di Enrico Esposito
L'11 gennaio di questo anno Faber muore per la ventesima volta, mangiato dalla malattia un altro anno ancora. In più ci sono le lacrime di chi, come me, non l'ha conosciuto, o era troppo piccolo e privo di malizia per poter capire di cosa parlasse nelle le sue canzoni: e nei romanzi in cui narrava di meravigliose puttane, trasformandole in dame pittoriche. Non ho pianto, non me n'è importato nulla quando l'11 gennaio 1999, mentre aspettavo a tavola coi miei genitori che il pranzo fosse pronto, il Telegiornale aprì con la notizia della morte di un cantante che non conoscevo, perché non l'avevo mai visto in televisione. Infatti in televisione non si vedeva mai. Mica come Lucio Dalla, Ramazzotti, Zucchero! Nella mia mente di bamboccio Fabrizio De André non esisteva, e non ci restò certamente dopo quell'annuncio al telegiornale dell'una e mezza.La mia crescita insieme a De André avvenne solo più tardi, durante le medie, le superiori, l’università e la disoccupazione post-università… Mi sento fortunato ad essere nato con un'inclinazione naturale per l’italiano, e di conseguenza non dover compiere sforzi nell'apprezzare il fascino inconfutabile di canzoni come "Un malato di cuore", e provo una sensazione fantastica a starmene disteso sul divano in salotto o su un muretto con una spiga di grano in bocca oppure arrendendomi al sonno, lasciando che le parole e le melodie di "Marinella" e di "La Canzone dell'Amor perduto" si uniscano armonicamente in una magnifica sinfonia. E accurate sono le covers che omaggiano gli chansonniers d'oltralpe George Brassens e Jacques Brel, o i folksingers americani Leonard Cohen, Bob Dylan, fenomeni assoluti che con le loro intuizioni divine regalano la vera bellezza al proseguimento della vita. La più grande traduttrice italiana di cui io abbia memoria, Fernanda Pivano, aveva ovvia ragione quando disse che Bob Dylan poteva essere ritenuto il Fabrizio De Andrè americano, e non viceversa.
Ogni volta che per un attimo passo in rassegna tutte le opere che ha avuto il tempo di ultimare prima che ci lasciasse, l’unico confronto che dentro di me ritengo accettabile è quello con Leonardo Da Vinci. Faber, il genovese a cui piacevano le matite colorate Faber Castel, il terribile scavezzacollo nutritosi di un topo per una scommessa persa con Paolo Villaggio. Faber, cantore dall'insopportabile timidezza e dalla morale indecente, fautore di una lotta possibile e forte senza l'obbligo di fasce e bandiere. Faber, pastore sardo indiano, navigatore, amante cronico dell'amore. Faber filologo dei testi dimenticati per sempre dalla religione, e di quelli spilorciamente custoditi dai suoi conterranei. Faber, il Leonardo Da Vinci della musica. Per approfondire: il sito ufficiale è http://www.fabriziodeandre.it/ Immagini tratte da pagina facebook https://www.facebook.com/Fabrizio-De-Andre-46135857528/
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Marzo 2023
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