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21/7/2017

BOKANTE’, il nuovo progetto di Michael League

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di Alice Marrani
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Dopo due Grammy Award, un grande successo che ha raggiunto tutto il mondo e i concerti dell’ultimo tour degli Snarky Puppy, Michael League torna in Italia con un nuovo progetto. Preceduto dal singolo Jou Kè Ouvè, uscito a gennaio 2017, e dall’album di debutto Strange Circles, pubblicato in tutto il mondo a giugno dall’etichetta dello stesso League, GroundUp, Bokantè unisce la musica del Delta del Mississippi, quella del deserto africano e i Led Zeppelin. Il nome stesso del progetto significa “scambio” in creolo ed è proprio questa la filosofia dal quale nasce questo nuovo gruppo formato da otto musicisti provenienti da quattro diversi continenti. Insieme allo stesso Michael League, che per l’occasione lascia il suo basso a favore della chitarra baritono, anche altri due Snarky Puppy, Chris McQueen e Bob Lanzetti, il grande percussionista Jamey Haddad (Paul Simon, Sting), il virtuoso della pedal steel guitar Roosevelt Collier (Lee Boys, Karl Denson), il percussionista André Ferrari (Väsen) e Keita Ogawa (Banda Magda, Yo-Yo Ma) e la giovane cantante Malika Tirolien, cresciuta nell’isola caribica di Guadalupa e che ora vive a Montreal. La maggior parte delle musiche sono state elaborate da League mentre era in tour con altre band e inviate alla Tirolien per la scrittura del testo.

Lo spirito della musica che nasce da uno scambio e che possiede un sapore universale non è nuovo al leader degli Snarky Puppy, gruppo composto all’inizio da circa quaranta musicisti e che negli anni si è trasformato creando una specie di nucleo permanente che ha ospitato decine di altri artisti, in un crescente clima di integrazione artistica proveniente da diversi suoni, diverse tradizioni ed etnie. In questo nuovo progetto c’è però qualcosa di più. Il senso di condivisione, inclusione e scambio fra diverse culture è alla base di Bokanté che acquista così anche una sfumatura politicamente attiva in una tematica attuale e necessaria che soprattutto la musica può affrontare e comunicare.
Molti dei musicisti coinvolti non si erano mai incontrati fino al primo giorno della registrazione negli studi di New York e, prima della fine di una settimana, hanno creato una band incredibilmente coesa. Lo stesso Michael League ha dichiarato che l’unità è stata fondamentale per la creazione del gruppo, nonostante sia multilingue, multiculturale e multigenerazionale. Il legame fra musicisti si unisce a quello come persone e proprio attraverso l’unione fra le diverse culture, i diversi accenti e le diverse provenienze si crea un suono nuovo, originale e suggestivo, in grado di immedesimarsi in ascoltatori di tutto il mondo.

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Sono sei le date italiane presenti nel tour europeo del gruppo che è partito ieri da Milano e farà tappa in Toscana, a Empoli, il 25 luglio per Empoli Jazz.

Per info:

http://www.eventimusicpool.it/

https://www.facebook.com/EmpoliJAZZFEstival/
https://www.facebook.com/bokantemusic/

Foto: http://www.eventimusicpool.it/




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21/7/2017

Il ritorno degli Assassini

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di Enrico Esposito
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Ritornano i "The Killers". Brandon Flowers e la sua combriccola hanno pubblicato sul loro profilo Vevo di Youtube il 28 giugno scorso "The Man", il singolo che anticipa l'uscita del loro nuovo album. "Wonderful, wonderful" è il titolo prescelto per il disco che sarà disponibile dal 22 settembre. A cinque anni di distanza da "Battle Born", la band di Las Vegas torna sulle scene con un lavoro che si prospetta più rumoroso e vario del precedente, arricchito da collaborazioni importanti da parte di autentici maestri della musica. Il brano "Some kind of love" è stato infatti sviluppato a partire da una base strumentale elaborata da Sua Maestà Brian Eno, al quale era stato offerto invano anche il ruolo di produttore del disco (incarico poi affidato a Flood & Alan Moulder, già autori dei fasti di "Sam's Town"). La traccia "Have All the Songs Been Written?" si avvale invece della partecipazione straordinaria della Stratocaster di Mark Knopfler, che ha messo anche lo zampino nella composizione di "Wonderful, Wonderful", title-track dell'album. Il testo di "Run for Cover" è d'altronde frutto dell'ispirazione del musicista australiano Alan Cameron.

"Wonderful Wonderful" è il quinto album in studio di una band che si desta nel 2001 tra i pensieri di un cantante, Brandon Flowers, proveniente dal synth-pop, dopo aver assistito a un concerto degli Oasis a Las Vegas. Brandon sente il desiderio di esplorare il rock, e risponde all'annuncio di un chitarrista dell'Iowa, tale Dave Keuning, che condivide la sua stessa intenzione. Con il bassista Dell Starr e il batterista Matt Noezoss nascono ufficialmente i "The Killers" e le loro prime hit, tra cui "Mr Brightside". Poco tempo dopo, Dell lascia il posto a Mark Stoermer, mentre Ronnie Vannucci sostituisce Noezoss, gettando le basi per la formazione definitiva e ancora oggi attuale di una band che ha già compiuto i quindici anni di carriera. Con "Somebody Told Me", tratta dal disco di debutto del 2004 "Hot Fuss", Flowers e soci si imponevano sulle scene con un rock elettronico da drive-in senza rivali. Da allora la band ha cominciato a definire sempre meglio un proprio "marchio" musicale, che ha trovato in "Sam's Town" del 2006 la consacrazione a un rock alternativo dalle anime diverse (elettronica, cowboy, sinfonica). "Day & Age" del 2008 ha continuato il filone, mentre "Battle Born" del 2012 metteva in mostra ritmi maggiormente contenuti.
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Per quanto riguarda il giudizio su "Wonderful, Wonderful" bisognerà aspettare i primi bagliori dell'autunno, così come d'attese dovrà ancora vivere il pubblico italiano, dal momento che non sono ancora state annunciate date nel Belpaese. Il 7 luglio scorso hanno gioito i fan inglesi alla presentazione di una tournee di dodici date che dal 6 al 28 novembre si dipanerà da Birmingham alla O2 Arena di Londra, passando per Dublino, Manchester, Glasgow. Siamo solo alle prime battute, manca ancora tantissima carne al fuoco e sono molto nutrite le speranze di una o più tappe sul suolo italiano.


Immagini tratte da:

Immagine 1 da rollingstone.com
Immagine 2 da thekillersmusic.com


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7/7/2017

Musicalbox: Roger Waters – Is This The Life We Really Want?

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di Carlo Cantisani
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Tutto ha inizio con una domanda, semplice e precisa, per il quarto album da solista di uno dei bassisti più famosi della storia della musica nonché eminenza grigia del rock, a volte in disparte ed altre prepotentemente sotto i riflettori per via dei suoi faraonici tour o per le frecciatine (non tanto velate) verso ex colleghi di una vita. Nonostante siano trascorsi ben venticinque anni dalla sua ultima fatica in studio, Roger Waters non smette ancora oggi, a settantatre anni suonati, di domandarsi e domandare, interrogarsi e interrogare, capirsi e capire. Is This The Life We Really Want? è sin dal titolo un disco intimamente watersiano: provocatorio, inquieto, diretto anche a costo di risultare scontroso e indisponente, quasi burbero in certi casi. Ma più di ogni altra cosa, è indubbiamente un album politico nel senso più ampio del termine, in quanto trae linfa vitale dalla storia recente e da tutta una serie di problematiche sociali e geopolitiche che stanno segnando il nuovo secolo, all’interno delle quali “l’uomo watersiano” cerca affannosamente di trovare un senso e un modo per placare il proprio intimo dolore. Naturalmente gli U.S.A. di Trump trovano una posizione fondamentale all’interno della galassia ideologica di Waters, come ha dimostrato in maniera molto esplicita il suo recente tour Us+Them, elevandoli a simbolo deviato del potere. Al di là di queste considerazioni, si può notare come il neo presidente americano non sia completamente il punto d’arrivo del discorso portato avanti lungo le dodici tracce dell’album, ma piuttosto uno spunto, un pretesto ed anche un passaggio necessario attraverso il quale Waters analizza il presente per mettere in discussione anche il passato ed interrogare il futuro in un’ottica più universale. Nelle parole del musicista, la sua opera vorrebbe essere “un viaggio che parla della natura trascendentale dell’amore. Di come l’amore ci può aiutare a passare dalle nostre attuali difficoltà a un mondo in cui tutti possiamo vivere un po’ meglio”. Sarà l’esperienza o l’età, o magari entrambe, ma Waters sembra aver concesso un’apertura che possa lasciar intravedere un minimo di serenità per l’uomo, una pace probabilmente momentanea ma pur sempre raggiungibile e quanto mai oggi necessaria: i foschi presagi di The Wall, le grottesche raffigurazioni di Animals e i fantasmi di The Final Cut vengono adesso tenuti a bada. Eppure, essi non sono mai completamente messi da parte, esorcizzati o, peggio ancora, dimenticati. Anzi, Is This The Life We Really Want? si ciba delle stesse inquietudini, delle stesse delusioni e della stessa amarezza che Waters ha narrato lungo la discografia dei Pink Floyd e nel suo nuovo album non fa nulla per nasconderlo: il tono e la cifra stilistica sono sempre quelli e sembrano non essere stata scalfiti dal tempo. È scontato quindi stare a sottolineare come lungo le dodici tracce i rimandi al glorioso passato dei vecchi album della sua ex band madre si sprechino, e molto probabilmente non poteva essere altrimenti: quella voce, quelle ritmiche, quelle melodie, quei suoni e quelle voci che fanno da sottofondo o da raccordo fra un brano e l’altro, entrate ormai nell’immaginario collettivo e nel patrimonio musicale, stanno tutte lì, pronte per essere “abusate” dall’ascoltatore che, da questo punto di vista, non troverà assolutamente nulla di nuovo. Una tavola perfettamente apparecchiata dove ogni cosa è lì dove dovrebbe essere, che non riserva particolari sorprese ma, semmai, certezze. Il problema però è che, a differenza degli altri album passati del bassista inglese, quest’ultimo rischia di offrire un menù alquanto deludente, con portate insipide e che non soddisfano completamente l’appetito. Questo è imputabile proprio al taglio che Waters ha voluto dare al disco, dando estremo risalto alle parole e ai testi che risultano essere il mezzo principale attraverso cui viene veicolato l’intero mondo messo in piedi dalle canzoni. Attraverso la parola, infatti, vengono descritte scene e immagini che restituiscono la natura cinematica della musica watersiana e la sua vena polemica contro tutto ciò che non va oggi nel mondo: saltando qua e là lungo la tracklist ci si può imbattere ad esempio nell’ambientazione di una guerra appena terminata in The Last Refugee, nelle incarnazioni del punto di vista di Waters in Dio e in un drone, entrambi personaggi in Déjà Vu, nell’ultima danza fra un uomo e una donna morta durante un’esplosione in The Most Beautiful Girl, nelle invettive contro il passato di Broken Bones e nelle critiche alla società contemporanea e alle accuse contro un certo tipo di politica in Picture That e, soprattutto, nella title track, il cuore rabbioso e polemico del disco. Si può tranquillamente affermare che se non si leggessero i testi si faticherebbe a entrare nel mondo del disco poiché la musica viene quasi del tutto depotenziata. Essa risulta infatti relegata ad un ruolo secondario, di contorno e pressoché ornamentale e quasi a nulla valgono l’ottima, asciutta e compatta produzione di Nigel Godrich, alcuni arrangiamenti d’archi o un brano come Bird in a Gale, dove la voce diviene finalmente strumento fra strumenti e la musica ritrova in parte una via per manifestarsi in tutta la sua ricchezza e varietà d’atmosfera. Rispetto a dischi come ad esempio The Final Cut (ancora oggi molto sottovalutato), parole e musica sembrano viaggiare su binari separati: il risultato, come si è detto, non va a beneficio della seconda ma, paradossalmente, rischia di intaccare anche le prime, facendo a tratti assumere all’intero discorso messo in piedi da Waters connotati meramente retorici e poco incisivi. Dove arriva la musica non arriva la parola, e viceversa: Is This The Life We Really Want? poteva assumere la forma di una raccolta di poesie ma Roger Waters, pur essendo ancora oggi dotato della rabbia di un tempo e di una profonda sensibilità, è un musicista e questa volta ha lasciato la sensazione di un’occasione alquanto sprecata.

Roger Waters – Is This The Life We Really Want? (Columbia, 2017)
  1. When We Were Young
  2. Déjà Vu
  3. The Last Refugee
  4. Picture That
  5. Broken Bones
  6. Is This the Life We Really Want?
  7. Bird in a Gale
  8. The Most Beautiful Girl
  9. Smell The Roses
  10. Wait for Her
  11. Oceans Apart
  12. Part of Me Died


Immagini tratte da:
ttp://www.rollingstone.it

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