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29/7/2016

Puccini - Il Genio italiano dalle Terre di Lucca

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Giacomo Puccini è uno dei più importanti compositori italiani. Le sue dodici opere hanno ottenuto un enorme successo e sono rimaste fino ad oggi nei repertori di tutti i teatri d’opera del mondo, privilegio non di tutti e conteso fra pochi nomi nella storia della musica internazionale. La sua vita è strettamente legata alle terre toscane e soprattutto a quelle di Lucca, che da sempre gli dedica onore e memoria attraverso attività, festival, musei e iniziative musicali.
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di Alice Marrani
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A Lucca Puccini nacque e visse la sua prima infanzia, fra il 1858 e il 1880. Un’infanzia segnata dal sapore amaro della morte del padre, Michele, ma portatrice dell’inizio di quel percorso che a volte i figli d’arte hanno già scritto e determinato fin da piccoli. I Puccini d’altronde da decenni avevano avuto un ruolo rilevante nella vita musicale lucchese: da generazioni erano stati maestri di cappella del Duomo e Michele era stato professore di composizione all’Istituto Musicale di Lucca. Così non appare assurdo che il giovane Giacomo dopo essere cresciuto con piglio indisciplinato sotto la guida dello zio materno, si sia iscritto a quello stesso istituto nel quale ottenne il diploma pochi anni più tardi.
Da Lucca si allontanò nel 1880, verso Milano e il Conservatorio, con in tasca una borsa di studio di cento lire al mese donata dalla regina Margherita, una stanza condivisa con l’amico livornese Mascagni.
Pochi anni dopo la formazione con insegnanti come Antonio Bazzini e Amilcare Ponchielli, cominciò l’attenzione esclusiva verso un genere musicale specifico che mai ha abbandonato. Nel 1883 il concorso che portò alla svolta artistica della sua vita, quello indetto da Sozogno, nel quale presentò l’opera Le Villi senza vincerlo. Più corretto sarebbe dire che la sconfitta di quel concorso gli portò la vera vittoria: Ricordi la fece rappresentare l’anno dopo e grazie al successo riscosso fu incoraggiata a richiedere una seconda opera, Edgar, questa volta per la Scala.

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In terre lucchesi tornò anni dopo compositore affermato, in tasca il successo per Manon Lescaut, per mano Elvira, la compagna con la quale aveva iniziato una storia d’amore complicata dal fatto che era stata sposata. Con lei aveva vissuto a Monza insieme a Fosca, la figlia di lei, e Antonio, il figlio nato dalla coppia.
Dopo anni di ristrettezze economiche il successo di Manon Lescaut e della Bohème gli consentì di acquistare due ville vicino alla sua terra natale.
Si trasferirono a Torre del Lago nel 1981, in un luogo che Giacomo trovava perfetto. Solitudine della natura aiuta il lavoro di composizione facendogli scrivere quasi tutte le sue opere più famose. I tramonti straordinari e il vento che porta l’odore del mare, la vegetazione ricca di selvaggina che lui amava cacciare rendevano il luogo perfetto, un piccolo paradiso nel quale rifugiarsi e dal quale trarre ispirazione.


Dalle prime opere conobbe un successo sempre crescente. Diventò portavoce attraverso il melodramma verista degli ideali piccolo-borghesi del tempo. Le sue dodici opere ottennero un incredibile favore di pubblico italiano e internazionale, segnate da un’incredibile raffinatezza, da una viscerale attenzione per i dettagli dei libretti, per la ricerca dei soggetti, per l’equilibrio fra la musica e l’azione scenica. La sua produzione artistica è sempre stata legata ad una composizione attenta e lenta, all’attenzione per i gusti del pubblico, elemento decisivo in un momento storico come quello del Novecento, nel quale invece le correnti di avanguardia, in tanti paesi europei, se ne discostarono deliberatamente creando un muro che non è mai stato abbattuto del tutto.
Nelle sue opere amore e morte fanno da cardine intorno a personaggi femminili di eroine a volte fragili, sentimentali e sensuali. L’amore prima senza freni, felice, si trasforma spesso in tragedia attorno ai protagonisti che lo subiscono e di fronte alle quali si rimane inermi ascoltando spesso un lamento disperato capace di infondere l’essenza del soggetto della narrazione. Deriva da Wagner la tecnica dei leitmotive che con temi ricorrenti crea intrecci di reminiscenze guidate da un’orchestra che delinea e sottolinea sentimenti e vocalità.
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Dal sesso e la brutalità di Tosca (1900) all’esotismo giapponese di Madama Butterfly (1904), dalla California di La fanciulla del West (1910) alla Cina di Turandot (1926), Puccini si divise fra il successo italiano e quello internazionale rimanendo sempre legato alle terre nelle quali nasce, vive, nelle quali scrive sia le opere poi entrate in repertorio, sia la lunga serie di progetti abbozzati e mai finiti. Terre nelle quali si dedicò alle passioni sempre costanti della caccia e delle automobili delle quali fu appassionato collezionista e che non smise di comprare nemmeno a seguito di un incidente che gli costò una tibia fratturata e mesi di convalescenza.
Solo quando quel fastidio alla gola divenne lancinante dolore e iniziò la serie di tentativi per la guarigione si vide costretto ad abbandonare definitivamente l’Italia verso una clinica di Bruxelles. L’operazione subita per un diagnosticato carcinoma laringeo lo lasciò in vita solo per pochi giorni prima del 29 novembre del 1924, nel quale morì lasciando incompiuta Turandot, una delle opere rimaste più famose e più apprezzate del panorama operistico italiano.

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Img 4 - Pianoforte nel salone di Villa Puccini, Museo Villa Puccini, Torre del Lago
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Img 5 - Villa Museo Puccini, Torre del Lago (LU)

Le sue opere musicali sono apprezzabili da tutti e da tutto il mondo mentre i luoghi nei quali ha vissuto sono disseminati di itinerari che raccontano fieramente la sua vita di artista attraverso musei come quello della sua casa natale e delle ville successivamente acquistate e di festival a lui dedicati come quello in corso a Torre del Lago, nei quali ci si può immergere conoscere la vita personale e artistica di uno dei più grandi compositori italiani.


Fonti:

http://www.puccinimuseum.org/it/
http://www.puccinifestival.it/

Immagini tratte da:

- Img 1: Giacomo Puccini nel 1908, Wikipedia Ita, By Photo copyrighted by A. Dupont, New York. [Public domain], via Wikimedia Commons, Voce "Giacomo Puccini"
- Img 2: Puccini al volante della De Dion Bouton 5 CV, Wikipedia Ita, No Author,Public domain, voce "Giacomo Puccini"
- Img 3: http://www.icsrizzoli.it/puccini/?q=category/puccini/melodrammi/turandot
- Img 4: http://www.giacomopuccini.it/photogallery/
- Img 5: http://www.giacomopuccini.it/museo/il-restauro-della-villa/

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28/7/2016

Di come uno scarto del Boss diventò una perla di Patti Smith

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di Enrico Esposito
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La rinnegò. L'aveva incisa e di fatto destinata a "Darkness on The Edge of Town", l'album che doveva sopportare il non invidiabile onere di succedere al quella botta chiamata "Born to Run". Era il 1978, e il Boss all'ultimo step escluse dal suo quarto disco una lirica impregnata di sudori dopo giornate sfiancanti in fabbrica e di bisogno di sussurrii tra braccia confortevoli al calare del crepuscolo. "Because the night" era formulata quasi in falsetto da Bruce Springsteen ma, seppur inquadrata nell'atmosfera notturna e dunque oscura, non appariscente del concept generale dell'album, appariva spaesata. Darkness on The Edge, posizionato dal gotha Rolling Stone alla posizione non proprio sgradevole 151 tra i 500 capolavori delle sette note di tutti i tempi, non poteva permettersi di "distrarsi" troppo dalle febbrili ispirazioni offerte dagli angoli delle strade così affondate nella mente del Boss dalle prime battute della sua ascesa, dell'incoronazione a capopolo e onesto biografo delle storie di una classe sociale, quella operaia, alla quale apparteneva e doveva più di un pensiero.
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"Badlands", "Streets on fire", "The Promise", alcune delle frecce vigorose lanciate dai Play di una tra le produzioni più cupe ma difficilmente dimenticate dai fans veri. "Because the night" non tradiva radicalmente il tono generale della manifestazione springsteeniana, ma d'altro canto possedeva il difetto decisivo di riservare in modo eccessivamente liberatorio il momento del relax e del'abbandono alle fatiche e ai giochi dell'amore. Bruce la registrò ugualmente e la cantò pure in concerto con l'E - Street Band diverse volte. Soltanto a distanza di Trent'anni, "The Promise" del 2010 l'ha accolto all'interno della sua Playlist e ha rivissuto un'esaltante Nuova Giovinezza grazie alle esaltanti performances come al Madison Square Garden del 29-10-2009, quando in occasione del "25 Anniversario dalla nascita della Rock and Roll Hall of Fame" sul palco Springsteen fu accompagnato da Bono degli U2 e da Patti Smith colei che da quello "scarto" avrebbe tratto una delle perle immortali della sua carriera.
Il caso aveva infatti voluto che all'epoca dell'incisione di "Darkness on The Edge" il suo produttore Jommy Iovine stesse lavorando contemporaneamente alla messa a punto del terzo LP di un'altra artista che stava registrando in una stanza non molto lontana dal Boss. Lei era una certa Patti Smith, aveva lanciato al suo esordio nel 1975 un pesante schiaffo in faccia a pubblico e critica con l'originalità di "Horses" e tre anni dopo si apprestava a pubblicare un altro passaggio fondamentale, denominato "Easter". Pasqua, riflessività, catarsi, ereditate da una maturazione importante, dall'evoluzione caratteriale e culturale di una ragazza che stava diventando donna affermata. "Easter", album di solennità e filosofia dopo le corrosioni e introspezioni dei precedenti. Non fu un mettere da parte, nè averne abbastanza della post-psichedelia, di Jimi Hendrix, degli scheletri nell'armadio di stampo adolescenziale stupendamente raffrescati sul modello dei Rimbaud, Verlaine, di cui la "Sacerdotessa del Rock" portava in scena letture particolari nei locali newyorchesi ai primissimi passi del suo arrivo nella "Grande Mela". "Easter" rappresentava l'approfondimento doveroso con la religione e il misticismo.
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La Patti abile fu nel raschiare leggermente due tipici versi springsteeniani working- class "I work all day out in the hot sun" e "What I got I have earned, What I'm not I have learned", riversando una manciata di metafore di gusto romantico e simbolico che si fusero senza patemi tra le pieghe della ballata d'amore. Non apportò altre sostanziali modifiche alla versione di Bruce, conservando il crescendo del ritornello e la seducente vena di "prosternazione" espressa dal "Take me now baby as I am".
E nonostante dopo anni Patti abbia dichiarato di odiare "quella merda che avevo scritto", ancora oggi "Because the Night" resta una delle canzoni che volentieri fa riascoltare oltrechè una hit di successo clamoroso e storico.
Immagini tratte da:

Immagine 1 da www.antiwarsongs.it
Immagine 2 da www.consequenceofsound.net
Imamgine 3 da www.genius.com


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28/7/2016

Weekend Live Toscana 29-31 luglio

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di Alice Marrani


PISA


Il weekend in provincia di Pisa inizia all’insegna del trash e dell’hard rock con i Testament, live dalle 21.30 presso The Jungle, Cascina. https://www.facebook.com/events/512151045625124/

Sabato sera arriva al termine l’edizione 2016 di Collinarea Festival. Iniziato il 23, ha riempito le strade di Lari di teatro, di cultura e di spettacoli. Ma soprattutto, al suo diciottesimo compleanno, si è nutrita di determinazione, quella difficile, verso l’obiettivo di non morire per mancanza di finanziamenti, attraverso la partecipazione gratuita di tanti artisti che negli anni l’hanno vista nascere e crescere. Si conclude in musica con il concerto di Mamma Li Turchi, repertorio popolare salentino e campano fatto di canti e danze accompagnati anche da Bobo Rondelli e da Tommaso Novi dei Gatti Mezzi. http://www.collinarea.it/

Le Cirque fa parte dell’undicesima edizione del Teatro del Silenzio, evento annuale ideato da Andrea Bocelli che si svolge a Lajatico, nelle colline pisane. Il tema del circo come spettacolo completo di varie forme d’arte si sposa con la presenza di un cast pieno di grandi nomi, come quello del baritono Leo Nucci e del soprano Sumi Jo, dell’Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova che conta più di settanta elementi, della regia di Luca Tommasini. Si svolgerà sabato 30 luglio. 
http://www.vivaticket.it/index.php?nvpg%5Bevento%5D&id_show=79634

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Presso il Bagno degli Americani di Tirrenia il weekend si chiude domenica con un beach reggae party, dalle 19.00, con Macro Marco.
https://www.facebook.com/events/1214390155281533/

LIVORNO

E’ in corso a Livorno Effetto Venezia 2016 che offre in questi giorni un programma ricco di eventi culturali compresi tanti appuntamenti di musica live. Per il programma completo: http://www.livorno-effettovenezia.it/

Dopo anni il Bolgheri Festival cambia location e si fa un po’ meno suggestiva ma più accessibile (anche economicamente) spostandosi a Marina di Castagneto. Inizia stasera l’edizione di quest’anno ma è domani il primo dei grandi concerti in programma. Protagonisti i Subsonica in una delle date del loro tour estivo iniziato a luglio. http://www.bolgherifestival.it/

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MASSA E CARRARA

Revolution Camp a Marina di Massa è una vacanza dedicata a studenti e non all’insegna del confronto e del divertimento che offre un programma ricco di dibattiti, sport e musica. Per la musica, Revolution Festival, organizzato da Metarock e ICompany, offre in programma un concerto gratuito ogni sera. Stasera i Matti delle Giuncaie e Fantasia Pura Italiana, domani sera Parranda e Betta Blues Society mentre domenica l’Officina della Camomilla con Willy Peyote.
http://www.revolutioncamp.it/revolutionfestival/

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LUCCA

Continua il Festival Puccini a Torre del Lago Puccini. In scena stasera Madama Butterfly e domani Turandot mentre domenica sera verrà rappresentata la Turandot nella versione del compositore di Empoli Ferruccio Busoni, rappresentata la prima volta a Zurigo nel 1917. http://www.puccinifestival.it/

Dal 27 al 31 luglio, allo Stadio dei Pini nella Darsena di Viareggio si svolge Revolution Festival. Ogni sera un concerto live a partire dalle 22,00. Oggi la serata è dedicata al reggae con Babaman. Domani sera in programma due ore di dj set con Frankie Hi-NRG con una selezione di brani rap, hip hop ed elettronica. L’ultimo concerto vede protagonista i 99 Posse. http://www.giovanicomunisti.it/revolution-festival-dal-27-al-31-luglio-la-nostra-festa-nazionale-a-viareggio

PISTOIA

Stasera il Santomato Live Summer Edition di Pistoia ospita i Gatti Mezzi. Il gruppo pisano ha festeggiato i suoi dieci anni di attività nel 2015 e proprio a Pisa ha inaugurato, lo scorso aprile, il tour che presenta al pubblico il nuovo album “Perché hanno sempre quella faccia”. Cantastorie ironici mescolano la letteratura alla complessità quotidiana raccontandola attraverso le varie sfumature jazz, funk e blues. https://www.facebook.com/events/139577576476352/

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Immagini tratte da:

Img 1: http://www.esatour.it/it/component/zoo/item/bocelli-lajatico-teatro-del-silenzio-le-cirque-30-07-16
Img 02: http://www.subsonica.it/messaggio.asp?id=1379243
Img 03: https://www.facebook.com/villaggiostudentesco/?fref=ts
Img 04: https://www.facebook.com/events/139577576476352/

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22/7/2016

Weekend Live Toscana 22-24 Luglio

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di Alice Marrani

FIRENZE
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Nella suggestiva cornice del Teatro Romano di Fiesole sette artisti rendono omaggio stasera a Fabrizio de Andrè con una serata a lui dedicata. Amore che vieni amore che vai è dedicata al vasto mondo poetico del cantautore e ne accentua la sfumatura più femminile. Protagonisti Cristina Donà, Rita Marcotulli, Enzo Pietropaoli, Fabrizio Bosso, Javer Girotto, Saverio Lanza, Cristiano Calcagnile.

È iniziato il 15 e si concluderà domenica il Reality Bites Festival 2016 a Fucecchio, festival nel quale il cibo e la musica si fondono in un programma ricco di eventi live, ogni sera dalle 21,00. Ospiti stasera Altre di B e Appaloosa, domani sera saranno sul palco i Calcutta preceduti da Verano e Uomo Pigiama. Ad aprire l’ultima serata Orelle che sarà seguita da Gino Paoli & Danilo Rea.
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Continuano i grandi concerti al Visarno Arena di Firenze. Quella di domenica, dopo il sold out milanese, è la seconda delle uniche quattro date italiane dei Massive Attack che proseguiranno poi verso Roma e Napoli. Il gruppo nato negli alla fine degli anni ’80, che si è fatto simbolo del trip pop in una fusione fra jazz, hip pop, rock e soul ha pubblicato il suo ultimo lavoro nel 2016.
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Ospite del Barberino Designer Outlet sarà in concerto l’inconfondibile voce di Chiara. Due album, dieci singoli, due partecipazioni al Festival di Sanremo, una vittoria al Wind Music Awards, varie nomination e la vendita di circa 300.000 copie dei suoi dischi si esibirà live domenica alle 21.00.
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LUCCA

Continua il programma del Lucca Summer Festival di quest’anno. La serata di domani sera vedrà protagonista Marco Mengoni che chiude a Lucca il suo programma di date estive. Il cantante, che dopo la vittoria del talent show X-Factor ha visto in sette anni decollare la sua carriera fra numerosi e prestigiosi premi ed un sempre crescente pubblico, ha pubblicato Le cose che non ho, il suo quarto album in studio nel dicembre del 2015.
​Torna a Torre del Lago Puccini uno dei festival più importanti della toscana classica, fra i più importanti festival lirici italiani e l’unico dedicato a Giacomo Puccini. Come ogni anno dal 1930, fra luglio ed agosto, il Festival Puccini ospita alcuni fra i più grandi cantanti lirici diretti da importanti direttori d’orchestra. Stasera sarà sul palco del festival La Bohème (in replica il 5 agosto) mentre domani sera Turandot (in replica il 30 luglio e 12 agosto).
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PISA

Domani sera sulla riva dell’Arno, ospiti di Argini e Margini a Pisa, suonerà il Gianluca Petrella Trio (Gianluca Petrella, Michele Papadia, Stefano Tamborrino). Un concerto che mescola afrobeat, jazz, hip hop, sonorità elettroniche, hammond e percussioni nelle radici della Black Music. L’ingresso è gratuito dalle 21.30.

Musicastrada Festival compie quest’anno diciassette anni con un programma ricco di eventi dal 17 luglio al 17 agosto, fra i quali 14 concerti gratuiti, workshop e un concorso fotografico. In questo weekend i Saodaj stasera portano in piazza della Pieve a Vicopisano il Maloya, genere dell’isola francese de La Réunion arricchito da influenze europee e africane. Domenica il jazz americano con sonorità europee di vario genere della The Underscore Orchestra sarà in piazza del comune di Montecavoli.

Bagno degli Americani e Associazione Pisa Folk organizzano insieme Folk on the beach, due serate dedicate alla musica folk. La prima si terrà domenica con De’ Soda Sisters, gruppo che con il nome riporta alle spiagge bianche di Rosignano Solvay da dove ha origine, mentre con il repertorio viaggia fra la Toscana e il Sud Italia attraverso una formazione che prevede chitarra, mandolino, cigar box, voci e percussioni.

​LIVORNO

Stasera alle 21,00 si inaugura la nona edizione di Galà Perla del Tirreno. Gli ospiti principali della serata creano un ponte dagli anni ’70 e ’80 dei New Trolls all’attualità dei Tiromancino, in tour con il loro nuovo album “Nel respiro del mondo”. In programma anche Cecile, Gazebo, Martina Niccolai e ancora spettacoli di danza, circensi, fashion show e dj set. L’evento è ad ingresso gratuito e seguito da Radio Bruno.

AREZZO

Si svolge ad Arezzo, dal 21 al 24 luglio, la quarta edizione di Passioni Festival che unisce l’arte nelle sue vare sfumature alla politica e alla cultura. Stasera alle 21,15, presso l’Arena Eden di Arezzo, Andrea Scanzi e Filippo Graziani ci presentano un tributo a Ivan Graziani. Fuoco sulla Collina sarà uno spettacolo che alterna la narrazione di Scanzi all’interpretazione di Filippo in un percorso attraverso i brani più e meno noti del cantautore.
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Iniziata ieri, prosegue fino a domenica Naturalmente Pianoforte, una 4 giorni dedicata a questo strumento e al suo universo. Diciannove pianoforti e cinquanta pianisti si alternano in una manifestazione che attraverso i tasti bianchi e neri indaga l’universo della musica attraverso concerti, workshop, artisti di varia esperienza e provenienza, di vario genere musicale e vari generi artistici. Fra i partecipanti in programma fra oggi e domenica: Morgan, Sasha Puskin, Giuseppe Azzarelli, Mario Mariani, Wim Merters, Rocco De Rosa e tanti altri.
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La domenica di San Giovanni Valdarno si colora delle più importanti note funky-soul ospitando in piazza Masaccio Fred Wesley & The New Jbs. Il trombettista va ad arricchire il programma del dodicesimo Orientoccidente Festival.
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SIENA

Si chiude domenica la Festa della Musica di Chianciano Terme iniziata il 20 luglio. Fra gli artisti presenti nel weekend, stasera live Birth, Yombe e Il teatro degli Orrori, domani sera Siberia, Dirty Honkers, Birdy Nam Nam e chiuderanno domenica Overmass, Disperato Circo Musicale, Patois Brothers. Stasera e domani afterparty con John Type Dj set e Coqo Djette Djset.


Per maggiori informazioni:
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Amore che vieni amore che vai: http://www.estatefiesolana.it
Reality Bites Festival: https://www.facebook.com/realitybitesfestival/?fref=n
Massive Attack Visarno Arena: https://www.facebook.com/events/714249168678354/
Chiara Barberino Designer Outlet: http://www.mcarthurglen.com/it/barberino-designer-outlet/it/campaigns/modamusica/
Lucca Summer Festival: http://www.summer-festival.com/
Festival Puccini: http://www.puccinifestival.it/
Argini e Margini: http://arginiemargini.com/
Musicastrada Festival: http://www.musicastrada.it/musicastrada-festival/
Bagno degli Americani: https://www.facebook.com/bagnoamericani/
Galà Perla del Tirreno: http://www.galaperladeltirreno.com/
Passioni Festival: http://www.passionifestival.it/
Naturalmente Pianoforte: http://naturalmentepianoforte.it/
Orientoccidente Festival: http://www.orientoccidente.net/
Festa della Musica:
http://www.collettivofabrica.org/Musica/event000024/Festa_della_Musica_Chianciano_Terme_2016

Immagini tratte da:

Immagine 01: https://www.facebook.com/events/714249168678354/
Immagine 02: http://www.summer-festival.com/
Immagine 03: http://www.puccinifestival.it/
Immagine 04: http://www.radiowebitalia.it/70196/manifestazioni/la-nuova-edizione-di-naturalmente-pianoforte-torna-dal-21-al-24-luglio-a-pratovecchio-stia.html
Immagine 05: http://www.comunesgv.it/fred-wesley-the-new-jbs-domenica-24-luglio-piazza-masaccio-san-giovanni-valdarno/

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22/7/2016

REWIND: Charles Mingus – i sessant'anni di un pitecantropo primitivo ed elegante

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Sessant’anni fa veniva pubblicato uno dei lavori più importanti per la scena jazz internazionale da un contrabbassista di colore dell’Arizona, irascibile, dai modi burberi e senza mezze misure nei riguardi di nessuno ma capace di riversare una vasta gamma di emozioni nella sua musica. Il suo nome era Charles Mingus, e il disco “Pithencanthropus Erectus”, primo passo per una carriera che è anche specchio di una vita sempre in bilico fra musica ed eccessi.
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​di Carlo Cantisani
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Un bastardo. Anzi, beneath the underdog, peggio di un bastardo. Così si descrive Charles Mingus nella sua autobiografia che come titolo porta quella stessa espressione inglese, scritta per ben vent’anni e pubblicata nel 1971 in forma abbreviata e ampiamente rimaneggiata. Bastardo per motivi anagrafici, figlio di un padre mulatto nato da una svedese e da un nero e da una madre per metà cinese e per metà pellerossa. Ma bastardo anche per il suo carattere difficile, iroso, violento, a volte eccessivamente vittimista ed infantile, ma nello stesso tempo gentile, ingenuo, brutalmente onesto e caratterizzato dalla continua e inconscia, quasi patologica, ricerca di amore. Nessuno meglio di Mingus stesso ha saputo sintetizzare tanta varietà psicologica in poche parole: «Io sono tre. Il primo sta sempre nel mezzo, senza preoccupazioni ed emozioni; osserva aspettando l’occasione di esprimere quello che vede agli altri due. Il secondo è come un animale spaventato che attacca per paura di essere attaccato. E poi c’è una persona piena d’amore e di gentilezza, che permette agli altri di penetrare nella cella sacra del tempio del suo essere. E si fa insultare, e si fida di tutti, e firma contratti senza leggerli, e si lascia convincere a lavorare sottocosto o gratis. Poi, quando si accorge di quello che gli hanno fatto, gli viene voglia di uccidere e distruggere tutto quello che gli sta intorno, compreso se stesso, per punirsi di essere stato tanto stupido. Ma non ce la fa: e così si rinchiude in se stesso». Queste righe sono per l’appunto l’incipit di “Beneath The Underdog”: dirette, sincere, semplici, che lasciano trasparire una fragilità di fondo che tanto stride con la solita immagine sicura di sé e tutta d’un pezzo che le star e i maggiori personaggi della musica tendono a dare di loro. Ma Mingus ha sempre costituito un’anomalia nel mondo del jazz e della musica occidentale del Novecento, come anche un enigma da un punto di vista umano, e a distanza di sessant’anni, “Pithencathropus Erectus”, il suo primo album da band leader e da compositore vero e proprio, è lì a ricordarlo a chi osa addentrarsi nel suo mondo.
Come spesso accade per le grandi personalità artistiche, vita e arte si riflettono l’una nell’altra risultando molto difficili, se non proprio impossibili, da separare: in questi casi, capire l’una vuol dire capire anche l’altra. Di esempi, il jazz, ne ha forniti a bizzeffe, da Billie Holiday a Charlie Parker, da Miles Davis a John Coltrane, solo per citare i casi più famosi. Al contrario dei nomi appena accennati, come di tanti altri, da un punto di vista musicale Mingus però non è mai rientrato specificatamente in un solo stile ma nel corso della sua ventennale carriera ha saputo porsi a cavallo di più mondi jazzistici. La sua musica così come la sua vita, in sostanza, fanno storia a sé, ponendo il contrabbassista sotto una luce del tutto particolare, caratterizzata da sperimentazioni audaci ed innovative che spesso hanno saputo precedere interi movimenti (il free jazz innanzitutto, ma anche il soul jazz), così come da un profondo conservatorismo verso le radici della musica afro-americana, continuamente percepibili in tutta la sua produzione discografica. Duke Ellington, Art Tatum (col quale arrivò anche a suonare insieme), Charlie Parker, il blues, il gospel e i canti della “Holiness Church” delle congregazioni del suo paese: questi sono i fili che tengono insieme la musica di Charles Mingus, rappresentativa di una sintesi e un equilibrio stilistico che ha pochi eguali nella storia del jazz e non solo, e che lo colloca fra i più grandi compositori e contrabbassisti di sempre. L’anomalia in tutto ciò si annida proprio in una delle caratteristiche che più sono state a cuore al musicista dell’Arizona, ovvero l’aspetto corale e collettivo per quanto riguarda l’improvvisazione nelle sue composizioni, che, unitamente al suo impegno sociale e civile contro la segregazione razziale degli afro-americani, anticipò di qualche anno la corrente del free jazz di Ornette Colemann. Peccato però che Mingus la sentisse del tutto estranea, al limite dell’odio e del disprezzo, quando questa corrente jazzistica fece i suoi esordi all’inizio degli anni ‘60: una beffa che la storia gli ha riservato e con la quale ha dovuto fare continuamente i conti.

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Proprio l’idea della collettività e del mutuo scambio d’idee fra musicisti guidò il contrabbassista nei primi anni ’50 in una New York piena di fervore artistico e di grandi strumentisti. Proprio lui, il burbero Mingus, iniziava radunare intorno a sé un collettivo di musicisti bianchi e neri con i quali iniziare a sperimentare dapprima altrui composizioni e successivamente le proprie. L’insieme di questi talenti prese inizialmente il nome di Jazz Workshop, mutuato in seguito in Composers’ Workshop e anni dopo in Jazz Composers Workshop, facendosi notare nell’ambiente grazie ad una serie concerti ad alto contenuto sperimentale e in cui spiccavano le capacità dei solisti. Più il tempo passava, più l’esperienza di Mingus, già di un certo peso sin dagli anni ’40, cresceva, così come la voglia di saggiare nuovi territori stilistici, mettendone alla prova i limiti. Ecco allora che il musicista approda ad una nuova consapevolezza, anzi a due: la prima è che anche con la scrittura più precisa e minuziosa possibile, la musica come la sente dentro di sé («in my mind’s ear» come dice lui) non può venire riprodotta adeguatamente, sia da jazzisti che da musicisti classici. La seconda, decisiva per la nascita del suo stile, è che il jazz, se ci si attiene ad una parte scritta, non può essere suonato con il giusto feeling che si può ottenere suonando invece senza seguire una partitura; questo significa allora liberare un pezzo da pesanti costrizioni armoniche e ritmiche, lasciando molta più libertà all’interpretazione del singolo musicista, sia collettivamente che in solo. Per Mingus, questa nuova metodologia denota non solo suonare tecnicamente brani di matrice jazz, ma “suonare jazz” nel vero senso del termine: con piglio, sentimento e attitudine jazz. Una semplice idea ma che si rivelerà di lì a poco dirompente e rivoluzionaria, e non solo in ambito jazzistico: si capisce benissimo allora perché una corrente dal nome evocativo come quella del free jazz abbia riscontrato in lui un precursore.

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I primi esperimenti in tal senso si riscontrano nel 1955, durante la permanenza del suo gruppo al Café Bohemia dove furono registrati dal vivo una versione del classico di George Gershwin, A foggy day, e il pezzo Haitian Fight Song, dalle sonorità folkloriche e con forti connotazioni politiche che avrebbero caratterizzato sempre di più alcuni dei brani di Mingus a partire dagli anni ’60, il decennio considerato dai critici più fecondo del contrabbassista americano. Forte di queste e delle passate esperienze, di una capacità di scrittura sopraffina e di una tecnica personalissima sul suo strumento principe, Mingus registra nel 1956 “Pithecanthropus Erectus”, summa del Mingus-pensiero e del suo stile di allora. Nonostante i brani siano stati scritti dal contrabbassista americano e portino quindi il suo nome, “Pithecanthropus Erectus” è anche debitore dell’esperienza del Jazz Workshop di New York, particolare assolutamente non da poco visto l’enorme influenza che quell’ambiente ha lasciato in Mingus, tanto che in copertina, invece che solo il suo nome, è riportata la dicitura The Charlie Mingus Jazz Workshop. Anche il quartetto che lo accompagna prende le mosse da quel collettivo: i sassofonisti Jackie McLean (alto) e J. R. Monterose (tenore), il pianista Mal Waldron e il batterista Willie Jones. L’essenza dell’album risiede nella sua libertà interpretativa lasciata ai singoli musicisti e, nello stesso tempo, nell’improvvisazione collettiva che riescono a costruire insieme: due aspetti complementari che permettono di tenere in equilibrio sia il singolo che il gruppo, senza che l’uno o l’altro prendano il sopravvento. Non è un caso infatti che la musica di Mingus non ha mai utilizzato la figura del solista come determinante e condizionante in assoluto, né che quindi abbia mai sofferto di un radicale cambio di sound quando uno di questi abbandonava il gruppo: Charles Mingus si rivelava essere una fantastica anomalia anche in questo aspetto. D’altronde il metodo di composizione dei brani di “Pithecanthropus Erectus” è molto semplice, almeno apparentemente: Mingus ha già dentro di sé ben chiara la struttura e l’evoluzione di un brano, le quali poi vengono spiegate pezzo per pezzo ai musicisti senza l’apporto di alcun spartito. Con l’aiuto del piano, cerca di far familiarizzare gli strumentisti con la struttura ritmica e armonica e con il sentimento generale che delineerà la personalità di un brano, ma per il resto tutto è lasciato alla libera interpretazione dei singoli musicisti che, anzi, si vedono spronati dallo stesso contrabbassista ad esprimere il loro stile personale. Il pezzo che da il titolo all’album è ormai considerato l’emblema di questa nuova via, un vero e proprio manifesto che dimostra l’equilibrio raggiunto sia dai singoli che dall’insieme: espressionista, piena di cambi di atmosfera ora più delicati, ora più concitati e feroci, lungo i suoi dieci minuti ha un andamento quasi ossessivo, efficacissimo nel raccontare lungo i quattro movimenti in cui è suddiviso l’evoluzione dell’uomo, dalla conquista della posizione eretta alla sua futura autodistruzione, quest’ultima rappresentata da una caotica parte dissonante in cui gli strumenti si rincorrono e si azzuffano fra loro. Gli fa eco Love Chant, posta a chiusura dell’album, capolavoro al pari di Pithecanthropus Erectus per espressività ed originalità nel saper alternare svariate situazioni sonore che sapranno influenzare molte avanguardie jazzistiche nei decenni successivi.

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In mezzo, quasi a fare da cuscinetto, si trovano la rilettura del classico di Gershwin già accennato A Foggy Day (con sottotitolo in San Francisco) e la breve e più classica Profile Of Jackie; la prima prosegue il discorso sperimentale intrapreso nella title-track precedente, un piccolo affresco in musica che descrive l’ambiente urbano in prossimità della baia di San Francisco con gli strumenti che imitano il traffico, i clacson delle auto, il fischio dei vigili o le sirene delle barche, mentre la seconda è una ballata dominata principalmente dal sax di McLean. La cosa interessante da notare di questi due brani, di solito poco considerati perché oscurati dagli altri due, è la capacità di saper evocare delle immagini nella mente dell’ascoltatore, in maniera ben precisa nel caso di A Foggy Day e in modo meno esplicito e più legato allo stile classico jazz per Profile Of Jackie: una caratteristica esplicitata da Mingus stesso che a proposito di Profile Of Jackie dirà: «…a ballad froma a series of musical paintings I have done of various people», e non è un caso che il musicista americano si dedicherà anche alla pittura.
La capacità di “Pithecanthropus Erectus” di risultare ancora fresco e stimolante a distanza di sessant’anni lo colloca fra i classici del jazz e non solo, oggetto inclassificabile che gioca con i generi musicali e con tutta una tradizione che affonda le sue radici sin da quando gli schiavi di colore lavoravano nei campi dei bianchi. Il pitecantropo in evoluzione è sia Mingus che nei due decenni successivi partorirà dischi sempre più ambiziosi e particolari, sia il mondo del jazz che da quel momento non sarà più lo stesso, arrivando infatti a dare nuovi impulsi a generi ben lontani dai suoi confini.


Charles Mingus – Pithecanthropus Erectus (Atlantic, 1956)
Tracklist:
  1. Pithecanthropus Erectus
  2. A Foggy Day
  3. Profile Of Jackie
  4. Love Chant
Letture consigliate:
  • Charles Mingus, Peggio di un bastardo. L’autobiografia, Sur
  • John F. Goodman, Mingus secondo Mingus. Interviste sulla vita e sulla musica, Minimum Fax
  • Arrigo Polillo, Jazz, edizione aggiornata a cura di Franco Fayenz, Mondadori
 
Immagini tratte da:
  • benefitsofcoldcoffeemusicreview.files.wordpress.com
  • blujazzakron.com
  • newschool.edu
  • goway.it

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22/7/2016

BECAUSE THE NIGHT - A Firenze in scena 10 anni di rock'n'roll

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In occasione del "Musart Festival", l'Istituto degli Innocenti in Piazza Santissima Annunziata espone una mostra esclusiva di 50 fotografie che ritraggono memorabili concerti avvenuti nel capoluogo fiorentino tra il 1979 e il 1988.
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​di Enrico Esposito
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Era l'11 Settembre del 1979. Stadio Comunale di Firenze. 50.000 spettatori. Folle oceaniche all'apice degli "Anni di Piombo". E della carriera di Patricia Lee, meglio nota come "Patti". Patti Smith, "Poetessa e Sacerdotessa del Rock" che arriva in Italia per due sole date, Bologna e Firenze, due soli appuntamenti carichi di tensione e nervosismo durante i quali viene accolta come una divinità della musica, cosa successa mai prima d'ora per lei. Un impatto devastante al Franchi in una data storica davanti ad un esercito di fans in estasi che parteciparono al suo ultimo concerto prima del lungo periodo di ritiro dalle scene. Una "fuga" necessaria cantautrice per non lasciarsi travolgere dal successo e conservare un tratto fondamentale della sua figura: l'indipendenza.

​Il primo manifesto che si incontra all'entrata del Salone Borghini dell'Istituto degli Innocenti in Piazza Santissima Annunziata corrisponde proprio alla locandina scelta per pubblicizzare il celeberrimo Live della Smith, così come "Because the night", uno dei suoi più importanti brani, è il titolo con cui è stata presentata la suggestiva Mostra di fotografie che raccontano i più importanti concerti ospitati da Firenze dal 1979 al 1988. Dal "Banana Republic Tour" della coppia d'oro Lucio Dalla e Francesco De Gregori allo Stadio Comunale del 30 Giugno 1979 , si passa in un batter d'occhio allo spettacolo al Parco delle Cascine di pezzi da novanta che rispondono al nome di Peter Gabriel, Lou Reed nel 1980, per arrivare agli appuntamenti nel Palasport con Eric Clapton, Joe Cocker, Spandau Ballet tra il 1985 e l'anno successivo. Una rassegna ampia che si sviluppa non soltanto nei 50 scatti esposti, ma anche attraverso stampe, memorabilia e contributi multimediali riprodotti su uno schermo allestito in sala
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Realizzata da Prg e New Press Photo e a cura del regista Edoardo Zucchetti, "Because the Night - 40 anni di concerti" rappresenta la prima edizione di un appuntamento organizzato nell'ambito del ricco programma del Musart Festival, che a partire da lunedì 19 ha visto in Piazza Santissima Annunziata succedersi le esibizioni di Malika Ayane, Franco Battiato e Alice, Ludovico Einaudi. Il Festival continuerà questa sera con il concerto di Max Gazzè e si concluderà domani sulle note del Sunrise Concert di Remo Anzovino. Parallelamente anche la mostra, inaugurata il 6 Luglio scorso alla presenza di promoters, artisti e altre personalità che contribuirono ai fasti dell'epoca, si potrà visitare gratuitamente sino a Sabato 19 con ingresso dalle 17 alle 24.

Questa prima edizione dovrebbe costituire l'apertura di un ciclo quadriennale che ad ampio raggio metterà in atto una fusione significativa tra storici momenti della storia musicale fiorentina e l'incontro con alcuni tra gli artisti più in voga della scena attuale italiana. Senza d'altra parte non sottolineare il rilievo sociale e culturale dell'Istituto degli Innocenti, che sorto nella prima metà del '400 fu la prima Istituzione dedicata esclusivamente all'assistenza dei trovatelli, l'"Ospedale degli innocenti" che vantò dal punto di vista artistico prestigiose firme tra cui in primis quella del Brunelleschi.
Ritornando alla mostra la veste sotterranea ed essenziale del Salone Borghini consente di apprezzare in misura particolare il fascino espresso dalle fotografie esposte, che piazzate all'interno di semplici cornici nere sono collocate molto ravvicinate l'uno all'altro senza correre però il rischio di appesantire la vista dello spettatore. Efficace risulta infatti in tal senso la decisione di destinare ad ogni artista una sequenza di tre inquadrature della sua esibizione che di norma seguono una linea tracciata da sinistra verso destra. Il bianco e nero sortisce un effetto denso di memoria e spettacolarità altrimenti non valorizzato dal colore. Gli artisti sono colti in diverse espressioni del loro approccio al pubblico, dal raccoglimento ricamato ai fini di una ballata ai volteggi incrociati nel bel mezzo di un ballo, ad assoli energetici come quelli di Joe Strummer e dei suoi The Clash che il 23 Maggio 1981 infiammarono i 13.000 della Curva Ferrovia dello Stadio Comunale con una serata da urlo ancora oggi ricordata da chi ebbe la fortuna di aver partecipato. Si racconta infatti che la carica punk e sopra le righe della band britannica richiamò tra le strade della città uno stuolo impressionante di rockettari, fricchettoni e dark per l'ultima data del "Mission Impossible Tour". Una data indimenticabile che testimoniò la rinnovata esplosione di un'attività live in Italia da grandi firme, che consentì ai giovani e non di riavvicinarsi alla passione per la musica, la cultura e l'intrattenimento dopo la stagione devastante degli "Anni di Piombo". 
Attraverso alcune stampe poste al centro ed in fondo al Salone, la memoria fotografica restituisce lecito omaggio all'"altro lato del palcoscenico", per l'appunto al pubblico, a chi all'epoca fu presente ed invase Firenze d'estate come d'autunno per partecipare ad esempio alla vasta ondata Pop che tra il 1986 e il 1988 portò con sè Duran Duran, Madonna, David Bowie, Sting. Spesso le autorità cittadine alzarono il livello di controllo o addirittura presero misure preventive per bloccare sul nascere situazioni che probabilmente non si sarebbero verificate. Dal campo di gioco progettato ad arte da Pierluigi Nervi al Teatro Tenda, le Cascine e il Palasport ed infine Piazza Santa Croce riempita dallo show itinerante dei Jethro Tull il 4 Luglio del 1988, "Because the night" dà l'opportunità di vivere a dosi massiccie momenti straordinari anche a chi all'epoca non aveva emesso neppure i primi vagiti.

​Le foto esposte alla mostra sono le seguenti:

Dalla De Gregori – Stadio Comunale 30 - 6 - 1979
Patti Smith – Stadio Comunale 11 – 9 – 1979
Woodstoock in Europe – Parco delle Cascine 19 – 9 – 1979
Peter Gabriel – Parco delle Cascine 28 – 9 – 1980
Iggy Pop - Stadio Comunale 11 – 5 - 1980
Lou Reed – Parco delle Cascine 14 – 6 - 1980
The Clash – Stadio Comunale 23 – 5 - 1981
Depeche Mode – Teatro Tenda 26 – 11 - 1984
Eric Clapton – Palasport 5 – 11 - 1985
Joe Cocker – Palasport 26 – 3 - 1986
Spandau Ballet – Palasport 11 – 11 – 1986
Duran Duran – Stadio Comunale  7 – 6 - 1987
Madonna – Stadio Comunale 9 - 6 - 1987
David Bowie – Stadio Comunale 6 – 9 - 1987
Sting – Stadio Comunale 29 – 4 - 1988
James Brown – Palasport 31 – 10- 1988
Laurie Anderson – Teatro Tenda 11 – 11 - 1988
Bryan Ferry – Palasport 1 – 12 -1988
Jethro Tull – Piazza Santa Croce 4 – 7 – 1988

​Per approfondimenti:

​Sito ufficiale Istituto degli Innocenti  - www.istitutodegliinnocenti.it
​Sito ufficiale Musart - www.musartfestival.it

​Immagini tratte da foto dell'autore

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15/7/2016

La solitudine benedetta di Damien Rice

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di Enrico Esposito
Ci sono dei musicisti che inseguono il successo per tutta la vita, ma finiscono spesso per vederlo soltanto in televisione nelle mani di altri. Ci sono quelli, cui il destino riserva gli scherzi più beffardi, che arrivano ad essere osannati e riempiti di gloria dopo essere passati a miglior vita. Poi ci sono quelli che suonano per passione e se il successo non arriva, va bene uguale, nessun dramma o rimpianto (almeno apertamente). E alla fine ci passano davanti gli artisti che il successo lo raggiungono subito, e in seguito lo raddoppiano, lo decuplicano, subendo il classico tracollo psicologico che rischia di gettarli in una realtà che non gli appartiene, che a loro non piace per niente, finendo per trasformarli in altre persone, se non per distruggerli. Il figlio d'Irlanda Damien Rice, dublinese purosangue, custode di una delle voci maschili più dense partorite dal Terzo Millennio rappresenta l'esempio lampante della crisi e rinascita di un artista colto dalla fama e dai miliardi in ben due occasioni a distanza nel tempo, e riuscito a sollevarsi dopo un particolare percorso.
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Damien Rice
Si celano sotto i nomi rispettivamente di "Juniper" e "Polygram" la sbornia impressionante e l'ostacolo insormontabile in cui si imbatte l'appena venticinquenne Rice, che si ritrova assieme ad allegri coetanei rockettari come lui (i Juniper appunto) a vendere e tanto con la hit "Weatherman", ed essere perciò scritturati da una costola tedesca della Universal Studios. La Polygram, che senza troppi fronzoli sbatte in faccia a Damien e soci l'intenzione di tramutare la band in un giocattolo commerciale da Top of the Pops. I suoi "compari" ingolositi dalle parcelle Universal accettano e decidono di farsi chiamare in seguito Bell X1. Rice che proviene da un'adolescenza segnata dall'imposizione dei genitori e del credo cattolico, rifiuta categoricamente di asservire e inizia una delle sue catartiche esperienze solitarie per ritemprare l'animo e ripulirsi dallo schifo dello show-biz.
Ricerca un isolamento vero e puro, vestendo i panni dell'eremita per otto mesi tra la fine del 1998 e il 1999 in uno dei tanti casolari abbandonati tra le campagne di Pontassieve, alle porte di Firenze. Qui vive da contadino, fa a meno del telefono e della luce, recupera lo stato di uomo, quasi pensa di rimanerci per sempre. Ma per fortuna il richiamo della Musa lo riporta a comprendere che abbandonare totalmente i progetti artistici avrebbe costituito un affronto illogico alle sue capacità vocali e chitarristiche e soprattutto alla sua sete personale di rivalsa contro il buonismo esasperato in cui era stato allevato. Come un antico Cincinnato e un moderno Gladiatore, chiude allora la salutare parentesi agreste per affrontare un autentico Grand Tour tra le nazioni europee, arricchirsi di esperienze e idee, tornare a Dublino e rivolgersi in maniera vincente al produttore di Bjork, David Arnold, che si ritira ad ascoltare una sua demo. Timpani e padiglioni di Arnold ringraziano, magari piagnucolano, ma di certo apprezzano la voce armonica e ondulata del ragazzo, che viene protetto e assecondato nel realizzare con un'etichetta piccola e uno studio di registrazione una pietra preziosa recante il titolo di "O".
"The Blower's Daughter" è uno di quei brani che a 15 anni dalla loro nascita si riconoscono e pugnalano dalle prime note, cristallizzata nella sua aura di fascino costruito grazie al colpo di genio di una vecchia volpe come Mike Nichols di lasciarla risuonare tra le pieghe del suo film "Closer". "O" destinato primariamente solo per la Gran Bretagna e l'Irlanda si espande in rapidità oltremanica e oltreoceano, investendo il David Letterman Show, il Conan O' Brien, il Saturday Night Live di elevatissime performance dal vivo di un folk-rock suonato da egregi musicisti (il batterista Tom Osander, la violoncellista Vyvienne Long) e cantato in simbiosi tra Damien Rice e Lisa Hannigan, cantante irlandese incontrata tra le strade di Dublino ed esplosa nell'animo di Rice nelle doppie vesti di ispiratrice e compagna. Rice progetta di concentrare in "O" i brani composti nell'intenzione di raccontare più che l'Amore di per sè, sfumature (autobiografiche) dolorose e velenose come la gelosia, la mancanza di rispetto, la perdita di fiducia. Ma non ci riesce ed è costretto a tenere da parte delle canzoni, tra cui "The Blower's Daughter Part II", ribattezzata "Elephant" all'interno di "9", il secondo album uscito nel 2006 che il cantautore si trova obbligato a realizzare per sfruttare la scia del successo di "O" sotto le pressioni discografiche. 
Da questo in momento in poi, seppur il disco ottiene ancora una volta una risposta entusiastica di paganti e non attraverso tormentoni quali "9 Crimes" e la già citata "Elephant", l'equilibrio di Damien Rice cominciò a sobbalzare pesantemente per essere inghiottito tra due fuochi. Da un lato lo show-business e le fatiche dei tour, dall'altra i battibecchi nati all'interno della band tra il leader e i musicisti, ed in special modo con Lisa Hannigan che durante un concerto a Berlino nell'autunno del 2006 viene clamorosamente allontanata e licenziata. Rice si rende protagonista nei suoi confronti del'apice di un nuovo momento della crisi da successo già avvertita ai tempi dei Juniper, che di lì a poco lo porta a dare il benservito all'intero gruppo e comprendere di aver varcato una pericolosa soglia di riconoscimento di sè stesso. 
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Damien Rice e Lisa Hannigan
Una nuova tempesta dopo la quiete. O forse sarebbe corretto affermare il contrario. In un'intervista rivelatrice all'Indipendent irlandese, Damien nel Dicembre del 2014 racconta di essere stato lui il principale responsabile dell'implosione del suo progetto, dell'allontanamento di Lisa. Egli ha commesso l'errore di aver accumulato dentro di sè l'amarezza per una serie di cose che non funzionavano più, e di aver smarrito non soltanto il gusto di scrivere e suonare ma anche la forza di presentarsi agli altri nel suo reale stato di uomo. Dopo la prima "fuga" del 1998, questa volta lo sconvolgimento subito assume dimensioni molto più ampie e ferite maggiormente profonde. Dai palchi Rice sparisce integralmente, eccezion fatta per un'apparizione molto discutibile durante un'asta di beneficenza a Los Angeles, che con un portamento trasandato, barba e capelli lunghissimi all'interno di un ambiente Vip insolito per lui fotografa senza scrupoli il caos in cui è risucchiato.
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Sono stati necessari otto anni, durante i quali l'artista ha dovuto resettarsi con un trattamento laborioso e di gran lunga radicale rispetto al precedente per poter riprendere in mano le redini della sua attività e tentare di avviare una "Terza Rivoluzione", che con il suo terzo Lp "My favourite faded fantasy" dello scorso anno ha gettato incoraggianti basi. Il completo isolamento dell'Islanda e la stima di un eccellente produttore tale Rick Rubin hanno permesso a Damien Rice di recuperare prima di tutto la passione dell'esibizione dal vivo con la differenza sostanziale di focalizzare l'attenzione intorno alla sua voce e chitarra, segnando così uno stacco di carattere dalla collettività della band scelta in passato. E' pur vero che il falsetto iniziale che apre la title track omonima e con essa l'album manifesta un pensiero nostalgico a Lisa Hannigan in tinte ancora vivide. Ma la personalità tramite la quale Rice si avventura nella narrazione del suo primo vero disco da cantautore, i rischi che corre alternando parlato e cantato e sfornando composizioni giunte fino agli 8-9 minuti mettono in mostra il rinnovato senso di creatività e soprattutto combattività da parte di un uomo consapevole di essere nato al servizio delle Muse.
Immagini tratte da:

Immagine 1 da www.indie-rock.it
Immagine 2 da www.youtube.com

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15/7/2016

Mokadelic – Gomorra – La serie

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Cinque ragazzi romani, appassionati di cinema e musica, balzati agli onori della cronaca grazie alla serie televisiva italiana del momento, “Gomorra – La serie”: questi sono, almeno per ora, i Mokadelic, con il loro impasto sonoro fra post-rock ed elettronica.
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di Carlo Cantisani

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Spietati e sanguinari, ma con un peso drammatico sempre pronto ad opprimerli, donando così un certo fascino romantico a figure e personaggi che alla fin fine sanno di essere condannati a sopportare la loro stessa solitudine. Ecco allora che per i protagonisti di “Gomorra – La serie” la vita diviene una condanna, e non è un caso che il brano simbolo dell’opera diretta dai quattro registi Stefano Sollima, Francesca Comencini, Claudio Cupellini e Claudio Giovannesi (quest’ultimo subentrato dalla seconda stagione) si intitoli Doomed To Live. Secchi come i rintocchi di una campana, i suoi accordi di piano accompagnano lo sguardo di Ciro che assiste inerme al trasporto della salma di Attilio, l’uomo che l’ha protetto e che gli ha fatto da padre, morto durante uno scontro a fuoco con gli uomini di Salvatore Conte. Il ragazzo da quel momento in poi inizia ad essere sempre più cosciente della sua natura da criminale, da eterno fuorilegge e quindi da uomo diverso da tutti gli altri uomini: un cammino quasi iniziatico all’interno del mondo della mala dove si cerca di arrivare sempre più in alto, condannati appunto a vivere questo tipo di realtà, metafora individualista portata alle sue più estreme conseguenze. Questo brano della colonna sonora composta dai Mokadelic, quintetto nato a Pietralata, nella periferia nord est di Roma, ha saputo marchiare a fuoco sin da subito il tono dell’intera serie: non un semplice accompagnamento alle immagini ma una vera e propria sintesi in musica del mondo tragico, disperato e senza speranza dei personaggi. E nonostante la provenienza capitolina, il quintetto composto da Alessio Mecozzi alla chitarra e ai synth, Cristian Marras al basso, Alberto Broccatelli alla batteria e dai due chitarristi Maurizio Mazzenga e Luca Novelli, riesce a creare una musica che si sposa perfettamente all’ambiente metropolitano della malavita napoletana grazie al suo respiro ampio e dai toni a tratti ambient, dove anche una singola nota viene fatta risuonare più e più volte, accompagnata dal silenzio che non fa altro che accrescere la desolazione e la drammaticità delle immagini sullo schermo. Una scelta stilistica, questa, che costituisce il dna post-rock dei Mokadelic e che attraversa tutta la loro discografia sin dal primo ep “Moka EP” del 2001, dando i suoi frutti anche in molte occasioni fra documentari, cortometraggi, sonorizzazioni per il teatro e soprattutto colonne sonore per il cinema, a cominciare da “Come Dio comanda” di Gabriele Salvatores, passando per “Marpiccolo” di Alessandro di Robilant e approdando sotto l’ala protettiva di Sollima per “ACAB –All Cops Are Bastards” nel 2012. In poco più di una decina d’anni, il gruppo romano è riuscito ad emergere sempre più nel mare magnum dell’underground musicale nostrano, grazie proprio alla fiducia riposta da Salvatores, loro grande fan, e contando anche su collaborazioni come quella con Niccolò Fabi per il suo brano Parti di me e per le pubblicità della Volkswagen e Gucci.
Un curriculum di tutto rispetto e che oggi, a distanza di due anni dall’inizio del programma televisivo, trova nelle composizioni di “Gomorra – La serie” il suo riconoscimento per il grande pubblico.

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Da una parte Roma in “Suburra”, dall’altra Napoli e Scampia nella serie di “Gomorra”: minimo comun denominatore, Stefano Sollima. Due ambienti malavitosi legati dallo spargimento di sangue ma differenti per “attitudine”: la prima immersa negli alti ambienti politici e nei suoi giochi, la seconda nella disperazione delle strade e nell’eterno sogno di diventare qualcuno. Due modi di intendere la malavita molto diversi e che da un punto di vista narrativo richiedono quindi due commenti sonori differenti. Va da sé che, visto il tono delle vicende di “Gomorra”, i Mokadelic puntano tutto sul creare un suono che evochi sentimenti di disperazione e tragedia, ma anche di profonda malinconia accompagnata da un amaro senso di rivalsa. Ed è proprio questa capacità di saper evocare le sensazioni psicologiche dei personaggi che eleva la colonna sonora di “Gomorra – La serie” ad un livello qualitativo sopraffino. Partendo dalle intuizioni seminate già in “ACAB”, la band romana riprende quello stile ma aggiungendoci un maggiore tocco elettronico, ora distorcendolo, ora soffocandolo in suoni bassi, profondi e pieni di eco. Il senso d’impotenza di fronte a qualcosa di enorme e di tragico che vuole sfidarci e travolgerci è sottolineato da pulsazioni sotterranee che scuotono le melodie minimali dei synth e del piano: piccole melodie emotive ed evocative, sprazzi di luce in mezzo ad un suono per lo più scuro ed elettrico. I Mokadelic riescono nel difficile compito di sintetizzare un gran numero d’influenze in pezzi molto brevi che non superano i tre minuti di durata: Drug Crash riesce ad evocare nelle sue linee di basso un capolavoro come “Mezzanine” dei Massive Attack, oppure brani come Vacuum, Stoke The Baptism Of Fire e Ray Of Light seguono percorsi più post-rock alla Mogwai sino ad inoltrarsi in una selva elettrica e rarefatta dai toni drone e psichedelici. Da sottolineare anche la presenza come bonus track del pezzo Nuje vulimme ‘na speranza di Nto’ e con un featuring di Lucariello, unico pezzo rap e altro simbolo musicale della serie, che sottolinea, come accennato prima, il tono popolare e maggiormente disperato di “Gomorra” rispetto a “Suburra”. In ogni caso, nominare una traccia anziché un’altra non renderebbe pienamente conto dell’unità di fondo che riesce a legare ogni brano all’altro come piccoli quadretti facenti parte di un’unica mostra. La personalità della colonna sonora è tale che il lavoro riesce anche a vivere indipendentemente dalle immagini della serie televisiva, cosa non da poco considerando che stiamo parlando di un prodotto destinato alla televisione e quindi sottoposto ad un tipo di lavorazione completamente differente rispetto alla libertà che può godere un’opera cinematografica. In questo lavoro, il sodalizio fra immagini e sonorità elettroniche e “post” (qualunque sia il significato che si voglia dare al termine) viene ulteriormente riconfermato e riuscendo per di più a sbarcare anche in televisione, luogo dove fino a qualche tempo fa sarebbe stato abbastanza impensabile ritrovarle, prova di come certe sonorità siano ormai sdoganate. I Mokadelic ne sono degli ottimi portabandiera in Italia e il loro lavoro si va ad inserire fra le migliori colonne sonore italiane per gli sceneggiati televisivi, riuscendo a ricavarsi il suo posto in quella ricca tradizione che va avanti sin dagli anni ’60.
 
Mokadelic – Gomorra – La serie (Gdm Music, 2014)
  1. Dust Ring
  2. Right To The Edge
  3. Doome To Live
  4. Stoke The Baptism Of Fire
  5. Nothing To Be Gained
  6. Kickback
  7. Drug Crash
  8. Black Patrol
  9. Vacuum
  10. Easy Father
  11. We Will Vot
  12. Showdown
  13. Newlywed
  14. Ray Of Hope
  15. Wild And Savage
  16. Tragic Vodka
  17. Nuje vulimme ‘na speranza (Nto’ feat. Lucariello)


 Immagini tratte da:
- goodfellas.it
- espresso.repubblica.it

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8/7/2016

Lucca Summer Festival 2016

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Con la prorompente doppietta Van Morrison - Tom Jones si alza il sipario domani sera su uno dei Festival musicali più importanti d'Italia.
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di Enrico Esposito
L'esordio assoluto ci fu in Piazza Napoleone il 6 luglio del 1998. Diciotto anni fa. E non fu proprio un pivello, ma Sua Maestà Bob Dylan ad inaugurare la prima edizione del Lucca Summer Festival, che in cartellone presentò il 13 George Benson e i Latin Crossing per chiudere il 27 con un altro pezzo da novanta, ossia Joe Cocker. Bob Dylan insieme a Neil Young, Mark Knopfler, Simply Red, uno degli habituè di una kermesse ampliatasi nel corso dei suoi diciotto anni fino ad offrire due settimane di esibizioni diverse, in passato trasportate anche allo Stadio cittadino di "Porta Elisa" o al "Dei Pini" di Viareggio. Un Festival non semplice da organizzare tanto dal punto di vista logistico che commerciale, colpito puntualmente da polemiche tra organizzatori e burocrati, proteste da parte degli spettatori e artisti per una certa morbidezza di decibel, e altre questioni che risuonano da mesi. Ma al di la di ciò, il Lucca Summer Festival offrirà secondo la sua solida tradizione una scelta musicale di qualità importante ed esclusiva, accompagnata da una risposta altrettanto significativa da parte del pubblico.

Anticipato dalla performance del 2 Giugno al Teatro del "Giglio" da parte di Graham Nash, storico rocker statunitense del quartetto Crosby, Stills, Nash & Young che ha presentato per l'occasione "This path tonight"  l'album solista pubblicato dopo quattordici anni di silenzio, il Festival giunto alla dicannovesima edizione prenderà le mosse domani sera attraverso una serie di "double bills", che consentiranno di assistere con un solo biglietto durante la stessa serata alle performances di due artisti internazionali di alto livello. Come ad esempio i due "baronetti" Van Morrison e Tom Jones, che Sabato 9 Luglio per l'appunto calcheranno uno dopo l'altro il palco di Piazza Napoleone regalando alla platea un mix di cantautorato, rock e blues d'autore.

Sir George Ivan "Van" Morrison, nordirlandese di Belfast classe 1945, che scappò a 15 anni di casa per intraprendere la carriera musicale, ha attraversato con il suo genere intriso di rock, folk e blues tanti successi nella sua carriera e collaborazioni esaltanti, da Tom Jones per l'appunto ai Chieftains, Ray Charles e John Lee Hooker, e ottenuto riconoscimenti al di fuori del puro ambito musicale (6 Grammies)  tra cui spicca il titolo di Sir della Gran Bretagna. Onoreficenza condivisa con il settantacinquenne Tom Jones, eclettico cantante gallese che ha compiuto 50 anni del suo viaggio sonoro a 360 gradi tra il blues e il pop di "Sex Bomb" alle vesti di "crooner" e all'approvazione elevata  dei tre più recenti album, "Long Lost Suitcasa" ,"Spirit in the Room" e "Praise & Blame".
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La seconda serata del Festival prevista per Lunedì 11 Giugno vedrà un altro "double show" con protagonisti Marcus Miller e Beth Hart, due artisti uniti dalla poliedricità dei loro generi oltrechè dalla nazionalità Usa. Conosciuto sotto l'etichetta di "The Superman of Soul" Marcus Miller è un produttore, polistrumentista e soprattutto eccellente cultore del basso, strumento mediante il quale ha plasmato un funk - jazz di grande impatto e realizzato album storici come "Tutu", omaggio al suo mentore Miles Davis. Spostandoci da New York a Los Angeles, Beth Hart unisce la delicatezza dei testi, del blues e del gospel con la grinta della sua voce e dell'animo rock che l'hanno condotta ad ottenere la fama dopo una lunga gavetta con il brano "LA song" del 1999 e le successive collaborazioni con il chitarrista Joe Bonamassa.

Su un filone diverso, rappresentato dall'effervescenza del soul e della disco-music si svilupperà invece il double bill di Martedì 12, quando Lionel Richie e di seguito gli Earth, Wind & Fire scalderanno il pubblico al ritmo di alcune delle hit più ballate degli anni '80. Intrapresa la sua carriera come sassofonista all'interno della band dei Commodores, il cantante e attore statunitense Lionel Richie ha successivamente vissuto una fortunatissima parabola solista, sulla scia di 100 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, il Premio Oscar del 1986 con "Say you, Say me" per la colonna sonora del film "Il sole a mezzanotte" e l'improvvisa svolta country dell'amum "Tuskegee" del 2012. Verdine White, Philip Bailey e Ralph Johnson dal 1969 costituiscono la spina dorsale degli Earth, Wind & Fire, leggendario collettivo groove che nel Febbraio di quest'anno ha subito la grave perdita di Maurice White, mente e fondatore della band. Gli EW&F hanno caratterizzato la scena disco-music degli anni 70-80 sfornando hits rimaste intramontabili quali "September", "Let's groove", "Boogie wonderland" e numerose altre.

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Giovedì 13 Luglio sarà teatro invece di un'insolita "accoppiata" che ha suscitato sin dall'annuncio ufficiale alla stampa una forte curiosità. Stiamo parlando di Vinicio Capossela, il primo della più nutrita schiera di artisti nostrani nella storia del Summer ad esibirsi,  e della performer americana Esperanza Spalding. Reduce dall'uscita del 6 Maggio scorso del suo ultimo doppio album "Canzoni della Cupa" suddiviso nei lati "Polvere" ed "Ombra", il celebre cantautore e poeta irpino calcherà per la prima volta il palco lucchese portando in scena uno spettacolo "radicale" all'insegna delle atmosfere folkloriche ed ancestrali espresse dai canti della "Polvere", nel recupero di una tradizione ascrivibile a culti lontanissimi. Avvolta da una folta chioma afro, Esperanza Spalding vanta un' eccellente formazione da violinista e contrabbassista ed un affinamento seguente nel jazz, che l'ha vista emergere oggigiorno come una delle più affermate rappresentanti del genere. Al Lucca Summer Festival a supporto del suo recente lavoro "Emily's Ed + Evolution", la poliedrica artista regalerà ai fans uno show sperimentale in cui alla musica saranno intrecciate l'arte visuale, la scenografia ed altro ancora.
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Neil Young sulla carta d'identità mostra 70 anni ma dal vivo gliene daresti quasi 50 in meno. Alternando un set acustico ed uno elettrico a capo della band dei Promise of the Real (band del figlio di Willie Nelson), il formibadile rocker canadese infiammerà la serata di Sabato 16 Luglio tra le note dei suoi classici dai '60 ai '90 e la vitalità peculiare del nuovissimo album "Earth", un live che mescola in forma innovativa l'energia del rock con i suoni prodotti dalla natura ed i suoi abitanti.
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Per accontentare gli appassionati di differente gusto ed età, Venerdì 17 Luglio si svolgerà "Volevi il Rap" uno show dedicato completamente alla musica hip - hop italiana con alcuni tra i suoi esponenti migliori sulla penisola: Fabri Fibra, Gue Pequeno, Marracash e Clementino.

Una serata a base di soul e pop caratterizzerà invece l'ultimo "double-bill" della rassegna in programma Mercoledì 20 Luglio in compagnia dei Simply Red e di Anastacia. La band britannica capitanata da Mick Hucknall sulla cresta dell'onda dagli anni '80 grazie al loro frizzante mix di R'n'B, soul e pop torna sul palco del Summer presentando i suoi più grandi tomentoni da "Stars", "Something got me started" a "Sunrise" e l'ultimo album "Big Love" targato 2015. Dotata di una voce "nera" intensa e potente, la popstar americana Anastacia ha conquistato pubblico e critica nei primi Anni Duemila rapidamente imponendosi come una delle maggiori interpreti femminili del Presente. Timbro inconfondibile e una forza d'animo esemplare che le ha permesso di sconfiggere due cancri al seno diagnosticati a distanza di cinque anni l'uno dall'altro, e poter tornare dal 2013 a riprendere i progetti musicali.

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Dopo "la grande abbuffata" di musica straniera che contraddistinguerà la Prima Parte del Festival, la settimana dal 21 al 27 Luglio si concentrerà d'altra parte sulla produzione italiana dentro e fuori dalla musica.

Giovedì 21 Luglio saranno i Negramaro di Giuliano Sangiorgi a solcare il palco di Piazza Napoleone nell'ambito del loro "La rivoluzione sta arrivando Tour 2016" che ha fatto registrare il sold-out con 150.000 presenze in sole 22 date. Il giorno seguente, Venerdì 22 Luglio andrà in scena l'oramai consueto appuntamento con il cabaret, che quest'anno avrà Beppe Grillo come protagonista nello spettacolo "GRILLO VS GRILLO. Se l’è presa con tutti, manca solo LUI!” , all'interno del quale si confronteranno e scontreranno il Grillo comico ed il Grillo politico in un accesso faccia a faccia all'insegna dell'auto-ironia e della verve.

Nella serata di Sabato 23 Luglio la meravigliosa voce di Marco Mengoni incanterà il Festival con il suo "MengoniLive2016" e le canzoni del Lp "Le cose che non ho" pubblicato nel Dicembre dello scorso anno. Chiuderanno la kermesse tre incontri ad ingresso gratuito. Domenica 24 Luglio si terrà lo spettacolo dedicato a storie di vittime della criminalità organizzata e di riscatto sociale intitolato "Dieci storie proprio così", mentre Martedì 26 spazio ai giovani emergenti della scena locale con il consueto appuntamento dei "Talenti lucchesi". E per finire sarà un cantautore instancabile come Edoardo Bennato a salutare l'edizione 2016 con l'esclusivo Live di Mercoledì 27 Luglio.

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Immagini tratte da :

www.summer-festival.com

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8/7/2016

Gospel night in San Paolo a Ripa d’Arno

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Il concerto dei Voices of Heaven per sostenere la chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno.
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​di Eva Dei
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Basta poco per riunire una comunità, per farla partecipe di iniziative importanti per la salvaguardia della propria città. Ne è un esempio l’evento che si è svolto martedì 28 giugno a Pisa, proprio davanti alla chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno. Davanti alla grande chiesa avvolta dalle impalcature si è riunito un folto pubblico composto da persone di tutte le età per un evento in cui l’arte sostiene l’arte. Vista l’ingente somma necessaria per ristrutturare e assicurare la stabilità della chiesa, l’associazione Voices of Heaven Gospel Choir ha organizzato un suggestivo concerto di musica gospel e spiritual.
L’evento è stato patrocinato ovviamente dal comune di Pisa e anche da molti altri enti che si sono impegnati nella raccolta fondi necessaria per la ristrutturazione.

I Voices of Heaven non sono solo un coro  ma soprattutto un’associazione no profit che si occupa di beneficienza. Ideatori e organizzatori del Pisa Gospel Festival, attivi partecipanti degli spettacoli del Lucca Comics, tra i primi in Italia a realizzare un concerto Gospel di musica segnata in favore dell’Ente Nazionale Sordi, sono partiti come un coro di giovani universitari uniti dalla passione per la musica Gospel e Spiritual, per poi diventare associazione nel 2007.
Abbiamo avuto la possibilità di fare qualche domanda a Sandro Macelloni, direttore del coro a cui è affidata la direzione artistica.

Eva Dei: Come nasce l’idea di questa serata?
Sandro Macelloni: Essendo un’associazione che si occupa di beneficienza quando scopriamo che c’è qualcosa che andrebbe aiutato o sostenuto il primo pensiero è sempre quello di organizzarci un concerto. In questo caso il problema più grande era dato dall’inagibilità della chiesa di S. Paolo a Ripa d’Arno. Per questo avevamo solo abbozzato l’idea, che si è poi concretizzata quest’anno quando Don Francesco, parroco della Chiesa di S. Sisto (dove avevamo fatto un concerto a febbraio) ci ha proposto di partecipare a questo evento. Ovviamente abbiamo accettato felicissimi di partecipare.
E. D: Partecipando al concerto ho avuto modo di apprezzare molto le introduzioni che fai a ogni brano; credo che sia interessante per chi non è “del settore” avere un approfondimento sul significato di questo tipo di musica, il suo inquadramento non solo a livello artistico, ma anche storico e sociale. Come mai avete scelto questo approccio?
S. M: La scelta non è casuale e diciamo che è quasi uno standard di ogni concerto che facciamo. Avendo fatto tanta storia e analisi della musica durante il mio percorso di studi, credo che sia importante fare questi interventi per dare i mezzi al pubblico per capire ciò che sta ascoltando. In questo modo è anche più facile tenere viva l’attenzione e far divertire chi ci ascolta. Questa è una delle motivazioni. L’altra è che forse questa musica, più di ogni altra merita una contestualizzazione storica. Da un’azione di distruzione totale, riduzione in schiavitù, tortura, morte è nata la libertà che viviamo tutt’oggi nella musica. La popolarizzazione della musica affonda le radici proprio in quel momento storico.

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​E. D: Dedicandovi interamente alla beneficienza, quanto siete legati al territorio?
S. M: In realtà abbiamo fatto vari eventi, non solo a Pisa, ma anche a Lucca, Massa, a Firenze dove abbiamo partecipato ad un evento per una missione umanitaria in Africa. Ci siamo spinti anche in Umbria e a Milano. Ovviamente però, essendo una realtà locale abbiamo un occhio di riguardo per il territorio. Per esempio i fondi raccolti durante il Pisa Gospel Festival, di cui siamo gli ideatori e che ormai è giunto alla sua settima edizione, sono rivolti solo a realtà locali.
E.D: Prossimi concerti?
S. M: Abbiamo in forse un concerto il 7 settembre a Cascina. Questo però non è un concerto di beneficenza, è per una festa di paese. In questo caso quindi ci facciamo pagare, ma tutto viene poi rinvestito in beneficienza. Ci tengo molto a questo aspetto.
 
Non mi resta che invitarvi a sostenere la raccolta fondi per la chiesa di S. Paolo a Ripa d’Arno e a tenere d’occhio i prossimi eventi dei Voices of Heaven Gospel Choir!
Link per approfondire:
http://www.sanpaoloripadarnopisa.it/
http://www.voicesofheaven.it/it_IT/
https://www.facebook.com/voicesofheaven.gospel.choir/?fref=ts
 
Foto tratte da: foto d’autore

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