Nell’articolo che presentava le novità discografiche del 2017, avevamo riportato l’affermazione di Francesco Bianconi che definiva L’amore e la violenza un disco “oscenamente pop”. Per ascoltare direttamente dalla sua voce, da quella di Rachele Bastreghi e da quella di Claudio Brasini la spiegazione a questa frase ci siamo mescolati alla calca di fan presente a una delle date di presentazione dell’album, presso la Feltrinelli RED di Firenze. Immersi nella marea di interviste e recensioni uscite negli ultimi giorni è difficile dire più di quello che è già stato detto e scritto su questo disco, da tutti, compresi proprio i Baustelle, nel bene e nel male.
Cerchiamo dunque di concentrare il tutto andando all’essenziale: è un disco che vale un ascolto? Si. È un disco pop? Sì è pop, ma di un pop denso, corposo e articolato.
Finita la narratività di un concept album com’era stato Fantasma, questo album è un collage di pezzetti eterogenei che diventano un tutt’uno. Un altro disco che si propone di raccontare la complessa contemporaneità ma creando una carrellata di istantanee attuali di una certa crudezza e allo stesso tempo di intimità. Basta ascoltare, dopo l’inizio strumentale di Love, Il vangelo di Giovanni: “Giorni senza fine, croci lungomare, Profughi siriani, costretti a vomitare. Colpi di fucile, sudore di cantiere”, passando per il ritratto adolescenziale di Betty, all’idea della la vita che “è tragica, però è fantastica essendo inutile. È solo immagine, è tutta estetica io penso che la vita non è niente, Provo a vivere” di Vita. Da L’era dell’acquario, ispirata a ciò che fu scritto da un giornalista francese dopo la strage del Bataclan a proposito dell’assuefazione a tutto, anche al terrorismo, a Ragazzina che invece è pensata per una bambina. L’amore e la violenza sta per “l’amore ai tempi della violenza”, non necessariamente come un sentimento romantico simbolo di salvezza del mondo di oggi, ma come sopportazione del dolore, un incoraggiamento di fronte alla guerra.
Perché dunque oscenamente pop? La volontà è quella di fare un disco di “canzonette”, come hanno detto più volte, ma “un disco che sia pop e che non si vergogni di esserlo”. In che modo?
È chiara nelle parole di Bianconi la volontà di allontanarsi da un pop che lavora essenzialmente nella “comodità” dei preset del computer, oggi spesso uniformanti. Si ritorna quindi agli anni ’70 e ’80. Non per questo vogliono essere categorizzati nel “vintage” o “retrò” che, bisogna dirlo, va di moda. Quello di cui si parla è di darsi delle regole nella composizione e seguirle, prendendo i colori da una tavolozza che si è scelto di usare. Uno dei più importanti è quello dato dall’uso di tutti sintetizzatori analogici, dall’abbandono dell’orchestra e dell’uso di un Mellotron originale, dall’uso di campionamenti di parti di batteria da vecchi dischi. Così come il colore è dato dalle sfumature, da un dialogo, per esempio, che si intuisce sotto la musica alla fine di “il vangelo di Giovanni” che è un dialogo in tedesco fra un uomo e una donna che parlano di filosofia. Non importa che se ne capiscano le parole rimaste nascoste da tutto il resto: è il colore che conta. Rachele Bastreghi, reduce da un percorso solista che le ha consentito di maturare e di superare alcuni dei suoi limiti passati, invece di alternarsi alla voce di Francesco Bianconi spesso si trova con lui all’unisono. Si crea quindi una voce doppia, un’unione di maschile e femminile che “massaggia i brani” dall’inizio alla fine. Ci si può perdere ascoltando le tracce dell’album nel cercare e contare le citazioni che contengono, fra palesi riferimenti alle sonorità di Battiato alla citazione di Sandokan. La più evidente forse quella ad Amanda Lear che compare direttamente nel titolo del singolo estratto. Citata, dicono loro, anche se non ha un ruolo nel testo del brano, che si snoda invece nel rapporto fra due ragazzi insidiato da un tradimento. Amanda Lear in questo contesto rappresenta di per sé un richiamo agli anni ’70 e a un certo tipo di femminilità ambigua. Il tour che partirà a febbraio si svolgerà nei teatri. È prevista infatti una data all’Opera di Firenze il prossimo 6 marzo. La scelta del teatro era ovviamente comprensibile con un lavoro a base orchestrale come Fantasma ma qui è diverso. Lo spettatore seduto è “costretto” nell’immobilità ad ascoltare con attenzione e magari a cogliere ciò che a volte inevitabilmente si rischia di perdere. Questi sono i Baustelle maturi, quelli che hanno voluto sperimentare percorsi da loro mai intrapresi fino a ora proprio in virtù dell’esperienza derivata dal punto avanzato della loro carriera. Immagini tratte da: Immagine 01: https://www.facebook.com/baustelleofficial/?fref=ts Immagine 02: https://www.youtube.com/watch?v=34Mam4Ru1Dg
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Marzo 2023
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