È uscito a febbraio di quest’anno Graziosa utopia (Woodworm Label/distr. Audioglobe), nuovo album di Edda. Il quarto dal 2009, anno del suo ritorno alla musica dopo uno stop di dodici anni di crisi personale e di lotta contro la dipendenza dalla droga che gli aveva fatto interrompere il percorso cominciato come frontman dei Ritmo Tribale, fra gli anni ‘80 e la metà degli anni ‘90. Un disco che lo ripropone come cantautore dalla personalità unica nel panorama musicale italiano. Prodotto da Luca Bossi e Fabio Capalbo, vede la partecipazione di Federico Dragona dei Ministri e Giovanni Truppi ed è il punto di arrivo di un percorso da solista con il quale si è conquistato un premio PIMI come artista dell’anno del 2012, più di una candidatura al premio Tenco, il consenso della critica e di colleghi fra i quali Capossela e Manuel Agnelli.
Il ritorno musicale di Edda dopo una lunga pausa e i sei album con Ritmo Tribale, è carico di tutto ciò che ha vissuto nei dodici anni prima del 2009. Così Semper biot, primo disco solista, prodotto da Taketo Gohara e pubblicato da Niegazowana, è un intimo diario scarno e doloroso, osannato dalla critica come uno dei dischi più puri degli ultimi anni. Precede In orbita, un EP live registrato a Radio Capodistria durante un suo concerto e uscito nel 2010. Nel 2012 gli arrangiamenti si arricchiscono in Odio i vivi, sempre dalla produzione di Taketo Gohara ma non cambia il favore della critica che invece prosegue fino a Stavolta come mi ammazzerai? uscito nel 2014 con la produzione di Fabio Capalbo, dove i suoni diventano rock e il pubblico dei concerti aumenta.
Graziosa utopia ha una nuova personalità che si diffonde nei dieci brani del disco, scritti da Edda e arrangiati con una grande cura da Luca Bossi e Fabio Capalbo. L’impronta pop rock si unisce alla musica leggera italiana, presente già nel brano di apertura, Spaziale, nel quale riecheggia nella particolare voce di Edda una Mina anni ‘70. Il nuovo album si veste di una nuova leggerezza, di una positività che non trascura la caratteristica sensibilità e aspra sincerità, al contrario si fonde con matura consapevolezza alla paura, alle varie accezioni e sfumature dell’amore, alla voglia di stare bene “tanto nessuno è normale, fattela passare”. Concetti di ambivalente significato sviscerati in tutto il disco e presenti anche nei singoli che lo hanno preceduto, il rock Benedicimi e Signora. Il bisogno di trovare una pace interiore che porti alla consapevolezza e alla felicità attraverso il cambiamento di se stessi e l’accettazione si risolve in un racconto al femminile che si svolge intrecciando amore e cinismo, provocazione, disperazione e spiritualità.
Reduce da un lungo tour iniziato a marzo e proseguito per tutta l’estate, Edda è ora nel bel mezzo di quello invernale e sarà stasera sul palco del Deposito Pontecorvo di Pisa.
Per approfondire: Deposito Pontecorvo: http://www.depositopontecorvo.it/eventi/ Edda: https://www.facebook.com/stefanoeddarampoldi/ Foto tratte da: Foto gentilmente fornite da Locusta
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Si chiama "Doomed" il singolo che segna il ritorno ufficiale sulle scene musicali di tutto il mondo degli "A Perfect Circle", la rock band statunitense nata nel 1996 dall'incontro tra il cantante dei Tool Maynard James Keenan e il chitarrista Billy Howerdel, che in passato ha lavorato come tecnico del suono per diversi gruppi, dai Nine Inch Nails, The Smashing Pumpkins, Fishbone e Tool stessi. Si sono affidati a Youtube per tornare a pubblicare materiale inedito a tredici anni dall'uscita del loro terzo album, "eMOTIVe", dopo il quale è seguita una lunghissima pausa in cui i Circle si sono effettivamente sciolti salvo poi ricostituirsi quest'anno. Il 2017 ha portato con sè un nuovo contratto con la BMG Right Management (in precedenza avevano prodotto con Virgin), la conferma di una formazione rinnovata con Jeff Friel al posto di Josh Freese alla batteria e Matt McJunkins al basso insieme a Keenan, Howerdel e James Iha alla chitarra ritmica e alle tastiere, e soprattutto un nuovo tour in giro per gli States che ha regalato altri due inediti assoluti, "Hourglass" e "Feathers". Con queste premesse e l'uscita di "Doomed", si fa sempre più snervante da parte dei fans l'attesa per un quarto Lp, che dovrebbe veder la luce per l'anno prossimo. Un disco totalmente di inediti come "Mer De Noms" (2010) e "Thirteenth Step" (2013), un ritorno dunque alle ispirazioni delle origini, che avevano ritagliato un posto importante nel panorama del rock alternative. Keenan aveva infatti condotto un peso specifico rilevante con la sua esperienza Tool, che inevitabilmente si ritrova anche nel progetto "A Perfect Circle", caratterizzato però da una dimensione ritmica più feroce. In tale direzione "Doomed" sembra aggiungere una dimensione ulteriore al sound dei Circle. Il brano segna scenari post-apocalittici che lasciano ben sperare per il grande ritorno. Immagini tratte da www.aperfectcircle.com
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Aver ascoltato una canzone come You Not Me deve essere stato un trauma non indifferente per buona parte dei fan dei Dream Theater. Il gruppo newyorchese, infatti, aveva pubblicato il pezzo come uno dei due singoli (l’altro era stato Hollow Years) per promuovere l’uscita nel settembre del 1997 del loro quarto album in studio, Falling Into Infinity. Ascoltando quel pezzo ci si poteva quasi chiedere che fine avessero fatto i Dream Theater del precedente Awake, disco che aveva portato alla ribalta internazionale la loro musica grazie al mix perfettamente bilanciato di progressive metal, melodie orecchiabili e curati arrangiamenti strumentali che lo hanno reso praticamente imprescindibile per chiunque volesse ascoltare qualcosa di più ricercato e complesso in ambito rock/metal negli anni ’90. Awake, sulla scia di Images and Words, aveva gettato la band sotto le luci della ribalta e tutti i fan, vecchi e nuovi, erano curiosi di vedere cosa avrebbe composto questa volta. Dopo un cambio di formazione improvviso e inaspettato, con l’abbandono del tastierista Kevin Moore subito dopo le registrazioni del terzo disco e il subentro del nuovo membro Derek Sherinian, i Dream Theater sentivano la necessità di trasformare il loro sound. Cercando anche di andare incontro alle nuove esigenze commerciali che si sarebbero potute profilare all’orizzonte, assecondarono le richieste della loro etichetta di snellire le canzoni rendendo un po’ più accessibile il loro stile a una più ampia gamma di ascoltatori. E così avvenne, grazie anche all’apporto compositivo di Desmond Child proprio su You Not Me, divenuta immediatamente il caso emblematico di tutto il nuovo album: basta ascoltare la versione precedente a quella finita su disco, You or Me, per rendersi conto delle notevoli trasformazioni in atto.
Ma il “problema” (se tale può essere definito) non risiede tanto in una singola canzone: si era intuito sino a quel momento che i Dream Theater tendevano volentieri verso refrain molto catchy e melodie di facile presa sul pubblico. Ciò che aveva sconcertato i fan era proprio quella scrittura più snella, semplificata e che non indulgeva in lunghe parti strumentali che mettevano in mostra la complessità tecnica dei cinque membri. Ma snellire non significa necessariamente inaridire, né semplificare non indica per forza banalizzare. Proprio evitando questi estremi, Falling Into Infinity dà prova di grande maturità, scoprendo degli aspetti inediti nel sound generale del quintetto. In primis, la capacità dei Dream Theater di saper scrivere anche delle ballate. Prova ne è il fatto che l’album ne contiene un numero maggiore rispetto ai dischi precedenti: pezzi spesso e volentieri troppo indulgenti nelle loro melodie così ammiccanti, dal sapore a volte un po’ “costruito” e non particolarmente originali ma che sanno essere coinvolgenti, soprattutto se ascoltate nel contesto dell’intero album. Fra Hollow Years, Take Away My Pain e Anna Lee spicca in particolare quest’ultima, che grazie al trasporto emotivo che riesce a creare, ricorda certe cose dei Queen, così come l’inizio della prima evoca Sting e la seconda alcune atmosfere alla Peter Gabriel. La voce di James LaBrie, poi, sembra aver trovato in queste canzoni il suo habitat naturale, spiccando spesso e volentieri sul resto degli strumenti che si limitano ad accompagnare il cantante. Portnoy, più che imbastire controtempi, conduce in maniera più lineare le ritmiche, Petrucci e Sherinian intervengono lì dov’è necessario senza prevaricare sugli altri e Myung dipinge linee di basso semplici ed efficaci, sottolineando alcuni particolari passaggi. In ogni caso, se si ascolta con attenzione, si potranno notare piccoli accorgimenti e suoni che impreziosiscono il sound generale, anche negli episodi più semplici. Qui non prevalgono funamboliche arrampicate strumentali o intermezzi dal sapore esclusivamente prog-metal come nei dischi precedenti: Falling Into Infinity vuole essere assaporato con calma, senza fretta e mettendo da parte la furia e l’urgenza esplosiva che aveva caratterizzato i primi anni di carriera dei Dream Theater. Per chi volesse comunque assaporare quel modo di suonare, la band inserisce in scaletta due piccole suite di durata leggermente superiore ai dieci minuti, Lines in the Sand e Trial Of Tears (quest’ultima divisa in tre parti) dove i nostri si lasciano andare maggiormente senza però mai perdere di vista il nucleo fondamentale, cioè l’idea di canzone orecchiabile e accattivante intorno al quale gira la musica del disco. Anche in questi due episodi, infatti, si ha l’impressione che siano state messe in atto quella semplificazione e quello snellimento nelle strutture degli arrangiamenti precedentemente citati, e chi è avvezzo a determinate sonorità prog non faticherà a digerirle nel giro di un paio di ascolti. Ma prima di arrivare a queste canzoni bisogna attraversare tutta una serie di pezzi che poco o nulla hanno a che fare con la complessità e la pomposità del prog in quanto tale, trovando dei punti di contatto, invece, con l’energia e il groove dell’hard rock anni ’70 e ’80, come succede in Peruvian Skies, Burning My Soul e Just Let Me Breathe. I Dream Theater sono sempre stati un gruppo citazionista e se sin dai dischi precedenti le ombre di Pink Floyd, Rush, King’s X e Rainbow, solo per dirne alcuni, sono sempre state presenti nelle loro canzoni, in Falling Into Infinity queste ombre si fanno ancora più invadenti, portando a galla quel miscuglio musicale tanto caro ai cinque. Un album ben lontano dall’essere fra i migliori della band ma che grazie alle sue imperfezioni e debolezze assume un suo ben preciso profilo, regalando dei bei momenti e scorrendo liscio dall’inizio alla fine. E, cosa da non sottovalutare, farà da spartiacque nella carriera dei cinque di New York, influenzando nel bene e nel male molti dei dischi successivi a partire proprio da quello che li consacrerà a livello internazionale, ovvero Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory. Da qui in poi, i Dream Theater cadranno nell’infinito per lasciarsi trasportare altrove dalla musica. Dream Theater – Falling Into Infinity (EastWest, 1997)
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Non si conosce il suo volto. Non si conoscono neanche il suo nome e cognome. La sua fisiognomica è sintetizzata in un capello rasato su un corpo medio-alto coperto da una felpa con su scritto "Liberato". "Liberato" è il suo lasciapassare, il biglietto da visita con cui questo giovane cantante che ha liberamente professato la sua origine e il suo animo napoletani è comparso a un certo punto su Youtube il 13 febbraio di quest'anno con il brano "Nove Maggio". Ha una voce indubbiamente gradevole, pop, subito banalmente assimilata al neomelodico partenopeo perchè Liberato canta in dialetto. Ma oltre a cantare, Liberato scrive anche in dialetto sia sul suo facebook che nelle risposte alle interviste da parte della stampa. "Nove Maggio" è stata seguita nei mesi successivi da "Tu t'e scurdat' 'e me", che sta per raggiungere i quattro milioni di visualizzazioni, e dalla più recente "Gaiola portafortuna". Lo stile e il registro non mutano, conservano il tono rilassato e accorato di dichiarazioni d'amore su basi R'n'B e reggae, ma non aspettatevi rappate nel cantato sulla falsariga di Clementino e Rocco Hunt.
Liberato sta ottenendo il successo che merita grazie alla capacità di mescolare ai ritmi moderni un'interpretazione dei testi poetica e passionale sulla scorta della secolare tradizione napoletana. Le tre canzoni pubblicate sul Tubo, ma assenti sia su Spotify che su I-tunes, raccontano di abbandoni, ricordi, speranza vissute tra Marechiaro, Forcella, Mergellina, nel cuore pulsante di una Napoli punto riferimento fondamentale per l'artista. I videoclip, tutti girati dal regista Francesco Lettieri, ritraggono tante splendide fotografie provenienti dal capoluogo campano e adolescenti seguiti nelle azioni più comuni. Una litigata tra amici, un giro in metropolitana, un corteggiamento. Malgrado sia stato già avanzato come termine di paragone a destra e a manca, l'universo di "Gomorra" non ha a che vedere nulla con le atmosfere raccolte celebrate da Liberato. Non ci sono spari, violenze, spacciatori nella mente di Liberato; vincono il sentimento, una passeggiata sotto la luna, la pioggia sulle isole di Procida e Nisida che rimanda al passato. A Nino D'Angelo non piace, a Saviano e Salvatore Esposito (che ha dichiarato di conoscerne la vera identità) invece da impazzire. La critica l'ha già premiato a "casa sua" in occasione del San Gennaro Day il 25 settembre scorso, quando però invece che presentarsi sul palco allestito sul Sagrato del Duomo il cantante si è fatto sentire via Whatsapp portando il più grande ringraziamento al Santo patronale. Liberato ha anche ricevuto il premio speciale della Mei e Pivi 2017 per il valore artistico del brano "Tut t' e scurdat 'e me" e delle riprese di Lettieri, nominato per la regia di altri quattro clips ("Del Verde" di Calcutta, "Sold Out" e "Completamente" dei TheGiornalisti e "Del tempo che passa la felicità" di Motta). E con i concerti come la mettiamo, direte voi? Ebbene al "Miami" Festival di Milano di maggio scorso, sul palco il pubblico che lo aspettava si trovò davanti Calcutta, Izi, Shablo e Priestess, nell'ordine un cantante pop, un rapper, un dj o e una giovanissima artista R'n'B. Quattro anime molto diverse ma a pensarci bene necessarie per assemblare al meglio lo stile di Liberato. Ma di Liberato Milano non ha visto neppure l'ombra, e chissà se toccherà la stessa sorte anche a Torino a novembre al "Club to Club Festival", al quale l'anonimo cantante dovrebbe partecipare con uno show audiovisivo realizzato appositamente per l'occasione. Sull'identità di Liberato sono state avanzate diverse ipotesi. Che Liberato sia un'etichetta dietro la quale si celino più persone. Che Liberato in realtà corrisponda a uno pseudonimo, scelto dal ventiquattrenne poeta di Scampia Emanuele Cerullo, oppure dal rapper Livio Cori, anch'egli napoletano e che rivedremo nella serie "Gomorra 3", durante la quale secondo alcuni rumours verrà finalmente svelato il mistero di cui vi stiamo parlando. Ma in tutta sincerità forse non ce ne sarebbe così bisogno. Immagini tratte da Deerwaves.com |
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Aprile 2023
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