Vinicio Capossela presenta il suo nuovo album “Le canzoni della Cupa”. Da giugno il tour estivo. “E' un lavoro che non va giudicato, va lasciato fluire” dice Antonio Infantino durante la sua presentazione delle Canzoni della Cupa, seduto nella Feltrinelli Red di Firenze, accanto a Vinicio Capossela. Sicuramente serve tempo per immergersi in questo lavoro e riuscire a capirlo davvero. Serve tempo perché l'essenza di quello che ascoltiamo si sedimenti, maturi piano piano esattamente così come quell'essenza è nata. Un tuffo nella musica folk. Ma questa definizione non basta. Quello che abbiamo fra le mani è un album che ha due lati e ventotto brani, tredici anni alle spalle e una storia intera dentro. Dopo “il paese dei Coppoloni” torna l'Irpinia sulle mani e nella voce di Capossela, ma in realtà c'era già da molto tempo. Terra paterna che non ha smesso di ascoltare, di indagare cercando nelle pieghe del tempo, nelle memorie che sono “evaporazione della terra” come ha detto Infantino, come quella polvere che identifica il titolo di uno dei due lati dell'album. La polvere che si alza quando passi ma anche quella che si deposita negli anni, sotto il sole caldo del Sud Italia. Ha il sapore e il suono della frontiera e quei ritmi trascinanti che rendono impossibile l'ascolto senza avere la voglia di muoversi. Basti pensare alla presenza dei Los Lobos ed ascoltare “La padrona mia” e il ponte fra l'Italia e l'America è subito presente e riconoscibile. Protagoniste tante donne, “La padrona mia”, le tabacchine di “Femmine”, “Zompa la rondinella”, “Franceschina la calitrana”. Alcuni brani finiscono con piccoli frammenti di canzoni popolari che come un' eco ci ricordano esattamente dove siamo, fra un brano e l'altro, in una dimensione senza tempo dove presente e passato si mescolano, dove le danze si uniscono a temi non sempre leggeri: esorcizzare ed esercitare quella “capacità di ridere anche amaramente”, come lo stesso Capossela ha detto. I ritmi cominciano a placarsi intorno al tredicesimo brano “Lu furestiero”, fino a “la notte è bella da soli” dove è come se ci preparasse alla seconda parte, quella lunare, notturna. “La notte è bella sola sola, a questo paese non ci sta nessuno, si arrabbiano le gatte con i cani, la gatta vince, la gatta vince, si sente lontano lu lupo mannaro, per la paura mi so’ scantato”. Storie nell'ombra, lì dove la luce non arriva, dove si nascondono creature strane e misteriose, paure e inconscio, mostri che sono a volte molto più reali di quanto si possa immaginare. “Il Pumminale” per esempio, brano che è stato il primo ad uscire con il suo videoclip, animale che nella tradizione popolare sarebbe il licantropo, storia di un uomo infedele che vaga nella notte assecondando lo spirito oscuro, animalesco e irrefrenabile. Anche la voce di Capossela si fa più morbida, calda, sussurrata, narratore di storie oscure misteriose. Non è un caso che nella giornata di presentazione a Firenze, lo scorso 12 maggio, seduto accanto a Vinicio ci fosse appunto Antonio Infantino, espressione della musica popolare italiana insieme alle tante altre presenze nell'album come Giovanna Marini, Enza Pagliara, La banda della Posta, uniti poi a quelli che invece ci portano lontano come i Los Lobos, Calexico, Howe Gelb. Infantino ci racconta di un Capossela che ha colto il fiore dell'amore per la libertà, del rispetto per le persone e per l'umanità. E' un elemento che non può mancare se vogliamo spiegare le canzoni della cupa, quel suono che viene da lontano, i cori che fa senza un ritmo preciso mentre Vinicio suona e canta alcuni dei brani. “Il cupa cupa è uno strumento che ha delle frequenze che scendono sotto i 7 hz, gli esseri umani riescono ad udire quelle che vanno solo sopra ai 30. E così è uno strumento che si collega con il linguaggio della natura, con quello della terra, con quello animale, con il pre-linguaggio umano.” E' lì dove non ci sono parole consce che esprimono quello che siamo che si trova la memoria della terra. E' finito poco tempo fa il tour di presentazioni nelle librerie. Iniziato a Bari e concluso a Bologna dove la presentazione dell'album è stata accompagnata alla proiezione de “Il paese dei Coppoloni”. Adesso partirà il tour vero e proprio, o meglio, la sua prima parte, quella della polvere, caratterizzata da tutti concerti all'aperto che meglio si sposano con i ritmi forti e marcati. Parte dal Parco della Musica di Roma il 28 giugno (sarà in Toscana il 13 luglio al Lucca Summer Festival e il 29 Agosto al Beat Festival di Empoli). La parte dell'ombra partirà ad ottobre, nella penombra dei teatri, con altri strumenti, altre scenografie.
Fulvio Paloscia, giornalista di Repubblica presente in libreria quel giorno, chiede a Capossela dello spazio geografico dell'album che dall'Irpinia sembra allargarsi fino all'America. Lui chiede se qualcuno ha una copia del suo libro e poi, come risposta, ne legge la frase di apertura di Ernesto De Martino: “Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell'umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria, a cui l'immagine e il cuore tornano sempre di nuovo, e che l'opera di scienza o di poesia riplasma in voce l'universale”. In un mondo dove le distanze si accorciano e dove tutti ci sentiamo cittadini del mondo serve un “villaggio nella memoria”, servono delle radici e soprattutto, serve non dimenticarle ma ripercorrerle, accettarle, farle vivere nel passato come nel presente. Quel giorno a Firenze Vinicio canta “Zompa la rondinella”, “Scorza di mulo” per la quale invita Infantino ad accompagnarlo imitando il rumore degli zoccoli, e finisce con “Il treno”, così come finisce la tracklist dell'album. Ne cita una parte del testo, a concludere e riassumere tutta l'essenza del viaggio che ha portato a questo ultimo lavoro compiuto: “così com’ero, restar non posso quello che sono mi porto addosso” Immagini tratte da: - Immagine 1 da http://www.rockol.it/news-652219/vinicio-capossela-canzoni-della-cupa-nuovo-album-data-uscita-copertina?refresh_ce - La galleria contiene foto dell'autore
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Aprile 2023
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