro giorni di musica, dal pomeriggio a notte fonda.
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Inizia stasera la nuova edizione di Energetica Festival nella Pinetina di Riotorto, una due giorni dedicata alla musica, all’ecologia e alla valorizzazione dei prodotti locali. Sul palco di stasera Erriquez e Finaz della Bandabardò, Lapo Marliani, Francesco Ceri, Mirko Rosi e Andrea Gozzi de I Matti delle Giuncaie, Fabrizio Pocci, Matteo Marchi e Alessandro Ferri di Fabrizio Pocci e il Laboratorio. Per il gran finale di domani invece sono attesi Tonino Carotone e i Malamanera. Apertura alle 18.30, ingresso libero.

Per maggiori informazioni:

Mtv Music Awards 2016: http://mtvawards.mtv.it/
Ort: http://www.orchestradellatoscana.it/it/
Opera Firenze: http://www.operadifirenze.it/it/
Marea Festival: http://www.mareafucecchio.it/
Campi Beer Festival: https://www.facebook.com/Campi-Beer-Festival-2016-1623400274561597/
Festa europea della musica: https://www.facebook.com/festaeuropeadellamusicamontecatiniterme/
Arno Vivo: https://www.facebook.com/arno.vivo.1/
Argini e Margini: https://www.facebook.com/arginiemargini/?fref=ts
Surfer Joe Summer Festival: http://www.surferjoemusic.com/festival/2016/
Energetica Festival: http://www.energeticafestival.it/

Immagini tratte da:

Img 01: http://www.optimaitalia.com/blog/2016/05/30/pass-golden-ring-per-gli-mtv-awards-2016-come-vincerli-con-i-giochi-attivi/291565
Img 02: https://www.facebook.com/events/1719716291643022/
Img 03: https://www.facebook.com/festaeuropeadellamusicamontecatiniterme
Img 04: https://www.facebook.com/events/1098111593609515/
Img 05: https://www.facebook.com/events/958827004156592/

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10/6/2016

REWIND: Bjork – Telegram

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Rewind è la rubrica musicale dedicata ai dischi e agli artisti del passato, quelli da scoprire per la prima volta o riscoprire perché non hanno ancora finito di dire tutto quello che avevamo da trasmettere. La inauguriamo facendo un salto indietro di vent’anni con “Telegram” del folletto islandese Bjork, artista che ha segnato gli anni ’90 e i duemila con album sempre diversi fra loro.
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di Carlo Cantisani
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“Telegram è l’essenza di Post. Ecco perché è così divertente chiamarlo un album di remix, è come se fosse il suo opposto. Telegram è più crudo, nudo, senza provare ad essere carino o pacifico per l’orecchio; semplicemente un disco che avrei comprato per me stessa. Come una lettera a me stessa, una specie di “fanculo quello che la gente pensa”. Ha a che fare con la verità nei confronti di me stessa.” – Bjork in un’intervista nel 1996.
Basterebbero queste poche ma dirette frasi per descrivere in sintesi l’importanza che riveste “Telegram” nella carriera di Bjork Gudmundsdottir, universalmente conosciuta semplicemente come Bjork: un’importanza non solo a livello artistico ma anche, e soprattutto, a livello personale ed umano, come ogni disco dell’islandese dal 1993 ad oggi.

Era esattamente la metà degli anni ’90 quando il suo secondo album “Post” arrivò sulle scene internazionali, come una lettera inaspettata da una persona conosciuta da poco ma impressa nella nostra mente in modo indelebile. Ed era proprio questa la sensazione che aleggiava nel periodo immediatamente successivo al debutto da solista di Bjork con, per l’appunto, “Debut” del ’93, un disco che, a dispetto della copertina che ritrae l’islandese in un atteggiamento innocente e fragile, mostra già tutta la sua incredibile personalità da compositrice, arrangiatrice ed interprete. Quella personalità così esuberante, infantile, pura e proprio per questo potente che tanto rispecchia la bellezza e l’ambiguità dell’Islanda, terra del ghiaccio e del fuoco, percepiva già di non potersi limitare ad esprimersi esclusivamente entro i classici album in studio, concependoli come capitoli chiusi e conclusi, materia sonora che esauriva solo in quel limitato minutaggio tutto il suo potenziale. Nacque così per Bjork la necessità di espandere le possibilità che le canzoni dei suoi album ufficiali potevano offrire in mano a dj e produttori di varia estrazione, principalmente elettronica. Le basse frequenze del dub, del trip-hop, della dance e dell’hip-hop hanno sempre costituito quel suono “nascosto” fra gli arrangiamenti delle canzoni, costituendo un’impalcatura solida e nello stesso tempo cangiante che, nel contrasto con le linee vocali o con la delicatezza degli strumenti ad arco, da sempre amati dalla cantante, formavano un insieme sonoro unico e immediatamente riconoscibile. Nei dischi di remix, Bjork decide quindi di far emergere questa massiccia impalcatura e, come un bambino con le costruzioni, di smontarla o farla smontare per essere riassemblata in altre forme.


Il primo passo verso questa personale idea risale al settembre del ’94 con un EP dal titolo emblematico, “The Best Mixes from the album Debut for All the People Who Don’t Buy White Labels”:

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uscito per la Polydor, co-prodotto dall’inglese Nellee Hooper (produttore di U2, Smashing Pumpkins e Sinead O’Connor) e Bjork stessa e contenente sei remix a firma Underworld, Black Dog e The Sabres of Paradise, contiene alcuni pezzi ormai diventati classici del repertorio della musicista islandese come Human Behaviour, One Day, Come to Me e The Anchor Song, completamente stravolti dalle pulsazioni della techno, da ritmiche tribali semi-orientali e da beat riverberati e psichedelici in pieno stile elettronica anni ‘90. L’EP è un piccolo diadema sommerso nella discografia di Bjork che è opportuno riscoprire per comprendere appieno le radici della fascinazione per certe sonorità più ruvide ed elettroniche da parte dell’artista islandese.

Un anno più tardi, “Post” bisserà il successo di “Debut”, spostando l’asticella della sperimentazione per Bjork un po’ più in là grazie a un sound che giocava con il jazz, l’elettronica, il rock e con orchestrazioni classiche. Come da costante nella carriera della musicista, la copertina è la fotografia che mostra non solo quel preciso spaccato della sua evoluzione musicale ma anche della sua evoluzione personale. E mettendo a confronto la cover di “Post” e della sua controparte remixata del ‘96 “Telegram”, la differenza è lampante: colorata, “pop” e pervasa da una forza quasi cinetica l’una, più dark, sfocata e inquieta l’altra. Il volto di Bjork, immortalato dal fotografo giapponese Nobuyoshi Araki, sembra vibrare, immerso in una luce al neon assolutamente spettrale nella quale lo sguardo della musicista sembra scrutare dentro l’ascoltatore in modo severo: starà forse mandandoci silenziosamente a quel paese, come lei stessa confessava nello stralcio dell’intervista? Non è dato saperlo ma la musica può forse aiutare ad interpretare in qualche modo il suo umore (apparentemente) impenetrabile e cangiante, così come sono cangianti i remix contenuti nell’album.
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“Telegram” non è semplicemente un altro “Post 2.0”, né tanto meno la sua prosecuzione, ma è realmente un’altra cosa, un disco completamente differente da quello da cui prende le mosse.Da gran bastardo qual è, si diverte a giocare stravolgendo pesantemente quasi l’intera track list originaria, tagliando fuori però due pezzi da novanta come The Modern Thing e It’s Oh So Quiet.

Ad eccezione del remix di Enjoy, tutti i pezzi erano già conosciuti al pubblico inglese per essere stati i b-sides dei singoli di “Post”, ma ascoltarli raccolti tutti insieme costituisce un’esperienza sicuramente molto più interessante, permettendo all’ascoltatore di rendersi conto dell’incredibile varietà e qualità dei remix. Già le prime due tracce lasciano spiazzati: si passa infatti dall’acidissimo remix di Possibly Maybe di LFO agli archi contrappuntistici del Brodsky Quartet che praticamente reinventano Hyperballad in una versione capace di competere con l’originale (e che sembra anticipare di nove anni la musica di “Vulnicura”). Eumir Deodato, storica figura degli anni ’70 per il funky-jazz orchestrale nonché produttore di “Telegram” insieme al solito Hooper, Tricky e Howie B (questi due artefici anche del sound di “Post”), ritorna su uno dei classici da lui stesso composti per la cantante islandese un anno prima, Isobel, rendendola più funky, carnale e sensuale rispetto all’eterea delicatezza dell’originale. I bassi potenti irrompono nel remix di I Miss You, con una cadenza hip-hop che trasforma completamente un pezzo che in origine era molto più da rave; come se già tutto questo non bastasse, sono da sottolineare però le due vere sorprese del disco, ovvero l’inedita My Spine (originariamente pensata per “Post” ma alla fine esclusa a favore di Enjoy) esclusivamente basata sul dialogo fra la voce di Bjork e dei suoni limpidi e cristallini prodotti in maniera percussiva (cinque anni prima di “Vespertine”) e Headphones, remix ad opera di Mika Vainio dei Pan Sonic, che riesce ad asciugare ancora di più il pezzo originario, portandolo ad un grado zero dove i suoni tendono al silenzio, in una dimensione distesa da ambient music.
“Telegram”, nonostante la varietà delle atmosfere e degli arrangiamenti, mantiene un’unità di fondo che dona al disco una sua ben precisa identità all’interno della parallela discografia degli album di remix di Bjork, riuscendo anche in alcuni casi, grazie ad esempio alle già citate My Spine ed Headphone, a competere in minima parte con gli album ufficiali.
Vent’anni e non sentirli minimamente: un must imperdibile per tutti i fan del folletto islandese.


Bjork – Telegram (One Little Indian, 1996)
Tracklist:
  1. Possibly Maybe (Lucy Mix – LFO)
  2. Hyperballad (Brodsky Quartet version)
  3. Enjoy (Further Over The Edge Mix – Outcast)
  4. My Spine
  5. I Miss You (Double Rub Part One – Sunshine Mix)
  6. Isobel (Deodato Mix)
  7. You’ve Been Flirting Again (Flirt is a Promise Mix – Bjork)
  8. Cover Me (Dillinja Mix)
  9. Army Of Me (Masseymix – Graham Massey)
  10. Headphones (Ø Remix a.k.a. The Metri Mix – Mika Vainio)

Immagini tratte da:
  • www.bjork.fr
  • images.complex.com

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10/6/2016

Niccolò Fabi - Una somma di piccole cose

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Lo scorso 22 Aprile è uscito l'ottavo album del cantautore romano, che all'alba dei cinquant'anni ha realizzato un'opera intimistica e civile nel suo senso più compiuto.
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di Enrico Esposito





Album : Una somma di piccole cose
Artista : Niccolò Fabi
Genere : Folk, Pop, Musica d'Autore
Casa Discografica : Universal
Data di uscita : 22 Aprile 2016




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Sinfonia di musica e parole. Se penso a questo disco mi viene in mente quest'insieme di concetti. E penso che negli ultimi sei giorni in cui ho iniziato ad ascoltarlo dopo aver letto tante buone opinioni non c'è stato uno solo di questi giorni in cui non abbia avvertito il bisogno di fermarmi a riaccendere "Play". In maniera inconscia, meccanica, panteistica. Non me lo dicevano nè il cervello nè il cuore. Ma i sensi stessi, il gusto della buona musica, per la quale ho tanto spesso voluto che le nove tracce di "Una somma di piccole cose" fossero in realtà diciotto, e che non una ma due, tre ore venissero riempite dall'ascolto di un'opera d'autore attraverso la quale Niccolò Fabi riesce davvero a trasmettere il desiderio di voler esprimere un mondo custodito da tempo dentro di sè in questa precisa fase della sua carriera. E non sembrerebbe cosa facile dopo il successo de "Il padrone della festa" e relativo tour in triumvirato con Max Gazzè e Daniele Silvestri. Ma come lo stesso Fabi ha dichiarato, tale esperienza comune non ha fatto altro che amplificare tre caratteristiche distinte e distintive incorporate dai tre: la vena goliardica e teatrale di Gazzè, il ruolo di osservatore delle dinamiche generali del mondo ricoperto da Silvestri e infine l'approfondimento emotivo in cui il quasi cinquantenne Niccolò ritrova il suo valore artistico più profondo.
Così, dopo i fasti delle grandi piazze e kermesse in lungo e largo per lo Stivale, il cantautore che si presentò in scena nelle prime occasioni dedicando un'elogio ai suoi capelli ha deciso di compiere un autentico viaggio di vita, fisico e spirituale, che tradizionalmente appartiene alla cultura statunitense della wilderness, ossia del rifugio dell'essere umano nel cuore solitario e incontaminato della Natura. Una scelta decisa, un'esperienza ex-novo che per primo raccontò nel 1854 nel suo diario "Walden" lo scrittore Henry David Thoreau, cui seguirono in tinte differenti Jack London, il poeta agreste della Beat Generation Gary Snyder, Christopher McCandless aka Alexander Supertramp de "Into the Wild". E nella musica recentemente Justin Vernon, cantante della band Bon Iver che nel 2007 registrò in totale solitudine nell'arco di tre mesi all'interno di una baita tra le montagne del Wisconsin l'album "For Emma, Forever Ago".
Inevitabile il confronto di tale precedente storico con la decisione presa da Niccolò Fabi di ritirarsi per circa sessanta giorni in una casa in campagna situata nella cava vulcanica di Baccano, poco fuori lo stress e i clamori della Capitale. E proprio Fabi nel corso delle interviste ha apertamente riconosciuto di essere partito da una lezione proveniente dal mondo anglosassone, rintracciabile in Bon Iver come nell'americano Surfjan Stevens, nel britannico Ben Howard e l'irlandese Damien Rice, ma anche in numerosi altri artisti appartenenti ad altre geografie (i norvegesi Kings of Convenience e lo svedese The Tallest Man on Earth). Camicie a quadroni come se non ci fosse un domani certo, nella ricerca di un folk naturalistico che il cantautore nostrano ottiene in eccezionale delicatezza e soprattutto è abile a rendere "italiano" incrociandolo con una puntuale osservazione della perdita degli equilibri all'interno della dimensione cittadina e sociale.

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Il giorno di uscita dell'ottavo disco della sua carriera, egli scrive sui social network " 22 Aprile. Un disco, una finestra, uno specchio, un nodo, un balsamo... Una somma di piccole cose". Piccole cose, piccoli oggetti, semplici, leggeri da riconsiderare. Leggeri e recuperati secondo una pacatezza contagiosa che fluisce da una voce che acrobaticamente è in grado di sollevarsi per pochi secondi (nella parte iniziale di "Una mano sugli occhi" e all'inverso nel finale di "Filosofia Agricola" ad esempio) pur rimanendo fusa in armonia con le musiche ricercate, raffinate e affinate esclusivamente da Fabi. Musiche complessivamente distese su chitarre, piano e percussioni tra i quali intervengono respiri e versi prodotti dalla natura e i suoi abitanti e danno dalle prime fresche strimpellate della traccia n.1, "Una somma di piccole cose" per l'appunto, (che riportano a "Misread" dei Kings of Convenience) l'impressione di essere diretta espressione del pensiero di un'unica persona. Come se i suoi cromosomi si siano concretizzati nei suoni dalle cui pieghe spuntano come un'emanazione le parole. Una dimensione allora di estatica ed intima fisicità che si allarga al ragionamento e alla lingua e porta l'uomo Fabi ad incastrare in un puzzle volutamente composto da tasselli che si susseguono senza incastrarsi, fotogrammi di azioni e casi offerti dalle storie della vita.
La vita del cantante Niccolò e dei suoi simili, che raccolgono questi frammenti per poter continuare ad andare avanti, seppur nella delusione vissuta tanto in campo civile ("un voto non dato, ogni voto buttato") che privato ("scelte sbagliate che ho capito col tempo"). Piccole cose che insieme compongono una forza esistente, alternativa, di cui rendersi conto con attenzione rispetto alla speranza dell'arrivo di un'asteroide che arrivi a riscrivere tutto. Una premessa generale di speranza e matura saggezza dalla quale necessariamente partire per poter in seguito dedicarsi ad otto racconti popolati da sfumature del sentimento molteplici. eeeh
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Storie del singolo e della collettività che corrono dal letto del proprio figliolo cui si rimboccano le coperte ai marciapiedi della città caduta invasi dalla tristezza della perdita dei valori alla simbiosi pressochè totale con MadreNatura e le sue atmosfere. Parlavamo in apertura di una commistione continua all'interno dei pensieri di Niccolò tra personale e civile, secondo la quale la critica rivolta alle ipocrisie e ai malfunzionamenti della società servendosi di dettagli importanti ed efficaci in "Ha perso la citta" ("Hanno vinto le puttane lungo i viali, ...le tangenziali alle otto del mattino, i ristoranti giapponesi che poi sono cinesi..") si eleva sotto i cori collettivi di "Non vale più" al livello più alto della fine di un sogno generale di vita, della caduta della sensibilità da parte degli uomini diretti traditori dell'amore vero come di altri valori, e di conseguenza responsabili della crisi degli strumenti mondo creato da loro. Le accuse rivolte da Fabi non appartengono al ruolo di un ideologo o di un portavoce della politica, bensì di un libero pensatore, che osserva e registra la crisi con la calma di ci si è reso conto della realtà e sa che nonostante tutto bisogna cercare di sopravvivere a piccoli passi, nella somma delle piccole cose, ritornando prima o poi alla giungla cittadina dalla quale ci si può assentare ma non per sempre.
Dalla sua esperienza di riitiro in campagna egli ricava linfa pura dalla pace e dalle non interferenze, e consente ai pensieri di fluire in modo netto e chiaro e comprendere nel brano manifesto "Filosofia agricola" la nostalgia della solfa metropolitana e l'incertezza nel lasciarsi andare ad una rivisitazione totale della condizione di essere vivente a dispetto delle paranoie spesso inutili costruite dalla mente. Mettere da parte la testa, affidarsi all'ascolto di se stessi seguendo i sensi al pari di un animale ("se io potessi scegliere mi addormenterei d'inverno"), e poter arrivare ad un distacco da terra in uno status spirituale in "Vince ci molla" che ricorda per molti versi la parabola finale compiuta da Tiziano Terzani ("Lascio andare la fune che mi unisce alla riva.. lascio andare i diplomi appesi in salotto, quella casa nella foresta ...distendo le vene e apro piano le mani, cerco di non trattenere più nulla").
Estasi dei sensi di cui beneficiano i rapporti più profondi e rilevanti, dall'amicizia di "Le cose non vanno bene", all'inteso confronto tra legame padre - figlio di "Facciamo finta" e all'amore che in "Una mano sugli occhi riceve una lettura lenta e sapiente. Si percepisce l'invocazione ad una compagna di vita amata e vicina da tempo esemplare, a fianco della quale non cessa di fermarsi un viaggio comune trascorso attraverso godurie immense e crolli truculenti, silenzi assordanti e una quiete vincente da non smarrire.

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 Immagini tratte da:

- Cover album da www.radioitalia.it
- Post facebook da www.zon.it
- Niccolò Fabi da www.sorrisi.com
- Tracklist da www.blogdimusica.it
- Tour da www.optimaitalia.com

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10/6/2016

Fine settimana Live Toscana 10-12 Giugno

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di Alice Marrani
I Duran Duran tornano a Firenze dopo ventinove anni, ospiti stasera del Visarno Arena, lo spazio principe dell'estate musicale fiorentina all'interno del verde del Parco delle Cascine. Il live di due ore fa parte del tour che segue l'uscita dell'ultimo album “Paper Gods”, con line up originale e scenografia spettacolare a partire dalle 21.00. (ingresso da piazzale delle Cascine, biglietti 32/50/50 euro, posti in piedi e numerati a sedere – prevendite www.ticketone.it e punti Box Office Toscana - info tel. 055.0460993 - www.lndf.it - www.livenation.it)
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Secret Florence, progetto che racchiude una serie di eventi patrocinati dal Comune di Firenze con Pitti Immagine Uomo (11-13 giugno) per l'Estate Fiorentina che hanno come scopo quello di promuovere l'arte e la cultura attraverso il coinvolgimento di diverse realtà artistiche. Fra queste Tempo Reale, centro di produzione, ricerca e didattica musicale, che offre tre proposte musicali in spazi particolari della città. L'11 giugno dalle 16,00 al Gabinetto Vieusseux – Sala Ferri ospita Living Objects con Rie Nakajima e Pierre Berthet. Domenica dalle 11.30 al museo di Santa Maria Novella è in programma Phasing/Rivoluzione del Tempo diretto da Fabio Lombardo e alle 16,00 nel cortile del Museo Novecento Xenakis/Persepolis con le percussioni di Stanislao Marco Spina. (alcuni degli eventi hanno posti limitati).
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Domani si apre la nuova stagione di Live In Sieve, progetto culturale no profit dell'associazione Sulla Sieve che, dal 2014, anima i giovedì estivi di San Francesco (Pelago), alle porte di Firenze. Ad aprire la vasta serie di concerti e attività culturali che si prolungheranno per tutta l'estate, dei quali gran parte dei profitti saranno come sempre devoluti ad associazioni benefiche e a sostegno della disabilità, eccezionalmente di sabato, la Rino Gaetano Band. Il concerto inizia alle 21,00 ed è ad ingresso gratuito.

PRATO
I Tre allegri ragazzi morti chiudono stasera la stagione di Officina Giovani a Prato. E' uscito a marzo il loro ultimo disco,”Inumani”, realizzato con la presenza, fra gli altri, di Jovanotti. Meta di un percorso iniziato da “Primitivi del futuro” che ha portato il gruppo a colorare il loro repertorio con elementi che vanno dal rock al reggae, dal folk al funk al soul. Il concerto è alle ore 22,00 a Officina Giovani, piazza dei Macelli, Prato. Biglietti 8 euro + prevendita.

AREZZO
Stasera è la sera di Una notte a Terranuova Bracciolini, manifestazione organizzata dal comune insieme a Commart e all'etichetta discografica Materiali Sonori. Alle 21,30 in piazza Liberazione, Roberto Vecchioni è protagonista di un suo concerto legato all'ultimo libro uscito, “Il mercante di Luce”. Lasciando da parte il repertorio di personaggi e miti storici si addentra nella sfera più intima della sua vita, raccontata attraverso frammenti di memoria dei quarantacinque anni della sua carriera. Il concerto sarà un'anteprima del tour che partirà da Milano nei prossimi giorni. L'ingresso è gratuito.

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LIVORNO
Erika Wennerstrom, voce dal timbro inconfondibile degli Heartless Bastards, sarà domani sera l'ex Cinema Aurora di Livorno per una delle date del suo tour europeo da solista. Ripropone in chiave acustica alcuni dei brani più famosi della band scoperta dai Black Keys con sede ad Austin. L'ingresso è gratuito. Ore 21.30


PISA
Il Borderline di Pisa arriva stasera e domani alla fine della stagione nel suo ventesimo anno di attività. Due serate targate VREC label in diverse sfumature di rock. Otto band, due delle quali, Never Trust e Psychos, presentano il nuovo album uscito per l'etichetta veronese. Altre, come i Junkie Dildoz e i Crazy Rain, si scaldano in vista dell'apertura dei concerti del Pistoia Blues Festival 2016. Sul palco stasera: The Berries, Sandstorm, Substantia Nigra e Psychos. Domani sera invece è il turno di Crazy Rain, Junkie Dildoz, Hot Cherry Band e Never Trust.

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Aperto da due giorni, Arno Vivo ci introduce al weekend con Fantasia Pura Italiana, il sestetto originario di Prato che offre spettacoli live particolari alternando musica, incursioni teatrali e improvvisazioni. Vincitori del titolo “Best Arezzo Wave Live Band Toscana 2014” e del Concerso “Indi Time” del “Marea Festival” di Fucecchio, saranno nella location estiva pisana dalle 22,00.



Per maggiori informazioni:

Tempo Reale:http://www.temporeale.it/
Live in Sieve: http://www.sullasieve.it/
Officina Giovani:https://www.facebook.com/OfficinaGiovaniPrato/?fref=ts
Una notte a Terranuova: https://www.facebook.com/events/642586505894336/
Borderline:http://www.borderlineclubpisa.it/
Arno Vivo:https://www.facebook.com/arno.vivo.1/?fref=ts

Immagini tratte da:

Immagine 01: http://www.055firenze.it/art/135430/Arena-Visarno-arrivano-Duran-Duran
Immagine 02: https://www.facebook.com/events/1750716958499545/
Immagine 03: https://www.facebook.com/events/642586505894336/
immagine 04: https://www.facebook.com/events/879994138772971/




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3/6/2016

Capossela fra polvere e ombra

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Vinicio Capossela presenta il suo nuovo album “Le canzoni della Cupa”. Da giugno il tour estivo.
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di Alice Marrani

“E' un lavoro che non va giudicato, va lasciato fluire” dice Antonio Infantino durante la sua presentazione delle Canzoni della Cupa, seduto nella Feltrinelli Red di Firenze, accanto a Vinicio Capossela. Sicuramente serve tempo per immergersi in questo lavoro e riuscire a capirlo davvero. Serve tempo perché l'essenza di quello che ascoltiamo si sedimenti, maturi piano piano esattamente così come quell'essenza è nata. Un tuffo nella musica folk. Ma questa definizione non basta. Quello che abbiamo fra le mani è un album che ha due lati e ventotto brani, tredici anni alle spalle e una storia intera dentro. Dopo “il paese dei Coppoloni” torna l'Irpinia sulle mani e nella voce di Capossela, ma in realtà c'era già da molto tempo. Terra paterna che non ha smesso di ascoltare, di indagare cercando nelle pieghe del tempo, nelle memorie che sono “evaporazione della terra” come ha detto Infantino, come quella polvere che identifica il titolo di uno dei due lati dell'album. La polvere che si alza quando passi ma anche quella che si deposita negli anni, sotto il sole caldo del Sud Italia. Ha il sapore e il suono della frontiera e quei ritmi trascinanti che rendono impossibile l'ascolto senza avere la voglia di muoversi. Basti pensare alla presenza dei Los Lobos ed ascoltare “La padrona mia” e il ponte fra l'Italia e l'America è subito presente e riconoscibile. Protagoniste tante donne, “La padrona mia”, le tabacchine di “Femmine”, “Zompa la rondinella”, “Franceschina la calitrana”. Alcuni brani finiscono con piccoli frammenti di canzoni popolari che come un' eco ci ricordano esattamente dove siamo, fra un brano e l'altro, in una dimensione senza tempo dove presente e passato si mescolano, dove le danze si uniscono a temi non sempre leggeri: esorcizzare ed esercitare quella “capacità di ridere anche amaramente”, come lo stesso Capossela ha detto. I ritmi cominciano a placarsi intorno al tredicesimo brano “Lu furestiero”, fino a “la notte è bella da soli” dove è come se ci preparasse alla seconda parte, quella lunare, notturna. “La notte è bella sola sola, a questo paese non ci sta nessuno, si arrabbiano le gatte con i cani, la gatta vince, la gatta vince, si sente lontano lu lupo mannaro, per la paura mi so’ scantato”. Storie nell'ombra, lì dove la luce non arriva, dove si nascondono creature strane e misteriose, paure e inconscio, mostri che sono a volte molto più reali di quanto si possa immaginare. “Il Pumminale” per esempio, brano che è stato il primo ad uscire con il suo videoclip, animale che nella tradizione popolare sarebbe il licantropo, storia di un uomo infedele che vaga nella notte assecondando lo spirito oscuro, animalesco e irrefrenabile. Anche la voce di Capossela si fa più morbida, calda, sussurrata, narratore di storie oscure misteriose.

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Non è un caso che nella giornata di presentazione a Firenze, lo scorso 12 maggio, seduto accanto a Vinicio ci fosse appunto Antonio Infantino, espressione della musica popolare italiana insieme alle tante altre presenze nell'album come Giovanna Marini, Enza Pagliara, La banda della Posta, uniti poi a quelli che invece ci portano lontano come i Los Lobos, Calexico, Howe Gelb.
Infantino ci racconta di un Capossela che ha colto il fiore dell'amore per la libertà, del rispetto per le persone e per l'umanità. E' un elemento che non può mancare se vogliamo spiegare le canzoni della cupa, quel suono che viene da lontano, i cori che fa senza un ritmo preciso mentre Vinicio suona e canta alcuni dei brani.
“Il cupa cupa è uno strumento che ha delle frequenze che scendono sotto i 7 hz, gli esseri umani riescono ad udire quelle che vanno solo sopra ai 30. E così è uno strumento che si collega con il linguaggio della natura, con quello della terra, con quello animale, con il pre-linguaggio umano.” E' lì dove non ci sono parole consce che esprimono quello che siamo che si trova la memoria della terra.
E' finito poco tempo fa il tour di presentazioni nelle librerie. Iniziato a Bari e concluso a Bologna dove la presentazione dell'album è stata accompagnata alla proiezione de “Il paese dei Coppoloni”.

  Adesso partirà il tour vero e proprio, o meglio, la sua prima parte, quella della polvere, caratterizzata da tutti concerti all'aperto che meglio si sposano con i ritmi forti e marcati. Parte dal Parco della Musica di Roma il 28 giugno (sarà in Toscana il 13 luglio al Lucca Summer Festival e il 29 Agosto al Beat Festival di Empoli). La parte dell'ombra partirà ad ottobre, nella penombra dei teatri, con altri strumenti, altre scenografie.
Fulvio Paloscia, giornalista di Repubblica presente in libreria quel giorno, chiede a Capossela dello spazio geografico dell'album che dall'Irpinia sembra allargarsi fino all'America. Lui chiede se qualcuno ha una copia del suo libro e poi, come risposta, ne legge la frase di apertura di Ernesto De Martino:
“Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell'umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l'immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l'opera di scienza o di poesia riplasma in voce l'universale”.
In un mondo dove le distanze si accorciano e dove tutti ci sentiamo cittadini del mondo serve un “villaggio nella memoria”, servono delle radici e soprattutto, serve non dimenticarle ma ripercorrerle, accettarle, farle vivere nel passato come nel presente.
Quel giorno a Firenze Vinicio canta “Zompa la rondinella”, “Scorza di mulo” per la quale invita Infantino ad accompagnarlo imitando il rumore degli zoccoli, e finisce con “Il treno”, così come finisce la tracklist dell'album. Ne cita una parte del testo, a concludere e riassumere tutta l'essenza del viaggio che ha portato a questo ultimo lavoro compiuto:
“così com’ero, restar non posso
quello che sono mi porto addosso”


Immagini tratte da:
- Immagine 1 da
http://www.rockol.it/news-652219/vinicio-capossela-canzoni-della-cupa-nuovo-album-data-uscita-copertina?refresh_ce

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