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7/12/2020

Esprit libre

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di Enrico Esposito
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​Quanto è possibile fare poesia al giorno d’oggi? Questa è la prima domanda che mi è venuta in mente studiando I lavori di Glomarì. Ma alla fine credo che lei non si sia posta addirittura mai questa domanda. Perché la cantautrice fidentina, architetto avvicinatisi alla musica quando le fu regalato un ukulele non molti anni fa, si muove nell’universo complessivo dell’arte in nome di una libertà benedetta, posta sotto il potere incantatorio della magia creativa. “Che placido putiferio”, recita a un certo punto durante il brano di chiusura “Tramontofili”: forse una delle definizioni più calzanti per rappresentare un modus operandi diviso tra scrittura, arrangiamenti, regia. Espressione.

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​Lo scorso 20 novembre è stato pubblicato il suo debutto discografico. “A debita vicinanza”, è un titolo che a leggerlo ancora una volta all’apparenza “tradisce”: non si tratta di un riferimento diretto alla situazione dell’ultimo anno, bensì di un omaggio spontaneo al quadro “L’adieu” di Massimo Moretti, un amico prima che un artista poliedrico (proprio come lei) e musicista sostenitore attivo del progetto Glomarì. “L’adieu” rappresenta due figure che stanno tenendo le braccia per toccarsi, e dunque unirsi. Ma qualcosa di indefinibile si frappone tra loro ad impedire che possano stabilire un contatto corporeo, fondersi e quindi probabilmente in un futuro prossimo allontanarsi definitivamente. L’ostacolo misterioso si traduce allora in una benedetta barriera che permette loro di sentirsi vicini in una maniera sincera e profonda, impossibile probabilmente senza ostacoli, come Glomarì stessa ha spiegato. La limitata vicinanza arriva benedetta perché non stravolgerà la coltivazione del proprio mondo interiore. E osservando la copertina scelta per l’album, la percezione iniziale viene confermata per la terza volta: la protagonista copre gli occhi attirando l’attenzione dello spettatore come fa attraverso le sue canzoni: bisogna andare a fondo e immedesimarsi senza correre il pericolo di scontrarsi. A debita vicinanza.
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“L’adieu” di Massimo Moretti

I dieci brani raccolti non hanno la loro prima volta in forma totale. Glomarì Gorreri ha cominciato a comporre e cantare canzoni in inglese (“On a train”), passando poi all’italiano per poter adoperare il potenziale derivante dalla conoscenza personale del vocabolario. Mentre cominciava a lavorarci su e rilasciare i primi singoli “Il pianeta tenda” e “Mille anni” nel 2019, sul suo canale Youtube celebrava in modo originale la bellezza di memorabili ballate lontane negli anni e nei decenni. Dateci un’occhiata tra bianchi e neri, chitarre e un’accogliente interpretazione home-made. Nel frattempo l’aprile di quell’anno riserva una tappa di valore dai molteplici risvolti: viene alla luce “Inaccadimenti”, una trilogia di video-poesie, nella quale Glomarì si cimenta dietro la macchina da presa costruendo altri piani di lettura per le canzoni “A suo modo danza”, “Mostarda”, “Liberà”. I personaggi al centro delle tre vicende conducono una doppia vita: da una parte un’attualità “ufficiale”, anonima, dall’altra l’esplosione di un sogno segreto straordinario per loro stessi. Fragili ed eroi passano gli uomini, le donne, I bambini: cullano al sicuro delle loro camere o tra I meandri della mente pensieri e voli pindarici che li mantengono realmente in vita. Non importa a quanti chili possa ammontare il prezzo dell’illusione. Il vero messaggio che Glomarì condivide all’interno della sua opera prima consiste nell’esaltazione della curiosità, da nutrire intorno a tanti temi familiari: tra questi il benessere custodito dall’insonnia analizzato in “L’ama o non l’ama”, la bontà della nostalgia mascherata in strada e poi rivelata portando alla luce carillon in “Il rosso è più bordeaux”.  


La vena poetica della cantautrice si afferma secondo una pluralità di espedienti: la personificazione degli oggetti come dimostrano "la filosofia dei panni stesi", laddove i vestiti diventano depositari "offesi" dei comportamenti umani sbagliati e il catalogo illustrato in "Bugie in borghese", la simbologia metaforica de "la barca", viaggio complesso nel disincanto di una melodia crescente per intensità e ricchezza strumentale come accade costantemente nell'intero album. Le mani scivolano dapprima sulle sole corde della chitarra o i tasti del piano circondando la voce delicata di Glomarì, incontrando lungo la strada un violino, un violoncello, un corno francese.  La summa conclusiva si chiama "Tramontofili": non un sostantivo, ma un aggettivo per i riflessi di cui si siamo ladri al giorno d'oggi. Il tramonto è "un preludio", mentre il cuore "un sipario", ma su uno spettacolo di luci notturne o di drammatiche oscurità? All'ascoltatore una delle due risposte, e molte altre ancora. Non esistono limiti all'opinione nell'arte di Glomarì.
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Immagini tratte da:
​
Immagine 1 gentilmente fornita dall'ufficio stampa
Immagine 2 tratta da www.massimomoretti.com

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