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15/4/2022

“Bocca di Rosa”, altro che prostituta! La critica ‘anarchica’ di De André agli usi e costumi italiani

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di Giovanni Frezzetti

Era il lontano 1967, esattamente 55 anni, quando il visionario Fabrizio De André lanciò una canzone destinata a restare nell’immaginario collettivo: Bocca di rosa. Un brano che oggi è più attuale che mai. Ma come nasce questa canzone e qual è il vero significato? Nel corso degli anni la definizione di Bocca di rosa è stata erroneamente interpretata.
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In primis, De André trasse ispirazione per la sua Bocca di Rosa dal personaggio della famosa canzone del 1953 di Georges Brassens “Brave Margot”, come raccontato nel libro “Volammo davvero” curaro da Elena Valdini. Nel brano francese viene raccontata la storia di una pastorella che trova un gattino abbandonato. Per sfamare l’animale, la ragazza lo allatta al seno, attirando l’attenzione dei maschi del villaggio. Il parallelismo è chiaro.

L’erronea interpretazione nel senso comune di Bocca di rosa è spiegato nel testo della canzone di De André. Nell’immaginario Bocca di rosa è una prostituta, ma non è così. “C'è chi l'amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione, Bocca di rosa né l'uno né l'altro lei lo faceva per passione”, recita la canzone di De André. Dunque, è chiaro che quello che il cantautore vuole descrivere non è una prostituta, ma una giovane ragazza lontana dalle chiusure mentali dei piccoli paesini italiani a quei tempi. Una sorta di critica agli usi e ai costumi di quel tempo. Anche con i versi “Spesso gli sbirri e i carabinieri al proprio dovere vengono meno, ma non quando sono in alta uniforme e l'accompagnarono al primo treno”, De André conferma la sua linea anarchica criticando le forze dell’ordine.
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Alla fine Bocca di Rosa, a causa dell’ira “delle cagnette a cui aveva sottratto l’osso”, deve lasciare il paesino. Il colpo di scena finale, con tanto di richiami ai dogmi religiosi, è dietro l’angolo: quando Bocca di Rosa viene accompagnata alla stazione c’è tutto il paesino, compreso il parroco. Come se De André avesse voluto rappresentare una leggera malinconia di chi l’aveva allontanata ma era consapevole della ventata di freschezza portata nella monotonia quotidiana del paesino.

A 55 anni dall’uscita questa canzone è attuale più che mai: in Italia la “diversità” è spesso vista come un problema e non come una risorsa. Chi era avanti già nel 1967 forse non avrebbe mai immaginato di trovare una situazione simile nel 2022. Ma si sa: l’erba cattiva non muore mai.

Immagini tratte da ​https://www.instagram.com/fabrizio.deandre/?igshid=YmMyMTA2M2Y=

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