di Enrico Esposito Non è mai facile fare i conti con il proprio passato. Ancora di più ritrovare se stessi in una forma diversa, altra rispetto al presente. Soprattutto se poi si decide di condividere quest’esperienza insieme ad altre persone. Pubblicamente. Luci, Luciana Patullo all’anagrafe, ha deciso di rompere gli indugi, ricorrendo alle formidabili risorse di cui l’arte si giova, per tratteggiare un ritratto a tinte molteplici che appartiene alla sua storia. E potenzialmente diventa parte dei pensieri di chiunque. Nasce così “Luci”, l’album omonimo, di debutto della cantautrice molisana, la cantarpista come è stata definita perché usa accompagnare alla sua voce delicata la particolarità dell’arpa, oltre al pianoforte, fedele scudiero da tempo. Della carriera di Luciana Patullo da Bojano sviluppatasi tra Roma, Vienna e il ritorno nella sua terra patria, vi abbiamo già detto a lungo qui e nel corso della bella intervista in diretta con tanto di performance che la nostra ci regalò nel giugno scorso. Oggi siamo qui a tessere i fili di un’opera prima importante nella sostanza delle numerose osservazioni che la compongono, e nella forma di un menù sonoro dai sapori mutevoli. Come già detto, la scelta del titolo del disco esprime un significato chiave: Luci corona il desiderio di portare alla luce del sole sia le ombre che le ansie annidate nella mente come i voli pindarici e le gioie strabordanti. Un intrecciarsi di significati, resi dalla contemporanea presenza della dolcezza dei fiori e la durezza delle ossa dipinte in copertina dall'artista Michela Di Lanzo al di sopra dell'universo di Luci. Io ho avuto il piacere di aver ascoltato la sua spiegazione avvincente della nascita dei dieci brani (prodotti da Aurelio Rizzuti, che si è occupato delle componenti elettroniche, con Stefano Di Matteo alla chitarra), composti in periodi lontani, non compatti della sua esistenza, ma per questa ragione dotati di una sincerità evidente. La prima Luci viaggiava con “la valigia piena di ansie”, timida, ermetica come i testi delle sue canzoni. “Dal principio”, “La semplice volontà” e “Anemone” portano in dote periodi segnati da uno sguardo alla vita che si riflette nell’approccio artistico. Anche dalla prospettiva sonora aleggia un’aria volutamente misteriosa, cupa, quasi come si cercasse di tenere gli ascoltatori all’oscuro della completa verità. Le canzoni assomigliano più a gallerie di immagini, bozzetti che seguono l’uno all’altro su un filo sospeso tra acustica ed elettronica, alludendo però ad alcuni cambi di direzione ben delineati: rinunciare un po’ agli altri a favore della riscoperta della propria persona, spiccare un volo sognato e reale verso la musica. Quando Luci, ad un concerto, sente una signora meravigliarsi che alla solarità del suo carattere vadano a corrispondere canzoni così distanti, viene investita da una ventata di cambiamento: abbatte I limiti personali per liberare nuovi tratti della sua poetica, e investire la sua musica di preziose varianti. L'arpa e il pianoforte si dispiegano in cieli tersi, disegnando paesaggi illuminati che accolgono storie di perseveranza e felicità bevute fino in fondo nonostante le amarezze della vita. "Johanna" apre le danze con un inizio raggiante che sembra essere eseguito in presa diretta da una Luci calata in un locus amoenus: è una dedica accorata alla grandezza della figura di Johanna Bonger, la moglie di Theo Van Gogh, nonché colei che pubblicò il celebre carteggio tra suo marito e il fratello Vincent, e fu la vera artefice del successo immortale di quest'ultimo. "La casa in riva al mare", unica cover dell'album, è un nuovo omaggio questa volta al genio di Lucio Dalla, ispirata dalla precedente rivisitazione firmata da Erica Mou, dalla quale si distacca per costruire un alternanza sonora incisiva tra le strofe e il ritornello. Da una parte la purezza degli strumenti classici che esprimono l'anima innocente dei pensieri dell'uomo protagonista, dall'altra l'impulso psichedelico indice dell'illusione di certe speranze. E infine una conclusione affidata al silenzio, allo scorrere delle onde come rondini in volo. "Il bolero delle mante" riprende la fusione di melodie e strumenti per offrire un fuori-programma dalla noia della chiarezza, della mancanza di dubbi e se vogliamo dalla piattezza della quotidianità, per partire alla volta di un viaggio all'insegna dell'immaginazione, prendendo esempio dal comportamento dei bambini, "i veri artisti del presente" come li definisce Luci. "Cinque metri di neve", singolo pubblicato meno di un mese fa per anticipare l'uscita del disco, nasce anch'esso negli ultimi tempi di lockdown sulla spontaneità di un'esperienza personale, testimone di un confronto avvenuto dopo rimandi continui. E infine gli ultimi brani di chiusura, altre due scoperte. "Che ore sono?" ancora una volta si fonda su immagini appositamente scelte per il loro simbolismo: segni dalla forte matrice come il tema affrontato della spavalderia comune tra gli uomini e le donne al giorno di oggi nel giudicare il prossimo ed attaccarlo. Trasformandosi da vittime a carnefici, si assiste a un processo infinito quanto stantio, nel quale occorrerebbe armarsi non per difendersi dalle accuse altrui, ma per sospendere le proprie. "Pezzi" riassume in conclusione il concept intero dell'album: la lettera che si compone gradualmente rappresenta un monologo tra Luci e la sua immagine riflessa, con i nuovi giorni, le nuove poesie, il distacco fisico dai tempi anteriori "correndo in avanti".
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In occasione della pubblicazione del suo primo singolo "Street Food", abbiamo rivolto alcune domande a Cortese, cantautore salentino che ha intrapreso da pochissimo questo nuovo progetto solista. di Enrico Esposito
1. Buongiorno Michele, grazie mille per aver accettato la nostra intervista! Il 30 ottobre è uscito il singolo “Street Food”, che coincide con l’inizio di un nuovo percorso della tua carriera, identificata con la scelta del nome d’arte “Cortese” (dal tuo cognome). Quando hai deciso di sviluppare questo nuovo progetto?
Con l’inizio di questo 2020 assurdo ho ascoltato tanta nuova musica e tanti nuovi cantautori che non conoscevo bene, tutto questo mi ha ispirato canzoni nuove scritte per quanto mi riguarda con un linguaggio nuovo rispetto ai miei trascorsi. Da qui l’idea di ri-esordire con uno pseudonimo artistico . 2. “Street Food” è un brano all’interno delle quali si incontrano le tre cose che ritieni più importanti: il cibo, l’amore e la musica. Come nell’immagine di copertina che presenta infatti un camioncino di truck food, il testo di questa canzone fotografa i comportamenti di diverse persone che può incontrare lo sguardo di un passante: una coppia in crisi, due adolescenti al primo appuntamento, un simpatico divoratore seriale di panini. In quale circostanza è nata “Street Food”? In una di quelle notti stronze in cui ti tocca fare i conti con i ricordi belli di storie d’amore finite. 3. La galleria di personaggi da te descritta si intreccia con l’argomento principale del brano: la fine di una storia d’amore, rivissuta attraverso ricordi legati a sogni, desideri e persone o cose che il protagonista elenca dopo essersene imbattuto nella quotidianità. Quanto è importante l’esperienza autobiografica per Cortese nella scrittura e in generale nell’approccio alla musica? L’esperienza autobiografica è fondamentale nella scrittura e nella musica in generale, sincerità e vita vissuta sempre: nelle storie, nella produzione, nella voce. 4. La musica che risuona in “Street Food” è un pop rilassante e attuale, suonato da una band. Diventerà un tratto caratterizzante del tuo sound? Sì, sarà quello il sound dei prossimi singoli e del disco per questo nuovo progetto. 5. A gennaio hai preannunciato che verrà pubblicata una traccia inedita, seguita da un’altra, in attesa dell’arrivo in estate del primo album. Puoi svelarci qualche piccola news in merito? Il 15 Gennaio uscirà il prossimo singolo ed entro Giugno il disco. Saranno canzoni che raccontano la vita vera, quella che si vive e non passa e basta, quella della gente che si ama, sogna, fa l’amore, si lascia, soffre e ricomincia a vivere con un’altra consapevolezza. 6. La tua esperienza nel mondo della musica è lunga nel tempo e nello spazio. Dal trionfo nel 2008 alla prima edizione di X-Factor negli Aram Quartet, alla lunga parentesi in Sudamerica che ti ha portato a vincere nel 2017 il “Festival internazionale della canzone di Viña del Mar” ed esibirti in numerosi musicals di Broadway, fino ad arrivare al 2020 con la partecipazione nelle vesti di cantante all’interno del prestigioso spettacolo “Mogol canta Mogol”. E infine la genesi di Cortese. Da dove nasce questa tua poliedricità e quali sono i piani per il futuro? Credo dal fatto che ho sempre amato l’arte nelle sue varie coniugazioni ed artisti poliedrici che nella loro carriera non si sono mai abituati a se stessi ma si son sempre reinventati, da Battisti a David Bowie. Piani per il futuro: completare la genesi di Cortese, farla vivere nelle canzoni e sui palchi e poi chi vivrà vedrà. 7. Caro Michele ringraziandoti per la tua disponibilità, vogliamo salutarti in modo anticonvenzionale. Ossia invitandoti a lanciare un tuo speciale messaggio ai nostri lettori. Grazie a voi! Auguro agli amici lettori un 2021 ricco di bellezza e curiosità per conoscere musica nuova e rivivere in varie forme emozioni antiche. Immagini gentilmente fornite dall' Ufficio stampa (Giulia Perna) di Enrico Esposito “HER DEM AMADE – Siamo sempre pronte, siamo sempre pronti” è molto più di un omaggio artistico. Dentro di sé conserva il fulcro dello spirito che animava Lorenzo Orsetti Tekoşer, partigiano internazionalista che perse la vita aiutando il prossimo. "HER DEM AMADE" è una compilation di ventiquattro brani eseguiti da grandissimi nomi della musica italiana, i cui proventi saranno interamente devoluti per dotare di un ambulatorio pediatrico l'Alan's Rainbow di Kobane, un edificio che ospita in totale sicurezza 50 bambine e bambini rimasti orfani a seguito dell'occupazione da parte dell'ISIS della città. Un ambiente che opera secondo il progetto di veder realizzato in futuro il Confederalismo Democratico, una società libera al di là del concetto di Stato-Nazione, che conceda finalmente stabilità alle popolazione curdo-siriane e alle minoranze etniche presenti nel nord della Siria. Come desiderava Orso. Lorenzo Orsetti era un ragazzo fiorentino di Rifredi che si rese protagonista di una scelta forte: partire alla volta della Siria per combattere l’Isis a favore dei diritti di una popolazione, quella curda, così antica nella storia dell’umanità come vittima dell’indifferenza generale al giorno d’oggi. A fianco dell’YPG, egli assunse un nuovo nome, “Tekoşer”, “Orso” per l’appunto, lo pseudonimo che al giorno d’oggi puoi trovare scritto sui muri delle nostre città accompagnato da un verbo alla terza persona singolare “vive”. Si perché il 19 marzo 2019, Tekoşer cadde in battaglia a Baghuz. Aveva scritto una lettera d’addio tempo prima immaginando quel momento: un messaggio all’interno del quale Orso aveva salutato tutti con calore e la felicità di essere scomparso compiendo l’azione più importante, difendere I più deboli “rimanendo fedele agli ideali di giustizia, eguaglianza, libertà”. La lettera proseguiva con un invito dall’apparente semplicità e dal significato enorme: combattere l’egoismo e l’individualismo per migliorare il mondo, seppure in tempi complicati come quelli attuali, ma trovando la forza nascosta dentro sé stessi. Lorenzo esprimeva tutto ciò, concludendo con un’esclamazione di trionfo: “Serkeftin” ossia “Vittoria”, per avere goduto della propria vita fino in fondo. Il progetto “HER DEM AMADE”, è nato ufficialmente nel marzo scorso per iniziativa della casa discografica fiorentina Blackcandy, che ha celebrato l’anniversario della scomparsa del concittadino Lorenzo Orsetti. In collaborazione con la famiglia di Tekoşer, Arci Firenze, Associazione Lorenzo Orso Tekoşer, UIKI Onlus, WJAR- Weqfa Jina Azad a Rojava e Bao Publishing, il cantautore romano Lucio Leoni ha coordinato le operazioni che hanno portato all’assemblamento e alla registrazione di questa doppia compilation. Un doppio cd con i brani di 24 Grana, Serena Altavilla, Assalti Frontali, Angela Baraldi, Cesare Basile, Paolo Benvegnù, Giorgio Canali & Rossofuoco, Pierpaolo Capovilla, Marco Colonna, Vittorio Continelli, Max Collini, Cristiano Crisci, Dagger Moth, Ginevra Di Marco, Er Tempesta, Giancane, La Rappresentate di Lista, Lucio Leoni, Malasuerte, Mokadelic, Nummiriun, Rita Lilith Oberti, Marco Parente, Carmelo Pipitone, Rapper C J A SAP, Marina Rei, Roncea, Tre Allegri Ragazzi Morti, Giovanni Truppi, Margherita Vicario Un’iniziativa sorta spontaneamente, come ci ha raccontato Lucio al telefono, durante il periodo del primo lockdown, che aveva innestato nelle coscienze comuni un dolore molto simile a quello provato dalla popolazione curda. A dispetto del sentimento maggiormente diffuso di ansia egoriferita che assorbiva (e assorbe tuttora) i musicisti, tra le vittime più drammatiche dello status quo, “HER DEM AMADE” si è costruito gradualmente per merito di una direzione artistica collettiva, animata da un’idea precisa: assumere la responsabilità caratteristica del mondo dell’arte di raccontare la storia di questo ragazzo, per poter sensibilizzare il pubblico nei confronti di tematiche sociali e umane. Tekoser ha affrontato l’oppressione curda che permane sotto le analoghe dinamiche del fascismo. I musicisti coinvolti nel progetto hanno sentito il dovere di testimoniare la sua memoria, nella convinzione che egli vivrà per sempre grazie al valore dei suoi ideali e delle sue azioni.
Le ventiquattro tracce che si ritrovano nel doppio volume danno luogo ad una galleria intrecciata da linguaggi musicali molto diversi tra loro, unificati dal potere e fascino della lingua italiana: trovano spazio l’hip hop, la musica leggera, il rock, il folk, ma soprattutto interpretazioni manifestate nella totale libertà di espressione. Anche nel 10% dei brani non inediti presenti, gli artisti protagonisti hanno dato luogo ad un’esecuzione intensa che appartiene alla storia di Tekoser sull’onda delle parole, delle melodie, della scelta degli strumenti impiegati. Dialetto siciliano e inglese affiorano inoltre, per mettere in evidenza altre battaglie compiute nel corso della storia anche passata dagli uomini. “HER DEM AMADE” compie un viaggio cronologico parallelo alla vita di Lorenzo, cominciando dai pensieri e i giochi dell’infanzia, alle scoperte delle emozioni durante l’adolescenza, per giungere al decennio fondamentale dei vent’anni, in cui la formazione e la conoscenza del mondo si completano. Per tale ragione, le suggestive variazioni del suono e della scrittura disegnano attimi devoti all’amore, all’amicizia, alla sofferenza, alla determinazione. Che i disegni di "Macelli", fumetto che Zerocalcare pubblicò l’anno scorso su Internazionale in onore di Tekoşer e sono inseriti nel booklet della compilation, esprimono secondo il tocco caratteristico dell'artista romano intensificando la loro ricchezza, molto più longeva nel tempo. Link per ordinare il doppio CD: https://blackcandyrecords.bigcartel.com/product/her-dem-amade-me Immagini gentilmente fornite dall'ufficio stampa Big Time di Enrico Esposito
Il progetto solista di Giovanni Marinelli, in arte Marinelli, è recentissimo. Gennaio e marzo del 2020 hanno visto la pubblicazione dei suoi due primi singoli “Collezione” e “T-shirt”, seguiti ad ottobre dall’ultimo brano inedito “James Dean”, che hanno anticipato l’uscita di “Blu”, album di debutto del cantautore in uscita oggi venerdì 18 dicembre. Oggi Marinelli è qui con noi per raccontarci di questo esordio discografico.
1 – Ciao Giovanni, grazie molte per aver accettato la nostra intervista! Oggi sarà finalmente disponibile
in digitale “Blu”, la tua opera prima, una raccolta di dieci brani che segnano un passaggio importante all’interno della tua nuova carriera solista. Quanto sei emozionato in questo momento?
2 - “Blu” è il tuo primo album pubblicato in collaborazione con l’etichetta Manita dischi. Come hai dichiarato tu stesso, le canzoni che hai composto in musica e versi accompagnandoti alla chitarra e al piano riflettono ampiamente un percorso costituito da esperienze personali. Dal brano di apertura omonimo “Blu” alla chiusura di “Sale”, vengono passati in rassegna diversi aspetti della vita comuni: la nostalgia di un amore passato espressa attraverso il ricordo di precisi elementi, il desiderio di rinnovamento, la speranza. Ma soprattutto tu spargi tra una traccia e l’altra indizi relativi ad alcuni cambiamenti che ti hanno coinvolto direttamente in prima persona. Ci racconti come è nato “Blu” e quali sono le motivazioni che ti hanno portato a condividere pezzi del tuo mondo e passaggi della tua storia all’interno dell’album?
3 – La musica che accompagna i tuoi testi è immediata e diretta. Un pop cristallino, che alcune volte parte o si mantiene in sordina per adattarsi alle atmosfere profonde di una ballata. Altre volte invece scorre rapido come una corrente di pensieri o di onde per ritornare a una presenza centrale in tutto il volume: il mare protagonista anche della copertina di “Blu”. Il mare che si presenta come un rifugio temprante lontano dalla città, e affiora attraverso sue componenti, ad esempio il sale, in forma metaforica, avvolto da significati intimi. Che cosa rappresenta per Marinelli il mare? Ha ispirato e ospitato la scrittura di alcune tracce?
4 – Il primo singolo che hai scelto per presentarti al pubblico è “Collezione”. Un brano molto
interessante perché ricco di riferimenti alle passioni e ai tratti caratteriali delle persone: nel ritornello diventa un vero e proprio invito alla scoperta di sé. Possiamo parlare di un biglietto da visita preciso da parte di Giovanni Marinelli, oppure di un escamotage artistico di Marinelli?
5 – L’amore nelle sue sfumature incalcolabili domina la scena all’interno delle tue canzoni. Richiama in continuazione la tua attenzione, spesso rimane ancorato a determinati oggetti (“T-shirt”), celebri figure del cinema (“James Dean”), e anche a intere città, come Bologna, che da il titolo alla seconda traccia. Come hai cercato di affrontare il tema dell’amore? E ti andrebbe di rivelarci qualche aneddoto sulla nascita della traccia “Bologna”?
6 – Il 2020 è stato un anno a dir poco bizzarro che ha avuto conseguenze molto importanti anche sul mondo della musica, in particolare sulla possibilità di esibirsi dal vivo. Come ha affrontato e sta affrontando questa situazione Marinelli, che ha tra l’altro lanciato il suo progetto ad inizio anno? Ha avuto l’opportunità di presentare i suoi brani e la sua musica in concerto?
7 – L’ultima domanda che ti facciamo, ringraziando molto per essere stato qui con noi, è piuttosto un
invito: quale messaggio intendi rivolgere ai lettori del Termopolio a proposito dell’uscita del tuo primo album e in prospettiva dell’anno nuovo?
Immagini gentilmente fornite dall'Ufficio Stampa Da martedì 8 dicembre è disponibile su tutte le piattaforme di streaming "Piano b", l'Ep di debutto di Francesca Pizzo, in arte Cristallo. Il Termopolio ha avuto il piacere di intervistare la cantautrice bolognese qualche giorno fa per conoscere i dettagli di questo nuovo lavoro. di Enrico Esposito “Piano b” è un’espressione ormai inflazionata. A livello mondiale. I motivi del perentorio “successo” di questa espressione nell’ultimo anno sono evidenti, e analizzare nel profondo le diversificazioni d’uso ci porterebbe a smarrire presto la bussola. Oggi ci interessa approfondire un caso specifico di “Piano b”, che la sua protagonista dichiara fin da subito in riferimento al suo mestiere, quello della cantante, ma non solo. Lei è Francesca Pizzo, in arte Cristallo, che vi avevamo presentato in una video-intervista pochi mesi fa, per la precisione a maggio, dopo la pubblicazione del suo nuovo singolo “Casa di vetro”. In quel periodo di primo lockdown, si viveva un’atmosfera di sospensione prudente che però cominciava a manifestare barlumi di speranza: tuttavia le previsioni di un secondo stop forzato agli spettacoli pubblici, e dunque anche ai concerti sono state confermate in seguito. Allora Cristallo, che aveva avviato il suo progetto solista appena un anno fa ha dovuto prendere delle contromisure alla situazione: il suo primo length album previsto per la primavera del 2021 ha lasciato giocoforza spazio a un’alternativa di maggiore immediatezza. Nasce così l’ep che trae il suo nome dalla circostanza in cui la cantautrice si è imbattuta nel suo percorso artistico, forte dell’esperienza costantemente maturata durante la vita. “Piano b” rappresenta la prima raccolta che mette in scena lo sguardo indagatorio ed empatico di Cristallo attraverso cinque diverse riflessioni sulle componenti delle relazioni umane e di prospettive inoltre private, focalizzate sulla singola interiorità. Dal termine del 2019 alla primavera passata “Cosa c’è”, “Falena” e “Casa di vetro” sono stati rilasciati a distanza precisa l’uno dall’altro con l’intento di avvicinare con spontanea calma gli ascoltatori alla personalità dell’artista bolognese, evidenziando da subito alcune caratteristiche ricorrenti sia nella scrittura che nel sound. Dopo il lungo capitolo con Melampus in cui concedeva grande spazio al ruolo di musicista, Francesca ha intrapreso la nuova fase del suo viaggio musicale scortata dal lavoro sapiente dei producers sulla parte strumentale per poi sentirsi libera di esprimere al meglio le sue potenzialità. Soprattutto nella composizione dei testi, nati spesso dall’unione della voce con un giro di basso e che vedono incontri e alternanze filanti tra acustico e synth, richiami agli anni ‘60 e ‘80 e influssi industrial contemporanei. Gli sfondi sonori ricreati hanno il compito di trasportare l’orecchio tra gli specchi dell’ universo interiore appartenente all’artista, attenta a mettere a disposizione parole e strofe essenziali così da sortire l’effetto del desiderio di interrogarsi di più sui significati. Un effetto di “vedo/non vedo”, di intenzionale cripticità in controtendenza con la moda odierna: come lei stessa ci ha detto, “il compito dell’arte deve essere quello di allungare una mano al pubblico”, invogliandolo allora a stabilire un legame produttivo reciproco con il cantautore, il regista, il pittore.
All’interno di “Piano b”, frutto anche di una rivalutazione del lavoro compositivo e discografico stesso in virtù dei bruschi cambiamenti intervenuti nella vita quotidiana, per la prima volta sono inseriti due brani in precedenza non pubblicati come singoli ma paradossalmente pensati e terminati da Cristallo molto prima. “Dei due”, uscito a novembre per anticipare l’intero ep, e “Cuore nero”, quinta e conclusiva traccia del lotto, erano stati infatti già registrati un anno fa e “conservati” in attesa di entrare a far parte del Lp previsto. Lo stand-by dell’incertezza prolungatosi in autunno, al netto del piccolo break estivo che ha permesso a Cristallo di potersi esibire dal vivo in alcune date accompagnata alla chitarra da Andrea Gerardi, ha fatto si che la cantautrice optasse in definitiva per il suo piano b, comprensivo per l’appunto di entrambe le canzoni. L'intero Ep verte innanzitutto sulla linea narrativa già intrapresa dai tre singoli già noti: Francesca Pizzo mette di fronte i punti di vista di due persone strette all’interno di un rapporto affettivo. La sincerità e la verità dei sentimenti e dei bisogni dominano: tra l’uno e l’altra avviene uno scambio fatto di attenzioni e tenerezze, ma esistono anche vuoti di rispetto e comprensione. Si sviluppa un confronto fondamentale puntato al chiarimento, senza la paura di avanzare delle richieste e far osservare comportamenti buoni o meno di entrambi.
“Dei due” trasferisce quest’esperienza su un altro piano, quello del fare I conti con se stessi alla ricerca di un equilibrio necessario: per poter godere appieno di una relazione sentimentale diventa opportuno non mettere da parte la natura spontanea del proprio animo. E “Cuore nero” recupera nuovamente la sfera personale, trasferendola in un altro discorso: il senso condiviso della dipendenza da rapporti disfunzionali che riguardano non per forza persone, ma tanti aspetti della quotidianità, responsabili dei cuori neri. Ed ora, in attesa di assistere dal vivo alla completa espressione di "Piano b", non vi rimane altra scelta: ascoltarlo per poter conoscere la sua protagonista e mettervi nei suoi panni. Esattamente come me.
Immagini gentilmente fornite dall'ufficio stampa Red & Blue music relations di Enrico Esposito
Vi presentiamo la nostra intervista via mail al cantautore napoletano Roberto Guardi, in arte Il Befolko, che ha da poco rilasciato il sinolo "Riesta n'atu ppoco", apripista del suo nuovo album "Puoi rimanere appannato".
1 – Buongiorno Roberto e grazie molte per aver accettato la nostra intervista. Sono trascorsi cinque anni dall’inizio di questa nuova fase della tua carriera musicale, della nascita del progetto solista “Il Befolko”. Ci puoi raccontare quando hai deciso di “metterti in proprio” e tuffarti in questa avventura, e quali motivazioni ti hanno portato a farlo?
Buongiorno a voi e ai vostri lettori, grazie per la gentile disponibilità! Il progetto “Il Befolko” nasce ufficialmente nel maggio del 2015, mese in cui mi esibii per la prima volta utilizzando questo nome. Mi ero già esibito in altre occasioni, sporadicamente, utilizzando soltanto nome e cognome. Prima di quella data non avevo davvero un progetto ma soltanto delle canzoni, scritte a partire dal 2010. Che la musica fosse parte imprescindibile della mia vita lo sapevo fin da bambino ma l'ho realizzato più seriamente a partire dal 2013, anno in cui esordii da percussionista con “La Maschera”. Per tutta una serie di motivi non credetti abbastanza in quell'esperienza, ma da allora il bisogno di suonare e di fare le cose un po' più seriamente si è fatto più pressante. A spingermi in tutto il resto c'è stato proprio quel bisogno di esprimermi, accompagnato dal profondo benessere che provo nel maneggiare uno strumento. 2 – Il nome d’arte che hai scelto racchiude al suo centro un elemento chiave: “folk”. Il folk, di matrice americana e britannica di anni Settanta, è infatti il genere che proponi attraverso le tue canzoni trasponendolo all’interno della veste linguistica a te completamente familiare: la lingua napoletana, dotata di una potenza evocativa straordinaria resa ancora più viva dai suoni di strumenti e non solo che sono riprodotti nei brani. Quali sono le fonti di tale interessante fusione? Ho scoperto quel folk intorno ai diciassette anni grazie a Cat Stevens e Simon & Garfunkel. Mi piacque molto fin da subito, mi lasciavo avvolgere sempre più da quella dolcezza, da quella malinconia e da quei testi così semplici, all'apparenza ingenui, ma così densi, spontanei e profondi. Poi mi sono imbattuto in Jim Croce e Gordon Lightfoot, i miei veri mentori. In tutte quelle canzoni ritrovavo senza saperlo molto di me, della mia stessa sensibilità, e attraverso di esse mi sono conosciuto e riconosciuto. Il napoletano l'ho scoperto alle scuole medie, è la lingua che più si parla nel mio quartiere. Pur se non lo si volesse, se si nasce nei quartieri popolari lo si impara a prescindere: è proprio una questione di identità, di appartenenza! Quel folk lì ha molto a che fare con le radici dell'interiorità, esso scava fino a fondo fino a rintracciare l'emozione nuda e cruda; il napoletano è invece la radice del mio microcosmo, fisico e non, ed è una lingua radicale che attraverso semplicità e sinteticità può esprimere anche il molto complesso, il molto profondo. Una lingua perfetta per chi non vuol farsi fraintendere! 3 – Nel 2017 hai pubblicato il tuo primo album in studio intitolato “Isola Metropoli”, che mostrava in sé già i tratti caratteristici de Il Befolko: ballate brevi e placide, che servendosi di arpeggi delicati e “pizzicati” affrontano temi molteplici, spesso malinconici, auto-ironici, e soprattutto intimi. Testi che fotografano a volte dei momenti quotidiani cristallizzati intorno ad un oggetto che ne fa parte (“ ‘O bigliettino”, “ ‘A lavatrice”) e diventa infine l’icona di altri pensieri. Dunque ti chiediamo come nascono le tue canzoni e se ti va di ricordare un aneddoto particolare che ne accompagna una di esse. Le mie canzoni nascono sempre per caso, a volte da una frase, un pensiero, un concetto, un' immagine che mi sorgono in mente oppure da un qualche arpeggio o giro di accordi. Le canzoni compiute sono nate quasi sempre in tempi estremamente brevi, in massimo un'ora. Quando compongo sono totalmente immerso in un flusso, mi ci tuffo, faccio una nuotatina e cerco di uscirne con il brano terminato almeno a grandi linee (testuali e strumentali). Credo che esistano molti flussi ma ogni canzone ha il suo e completare un brano quando un flusso si è concluso o interrotto non è la stessa cosa, almeno per me. Mi fido molto delle prime stesure, ne sono quasi sempre soddisfatto. Scrivo quasi sempre di notte, è la parte del giorno che dedico al raccoglimento e alla concentrazione. Una delle canzoni notturne è “ 'A lavatrice”, nata perché il fracasso dell'elettrodomestico non mi permetteva di dormire. Potrei definirla una canzone “di vicolo”, la lavatrice in questione è quella della mia dirimpettaia! 4 – Lo scorso 20 novembre hai rilasciato il nuovo singolo intitolato “Riesta n’atu ppoco”, apripista del secondo album “Puoi rimanere appannato”, in uscita nel 2021 per l’etichetta “Dischi rurali”. Un brano che si sviluppa secondo una precisa cifra stilistica già seguita anche nella tracklist di “Giocodelsilenzio”, volume interamente strumentale reso disponibile solo pochi mesi fa. “Riesta n’atu ppoco” ha infatti la durata di un minuto e mezzo, non un assaggio, ma la scelta voluta di andare dritto all’emozione dell’ascoltatore. Ti andrebbe di dirci quando è nata l’idea di intraprendere questa piccola “sfida”? Sebbene cronologicamente “Riesta n'atu ppoco” sia uscita dopo “Giocodelsilenzio”, tuttavia la genesi dei due progetti è inversa: l'album strumentale è stato infatti inciso nell'estate del 2020 mentre l'altro brano, così come il disco di cui fa parte, era già concluso ad inizio anno. La lunghezza così contenuta di “Riesta n'atu ppoco” è stata del tutto casuale, il pezzo è nato esattamente così nel 2017, così si è conservato e la cosa non è stata frutto di una scelta ragionata. La lunghezza così contenuta potrebbe forse nascere dal fatto che il testo sia di un'urgenza assoluta e credo che la musica si sia adattata ad esso, che in un minuto e mezzo aveva detto tutto e completamente quel che sentivo. Andare sempre in cerca dell'emozione più profonda, in primis mia e poi eventualmente di chi mi ascolta, è quello che provo a propormi sempre. La “sfida” invece appartiene assolutamente ai brani di “Giocodelsilenzio”, in cui volevo essere imprevedibile e camaleontico ma con il tempo a sfavore. In quel caso ho giocato con me stesso e “Riesta n'atu ppoco” è stato un modello tipologico di partenza. Il prossimo album sarà vuoto! 5 - “Puoi rimanere appannato” si presenta come un lavoro accurato, prodotto da Massimo De Vita dei Blindur e che vede la partecipazione di altri interpreti e musicisti della scena partenopea, tra cui Pietro Annibale, in arte “Pedar”, che ha realizzato i cori di “Riesta n’atu ppoco”. Ci puoi svelare qualche piccolo dettaglio relativo al nuovo lavoro, e alla messa a punto che l’ha accompagnato? Avevo lavorato con Massimo nel 2014, quando fece da produttore del primo disco de “La Maschera”. Quei giorni in studio furono magici, conobbi una persona fantastica, disponibile, umile, oltre che un ottimo musicista dalle brillanti intuizioni. Parlammo tanto di quel folk, scoprimmo di avere molti amori musicali in comune. Ho perciò voluto fortemente che Massimo lavorasse al mio disco, sapevo che sarebbe stata un'esperienza formativa, emozionante e che egli avrebbe saputo perfettamente quale fosse la strada che volevo percorrere. La settimana di registrazioni è stata fantastica malgrado Trenitalia! Tutti i membri di Blindur hanno sposato totalmente la causa, si sono gentilmente messi a disposizione. “Pedar” è stato un mio compagno universitario, un bravo cantautore con cui sono cresciuto musicalmente fianco a fianco. Non avevamo mai duettato in studio, è stato un bel punto di arrivo! “Un disco di LSD senza LSD”, così lo ha definito Massimo! Volevamo rievocare gli anni '70, abbiamo fatto un po' gli hippie e sperimentato parecchio. Non ci siamo posti limiti, abbiamo viaggiato senza biglietto un po' in giro per il mondo. 6 – Naturalmente anche il mondo della musica ha dovuto subire e sta subendo i duri contraccolpi dovuti alla pandemia di Coronavirus. Come ha trascorso e sta trascorrendo Il Befolko questo periodo strano e complicato? E quanto mancano a Il Befolko i brividi del palcoscenico e il calore del pubblico? In questo stranissimo e difficilissimo periodo sto lavorando ad una tesi magistrale sulla musica nell'antica Roma, principalmente mi dedico a quello e sto trovando la cosa estremamente interessante e stimolante. Parallelamente insegno latino privatamente, metto da parte risparmi per fare altra musica. Cerco dischi sconosciuti, meno noti e tocco la chitarra molto poco. Vorrei tornare a comporre dopo aver fatto un bel po' di nuovi ascolti, mi piacerebbe tirar fuori qualcosa di evoluto e diverso. Esibirmi mi manca tantissimo, così come mi manca viaggiare per concerti. Negli ultimi due anni sono stato una trottola, una pausa forse mi ci voleva ma sostanzialmente lo ha deciso il buon Giuseppe Conte per tutti noi. Non vedo l'ora perciò di avere nuovamente libero movimento e libera iniziativa, ho tante persone da conoscere, con cui mischiarmi, e tanti abbracci da dispensare! Qualcuno diceva che “la vita è l'arte dell'incontro”, io aggiungerei che l'arte è la vita dell'incontro. 7 – La nostra ultima domanda consiste in realtà in un invito: lanceresti un saluto ai lettori e ai fans rivolgendo uno sguardo ai propositi futuri de Il Befolko? Un caloroso abbraccio a tutti i lettori de “Il Termopolio”, vi auguro di avere un anno migliore di questo (non dovrebbe essere poi molto difficile!), fatto di ripartenza e rinascita, e di continuare a credere in tutte le vostre aspirazioni per quanto dura possa essere! Per quanto riguarda i miei propositi, spero che questo nuovo disco possa regalarmi molte opportunità quali concerti, viaggi, incontri, premi musicali. Spero che le sue canzoni possano regalarmi belle soddisfazioni, emozioni intense e storie da conservare! Grazie per l'attenzione concessami!
Immagini tratte da:
- Immagini 1-4 gentilmente fornite dall'ufficio stampa de Il Befolko - Immagini 2-3 dal profilo facebook ufficiale de Il Befolko di Enrico Esposito
Quanto è possibile fare poesia al giorno d’oggi? Questa è la prima domanda che mi è venuta in mente studiando I lavori di Glomarì. Ma alla fine credo che lei non si sia posta addirittura mai questa domanda. Perché la cantautrice fidentina, architetto avvicinatisi alla musica quando le fu regalato un ukulele non molti anni fa, si muove nell’universo complessivo dell’arte in nome di una libertà benedetta, posta sotto il potere incantatorio della magia creativa. “Che placido putiferio”, recita a un certo punto durante il brano di chiusura “Tramontofili”: forse una delle definizioni più calzanti per rappresentare un modus operandi diviso tra scrittura, arrangiamenti, regia. Espressione.
Lo scorso 20 novembre è stato pubblicato il suo debutto discografico. “A debita vicinanza”, è un titolo che a leggerlo ancora una volta all’apparenza “tradisce”: non si tratta di un riferimento diretto alla situazione dell’ultimo anno, bensì di un omaggio spontaneo al quadro “L’adieu” di Massimo Moretti, un amico prima che un artista poliedrico (proprio come lei) e musicista sostenitore attivo del progetto Glomarì. “L’adieu” rappresenta due figure che stanno tenendo le braccia per toccarsi, e dunque unirsi. Ma qualcosa di indefinibile si frappone tra loro ad impedire che possano stabilire un contatto corporeo, fondersi e quindi probabilmente in un futuro prossimo allontanarsi definitivamente. L’ostacolo misterioso si traduce allora in una benedetta barriera che permette loro di sentirsi vicini in una maniera sincera e profonda, impossibile probabilmente senza ostacoli, come Glomarì stessa ha spiegato. La limitata vicinanza arriva benedetta perché non stravolgerà la coltivazione del proprio mondo interiore. E osservando la copertina scelta per l’album, la percezione iniziale viene confermata per la terza volta: la protagonista copre gli occhi attirando l’attenzione dello spettatore come fa attraverso le sue canzoni: bisogna andare a fondo e immedesimarsi senza correre il pericolo di scontrarsi. A debita vicinanza. I dieci brani raccolti non hanno la loro prima volta in forma totale. Glomarì Gorreri ha cominciato a comporre e cantare canzoni in inglese (“On a train”), passando poi all’italiano per poter adoperare il potenziale derivante dalla conoscenza personale del vocabolario. Mentre cominciava a lavorarci su e rilasciare i primi singoli “Il pianeta tenda” e “Mille anni” nel 2019, sul suo canale Youtube celebrava in modo originale la bellezza di memorabili ballate lontane negli anni e nei decenni. Dateci un’occhiata tra bianchi e neri, chitarre e un’accogliente interpretazione home-made. Nel frattempo l’aprile di quell’anno riserva una tappa di valore dai molteplici risvolti: viene alla luce “Inaccadimenti”, una trilogia di video-poesie, nella quale Glomarì si cimenta dietro la macchina da presa costruendo altri piani di lettura per le canzoni “A suo modo danza”, “Mostarda”, “Liberà”. I personaggi al centro delle tre vicende conducono una doppia vita: da una parte un’attualità “ufficiale”, anonima, dall’altra l’esplosione di un sogno segreto straordinario per loro stessi. Fragili ed eroi passano gli uomini, le donne, I bambini: cullano al sicuro delle loro camere o tra I meandri della mente pensieri e voli pindarici che li mantengono realmente in vita. Non importa a quanti chili possa ammontare il prezzo dell’illusione. Il vero messaggio che Glomarì condivide all’interno della sua opera prima consiste nell’esaltazione della curiosità, da nutrire intorno a tanti temi familiari: tra questi il benessere custodito dall’insonnia analizzato in “L’ama o non l’ama”, la bontà della nostalgia mascherata in strada e poi rivelata portando alla luce carillon in “Il rosso è più bordeaux”. La vena poetica della cantautrice si afferma secondo una pluralità di espedienti: la personificazione degli oggetti come dimostrano "la filosofia dei panni stesi", laddove i vestiti diventano depositari "offesi" dei comportamenti umani sbagliati e il catalogo illustrato in "Bugie in borghese", la simbologia metaforica de "la barca", viaggio complesso nel disincanto di una melodia crescente per intensità e ricchezza strumentale come accade costantemente nell'intero album. Le mani scivolano dapprima sulle sole corde della chitarra o i tasti del piano circondando la voce delicata di Glomarì, incontrando lungo la strada un violino, un violoncello, un corno francese. La summa conclusiva si chiama "Tramontofili": non un sostantivo, ma un aggettivo per i riflessi di cui si siamo ladri al giorno d'oggi. Il tramonto è "un preludio", mentre il cuore "un sipario", ma su uno spettacolo di luci notturne o di drammatiche oscurità? All'ascoltatore una delle due risposte, e molte altre ancora. Non esistono limiti all'opinione nell'arte di Glomarì. Immagini tratte da: Immagine 1 gentilmente fornita dall'ufficio stampa Immagine 2 tratta da www.massimomoretti.com di Enrico Esposito
Piove. Scoppia un temporale fitto mentre due giorni fa parlo al telefono con Simone Bettin, cantante e chitarrista dei Campos. Uno scroscio d’acqua annunciato dal cielo coperto che aveva fatto capolino fin dalla mattinata. Simile alle scariche elettriche che producono le musiche e I testi del trio pisano. Sono passati solo tre anni dal loro disco d’esordio “Viva”, dal contorno berlinese e la scorza inglese, ma depositario di un sound affermatosi come distintivo attraverso il successo del secondo capitolo “Umani, vento e piante “di due anni fa, che ha segnato il passaggio all’italiano. Un’evoluzione che è proceduta di pari passo con il ritorno di Simone dalla capitale tedesca e lo sviluppo in pianta stabile del progetto insieme al musicista - produttore Davide Barbafiera e al bassista Tommaso Tanzini. Una piccola sfida, quella del passaggio di lingua, vinta e ora affrontata nel nuovissimo “Latlong”, album pubblicato il 27 novembre per Woordworm. Un album che rappresenta ancora una volta il rinnovamento della ricerca musicale all’insegna della caratteristica fusione, il gioco d'incastri organico tra le basi acustiche prodotte da Simone e Tommaso , e le “incursioni” alla console di Davide. Sembra di scorgere nelle prime la voce e le riflessioni razionali o meno degli uomini, mentre le seconde intervengono a rievocare sia elementi immateriali che concreti del mondo che ci circonda. Da questo punto di vista “Latlong” si inserisce sullo stesso terreno battuto dal suo predecessore, ma deviando in un sentiero diverso, esibendo una prospettiva narrativa che mette da parte il distacco a favore di un coinvolgimento profondo ed emotivo. Chi parla adesso c’è dentro fino al collo.
“Noi raccontiamo non in modo classico” afferma Simone riferendosi alla metamorfosi che la scrittura ha conosciuto. Le ispirazioni agli undici brani della tracklist erano arrivate anche dalla lettura e dall’ascolto di vicende di esploratori, vulcanologi, aereonauti del passato. Vite affascinanti che non si presentano trasposte direttamente, ma incontrano I pensieri della band, che le fa proprie, raccogliendo la scintilla e le fiammate per sottoporle alla sua idea. Dunque in “Latlong” non si susseguono memoriali o racconti, ma sensazioni, contrapposte all’interno della stessa traccia, strascicanti tra una traccia e l’altra. “Sonno”, opening del volume, mette fin da subito “le cose in chiaro”, ben supportato dal videoclip pubblicato il 30 ottobre: quante volte è successo di nascondersi nel sonno, di preferire ritirarsi tra ansie e dubbi invece di decidersi a tirare fuori, tornando alle emozioni più semplici e alla condivisione. “Ruggine”, traccia numero 4, porta avanti il discorso, mostrando attraverso la metafora di questo processo chimico, il passo successivo: il suo protagonista vuole risolvere I problemi da cui scappa in continuazione, e quindi di conseguenza aiutarsi a farlo. Ma non ne è capace, anzi chiede a un certo punto anche l’aiuto di un’altra persona, ma poi ci rinuncia e finisce per non fare esattamente niente. L’acqua continua ad alzarsi pericolosamente sotto di sé spinta da una corrente che risuona grazie agli effetti creati da Davide. Già l’acqua, presenza costante in “Latlong”, elemento naturale che assume un ruolo ben più al di là delle sue caratteristiche fisiche. Personaggio centrale, testimone dei differenti momenti descritti: in “Figlio del fiume” è un habitat fantasioso, “Blu” la vede invece partecipe della quiete regalata all’animo dalla visione dell’orizzonte. In “Addio”, sospinge una barca metaforica sopra la quale avviene un allontanamento dalle sicurezze alla volta di destinazioni ignote.
Molteplici sono gli stati d’animo dell’uomo, come il desiderio di mollare (“Mano”) e di tenersi invece legati a un’ancora di salvezza necessaria (“Lume” e “Santa Cecilia”, Santa Patrona della Musica e nome di una strada vicinissima al quartier generale pisano dei Campos). “Latlong”, neologismo partorito dalla band unendo le coordinate di latitudine e longitudine, in principio aveva il compito di dare il titolo a una canzone. Ma nel corso del tempo si è rivelata invece la definizione giusta del concept generale dell’album: rappresentare le variabili di cui si compone il mondo, e dunque I suoi abitanti. C’è inoltre un’altra immagine celata nel tessuto dei brani: quella del musicista, con il suo carico di insicurezze e rischi, posto alla mercé dei giudizi nei confronti dei suoi lavori. Alla lavorazione sui testi (venuti fuori nell’ultimo anno e mezzo) ha contribuito per la prima volta nella storia dei Campos una figura esterna, ossia Giovanni Guerrieri, regista e attore pisano, amico di lunga data e fan dalle band. L’artwork del disco, disponibile in formato digitale, cd e vinile, è frutto del lavoro della performer berlinese MYMO. In attesa di assistere alla versione live. Quella più attesa.
Immagini fornite dall'ufficio stampa Big Time Giovani, eclettici, briosi. I Desaritmia sono una band composta da sei musicisti provenienti dalle Marche e dall’Emilia Romagna: Anna Ghetti (Voce), Gianmaria Tombari (Marimba e Synth), Simone Rango (Tromba), Francesco Ottaviano (Basso), Stefano Bartoloni (Batteria), Valerio Lucentini (Tastiere). Un mix di creatività, energia e positività, che viene trasmesso sia dal contenuto dei testi delle loro canzoni che dalla loro arrembanza musicale, all’interno della quale confluiscono elementi provenienti da generi diversi che riflettono lo spirito dei componenti. “Desaritmia” è un neologismo che attraverso la doppia negazione (“des” + “a”) potremmo fare tradurre con “mancanza di aritmia”. Ma al di là di pesanti considerazioni filologiche, il significato di questa parola all’orecchia esprime già di per sè il concetto di movimento, ritmo per l’appunto. Non bisogna stare fermi, ma ballare, divertirsi e riflettere sugli schiaffi della vita senza buttarsi giù ma conservando sempre una buona dosa di ironia, che permette di mantenere il morale alto. Se ascoltate l’ultimo singolo della band, “Bastardo”, pubblicato lo scorso ottobre, coglierete immediatamente il messaggio lanciato: accettare la fine di una storia con tutti I suoi strascichi, fatti di rabbia, accettazione serena e infine voglia matta di tornare a sognare. “Soltanto a te”, brano precedente, così come “Palazzo di fiori”, brano di debutto dei Desaritmia nel 2017, predicano la medesima filosofia, ritrovando nella voce potente di Anna Ghetti e nella vastra strumentazione dei musicisti il passepartout corrosivo con cui raggiungere l’animo degli ascoltatori. Inizialmente nata nel 2016 dall’incontro tra la cantante romagnola e il trio degli Aritmia Percussion Trio (Stefano Bartoloni, Gian Maria Tombari e Valerio Lucentini), la formazione si è estesa accogliendo in pianta stabile il basso e la tromba, con il risultato di arricchire ulteriormente il caleidoscopio di melodie offerte sia nella scrittura delle canzoni inedite, che delle covers eseguite durante I numerosi concerti lungo l’Italia. Patchanka è lo stile sonoro in cui I Desaritmia si inseriscono. I Mano Negra di Manu Chao hanno ufficialmente coniato questo termine alla fine degli Ottanta per individuare una commistione di influenze varie, dallo ska allo jazz ai generi musicali dell’America Latina, patria prediletta. Ma anche I Clash e The Specials avevano fornito una versione diversa di patchanka, a testimonianza di come quest’ibridazione sia vasta e in continua evoluzione, al servizio della libertà realizzativa. In tal senso, il sound dei Desaritmia manifesta influenze molteplici derivanti dagli studi accademici e dai gusti dei suoi componenti: musica cubana, afro-beat, swing, jazz, ma anche musica classica e cubana che si innestano sul pop, al quale tendono le ultime uscite. Una fusione ben assortita, che trova la sua massima espressione nei live: la band partecipa nel corso della sua storia a festival di spicco della musica indipendente come Frogstock (Riolo Terme), MusicaW (Castellina Marittima), Gulliver Rock (Ancona), Parco Artbiotico (Urbino), Memorabilia Festival (Recanati). Nel novembre del 2019 arriva il secondo posto al Tour Music Fest (uno dei festival internazionali più importanti di Musica Emergente) e nel settembre di questo anno la finale alla 33a edizione di Sanremo Rock, sullo storico palco dell’Ariston di Sanremo. Ma adesso I Desaritmia si sentono pronti per affrontare una nuova fase della loro carriera: stanno lavorando alla messa a punto del loro album d’esordio, la cui uscita è prevista per la primavera e basato sul concept della speranza. Il lavoro sarà accompagnato dal relativo tour, il primo completamente marchiato Desaritmia. Contatti: Youtube: https://www.youtube.com/channel/UC5R8gDo7nkLaX2MxPOQHrng Spotify: https://open.spotify.com/artist/7sPSfbPDlsTolnPGhYsbZE Facebook: https://www.facebook.com/Desaritmia/ Instagram: https://www.instagram.com/desaritmia/?hl=it Immagine gentilmente fornita da Anna Ghetti COMUNICATO STAMPA
Ludwig Mirak è la nuova scommessa di International Music and Arts e di Francesco Cattini, storico manager di Franco Battiato.
Ludwig Mirak, all’anagrafe Paolo Karim Gozzo, dopo il fortunato primo album “È quasi l’alba” che gli ha permesso di calcare palchi importanti con artisti come Roberto Vecchioni e Banco del Mutuo Soccorso, pubblica il nuovo singolo “Leila” che anticipa il prossimo progetto discografico in cantiere con la label modenese. “Leila”, che in precedenza era stata proposta al Festival di Sanremo, racconta i sogni e le speranze di una ragazza che decide di cercare fortuna all'estero, ma le difficoltà non sono poche e dovrà affrontare un periodo fatto di attese e rinunce; senza per questo abbattersi, sfidando a denti stretti la propria quotidianità. Il messaggio della canzone vuole essere una piccola luna nel buio di questo anno disastroso. Musicalmente il brano, prodotto tra Berlino e Modena con Federico Truzzi e Davide “Bombanella” Cristiani, si presenta come una delicata ballad dal sapore mediterraneo, arrangiata con quartetto d’archi e mondol (la mandola del Maghreb). Inoltre il testo è bilingue, ha le strofe in Italiano e il ritornello in Darija, l'arabo marocchino. Proprio riguardo questa riscoperta e viaggio nel profondo delle proprie radici, il cantautore Paolo Karim Gozzo in arte Ludwig Mirak commenta: “Grazie al mio produttore Federico Truzzi, sono finalmente riuscito a trovare il mio stile, la mia identità. L’equilibrio tra pop contemporaneo, la tradizione della canzone d'autore con cui sono cresciuto e i colori del mio amato Marocco. Il Festival di Sanremo sarebbe potuta essere una grande opportunità ed una bella vetrina, ma così non sarà e quindi si va avanti. Leila è una canzone importante, le darò l'energia, l'attenzione e il tempo che merita.” Ad accompagnare Ludwig Mirak e la sua “Leila”, un intimo videoclip curato da Enrico Mescoli. BIOGRAFIA Paolo Karim Gozzo nasce il 23/03/1989 a Erba (Como) ed è un cantautore con origini siciliane e marocchine. Muove i primi passi nel 2009 ad X Factor nella squadra di Morgan, uscendo al Bootcamp contro Marco Mengoni. Tra il 2010 e il 2013 lavora in studio di registrazione a diverse demo, tra cui "Buongiorno mondo” singolo prodotto da Enrico Kikko Palmosi e pubblicato nella primavera del 2012. La svolta avviene nel 2014 quando, dopo aver studiato songwriting con Bungaro, decide di trasferirsi a Modena trovando nella canzone d'autore il suo habitat ideale. In Emilia fonda il progetto Ludwig Mirak e nel 2018 insieme a Federico Truzzi ed Enrico Mescoli produce l'album "È quasi l'alba" con sfumature rock e folk, ricevendo buoni riscontri dalla critica e dai live. In un anno e mezzo di concerti condivide il palco con artisti del calibro di: Roberto Vecchioni, Banco del Mutuo Soccorso, Ghemon, Carl Brave, Cisco, Franco126 e La Municipàl. Nel 2020 tra Berlino e Modena iniziano i lavori per il secondo album che sarà prodotto nuovamente da Federico Truzzi, con il supporto dell’Ing. del suono Davide "Bombanella" Cristiani. |
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Marzo 2023
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