di Enrico Esposito
Vi presentiamo la nostra intervista via mail al cantautore napoletano Roberto Guardi, in arte Il Befolko, che ha da poco rilasciato il sinolo "Riesta n'atu ppoco", apripista del suo nuovo album "Puoi rimanere appannato".
1 – Buongiorno Roberto e grazie molte per aver accettato la nostra intervista. Sono trascorsi cinque anni dall’inizio di questa nuova fase della tua carriera musicale, della nascita del progetto solista “Il Befolko”. Ci puoi raccontare quando hai deciso di “metterti in proprio” e tuffarti in questa avventura, e quali motivazioni ti hanno portato a farlo?
Buongiorno a voi e ai vostri lettori, grazie per la gentile disponibilità! Il progetto “Il Befolko” nasce ufficialmente nel maggio del 2015, mese in cui mi esibii per la prima volta utilizzando questo nome. Mi ero già esibito in altre occasioni, sporadicamente, utilizzando soltanto nome e cognome. Prima di quella data non avevo davvero un progetto ma soltanto delle canzoni, scritte a partire dal 2010. Che la musica fosse parte imprescindibile della mia vita lo sapevo fin da bambino ma l'ho realizzato più seriamente a partire dal 2013, anno in cui esordii da percussionista con “La Maschera”. Per tutta una serie di motivi non credetti abbastanza in quell'esperienza, ma da allora il bisogno di suonare e di fare le cose un po' più seriamente si è fatto più pressante. A spingermi in tutto il resto c'è stato proprio quel bisogno di esprimermi, accompagnato dal profondo benessere che provo nel maneggiare uno strumento. 2 – Il nome d’arte che hai scelto racchiude al suo centro un elemento chiave: “folk”. Il folk, di matrice americana e britannica di anni Settanta, è infatti il genere che proponi attraverso le tue canzoni trasponendolo all’interno della veste linguistica a te completamente familiare: la lingua napoletana, dotata di una potenza evocativa straordinaria resa ancora più viva dai suoni di strumenti e non solo che sono riprodotti nei brani. Quali sono le fonti di tale interessante fusione? Ho scoperto quel folk intorno ai diciassette anni grazie a Cat Stevens e Simon & Garfunkel. Mi piacque molto fin da subito, mi lasciavo avvolgere sempre più da quella dolcezza, da quella malinconia e da quei testi così semplici, all'apparenza ingenui, ma così densi, spontanei e profondi. Poi mi sono imbattuto in Jim Croce e Gordon Lightfoot, i miei veri mentori. In tutte quelle canzoni ritrovavo senza saperlo molto di me, della mia stessa sensibilità, e attraverso di esse mi sono conosciuto e riconosciuto. Il napoletano l'ho scoperto alle scuole medie, è la lingua che più si parla nel mio quartiere. Pur se non lo si volesse, se si nasce nei quartieri popolari lo si impara a prescindere: è proprio una questione di identità, di appartenenza! Quel folk lì ha molto a che fare con le radici dell'interiorità, esso scava fino a fondo fino a rintracciare l'emozione nuda e cruda; il napoletano è invece la radice del mio microcosmo, fisico e non, ed è una lingua radicale che attraverso semplicità e sinteticità può esprimere anche il molto complesso, il molto profondo. Una lingua perfetta per chi non vuol farsi fraintendere! 3 – Nel 2017 hai pubblicato il tuo primo album in studio intitolato “Isola Metropoli”, che mostrava in sé già i tratti caratteristici de Il Befolko: ballate brevi e placide, che servendosi di arpeggi delicati e “pizzicati” affrontano temi molteplici, spesso malinconici, auto-ironici, e soprattutto intimi. Testi che fotografano a volte dei momenti quotidiani cristallizzati intorno ad un oggetto che ne fa parte (“ ‘O bigliettino”, “ ‘A lavatrice”) e diventa infine l’icona di altri pensieri. Dunque ti chiediamo come nascono le tue canzoni e se ti va di ricordare un aneddoto particolare che ne accompagna una di esse. Le mie canzoni nascono sempre per caso, a volte da una frase, un pensiero, un concetto, un' immagine che mi sorgono in mente oppure da un qualche arpeggio o giro di accordi. Le canzoni compiute sono nate quasi sempre in tempi estremamente brevi, in massimo un'ora. Quando compongo sono totalmente immerso in un flusso, mi ci tuffo, faccio una nuotatina e cerco di uscirne con il brano terminato almeno a grandi linee (testuali e strumentali). Credo che esistano molti flussi ma ogni canzone ha il suo e completare un brano quando un flusso si è concluso o interrotto non è la stessa cosa, almeno per me. Mi fido molto delle prime stesure, ne sono quasi sempre soddisfatto. Scrivo quasi sempre di notte, è la parte del giorno che dedico al raccoglimento e alla concentrazione. Una delle canzoni notturne è “ 'A lavatrice”, nata perché il fracasso dell'elettrodomestico non mi permetteva di dormire. Potrei definirla una canzone “di vicolo”, la lavatrice in questione è quella della mia dirimpettaia! 4 – Lo scorso 20 novembre hai rilasciato il nuovo singolo intitolato “Riesta n’atu ppoco”, apripista del secondo album “Puoi rimanere appannato”, in uscita nel 2021 per l’etichetta “Dischi rurali”. Un brano che si sviluppa secondo una precisa cifra stilistica già seguita anche nella tracklist di “Giocodelsilenzio”, volume interamente strumentale reso disponibile solo pochi mesi fa. “Riesta n’atu ppoco” ha infatti la durata di un minuto e mezzo, non un assaggio, ma la scelta voluta di andare dritto all’emozione dell’ascoltatore. Ti andrebbe di dirci quando è nata l’idea di intraprendere questa piccola “sfida”? Sebbene cronologicamente “Riesta n'atu ppoco” sia uscita dopo “Giocodelsilenzio”, tuttavia la genesi dei due progetti è inversa: l'album strumentale è stato infatti inciso nell'estate del 2020 mentre l'altro brano, così come il disco di cui fa parte, era già concluso ad inizio anno. La lunghezza così contenuta di “Riesta n'atu ppoco” è stata del tutto casuale, il pezzo è nato esattamente così nel 2017, così si è conservato e la cosa non è stata frutto di una scelta ragionata. La lunghezza così contenuta potrebbe forse nascere dal fatto che il testo sia di un'urgenza assoluta e credo che la musica si sia adattata ad esso, che in un minuto e mezzo aveva detto tutto e completamente quel che sentivo. Andare sempre in cerca dell'emozione più profonda, in primis mia e poi eventualmente di chi mi ascolta, è quello che provo a propormi sempre. La “sfida” invece appartiene assolutamente ai brani di “Giocodelsilenzio”, in cui volevo essere imprevedibile e camaleontico ma con il tempo a sfavore. In quel caso ho giocato con me stesso e “Riesta n'atu ppoco” è stato un modello tipologico di partenza. Il prossimo album sarà vuoto! 5 - “Puoi rimanere appannato” si presenta come un lavoro accurato, prodotto da Massimo De Vita dei Blindur e che vede la partecipazione di altri interpreti e musicisti della scena partenopea, tra cui Pietro Annibale, in arte “Pedar”, che ha realizzato i cori di “Riesta n’atu ppoco”. Ci puoi svelare qualche piccolo dettaglio relativo al nuovo lavoro, e alla messa a punto che l’ha accompagnato? Avevo lavorato con Massimo nel 2014, quando fece da produttore del primo disco de “La Maschera”. Quei giorni in studio furono magici, conobbi una persona fantastica, disponibile, umile, oltre che un ottimo musicista dalle brillanti intuizioni. Parlammo tanto di quel folk, scoprimmo di avere molti amori musicali in comune. Ho perciò voluto fortemente che Massimo lavorasse al mio disco, sapevo che sarebbe stata un'esperienza formativa, emozionante e che egli avrebbe saputo perfettamente quale fosse la strada che volevo percorrere. La settimana di registrazioni è stata fantastica malgrado Trenitalia! Tutti i membri di Blindur hanno sposato totalmente la causa, si sono gentilmente messi a disposizione. “Pedar” è stato un mio compagno universitario, un bravo cantautore con cui sono cresciuto musicalmente fianco a fianco. Non avevamo mai duettato in studio, è stato un bel punto di arrivo! “Un disco di LSD senza LSD”, così lo ha definito Massimo! Volevamo rievocare gli anni '70, abbiamo fatto un po' gli hippie e sperimentato parecchio. Non ci siamo posti limiti, abbiamo viaggiato senza biglietto un po' in giro per il mondo. 6 – Naturalmente anche il mondo della musica ha dovuto subire e sta subendo i duri contraccolpi dovuti alla pandemia di Coronavirus. Come ha trascorso e sta trascorrendo Il Befolko questo periodo strano e complicato? E quanto mancano a Il Befolko i brividi del palcoscenico e il calore del pubblico? In questo stranissimo e difficilissimo periodo sto lavorando ad una tesi magistrale sulla musica nell'antica Roma, principalmente mi dedico a quello e sto trovando la cosa estremamente interessante e stimolante. Parallelamente insegno latino privatamente, metto da parte risparmi per fare altra musica. Cerco dischi sconosciuti, meno noti e tocco la chitarra molto poco. Vorrei tornare a comporre dopo aver fatto un bel po' di nuovi ascolti, mi piacerebbe tirar fuori qualcosa di evoluto e diverso. Esibirmi mi manca tantissimo, così come mi manca viaggiare per concerti. Negli ultimi due anni sono stato una trottola, una pausa forse mi ci voleva ma sostanzialmente lo ha deciso il buon Giuseppe Conte per tutti noi. Non vedo l'ora perciò di avere nuovamente libero movimento e libera iniziativa, ho tante persone da conoscere, con cui mischiarmi, e tanti abbracci da dispensare! Qualcuno diceva che “la vita è l'arte dell'incontro”, io aggiungerei che l'arte è la vita dell'incontro. 7 – La nostra ultima domanda consiste in realtà in un invito: lanceresti un saluto ai lettori e ai fans rivolgendo uno sguardo ai propositi futuri de Il Befolko? Un caloroso abbraccio a tutti i lettori de “Il Termopolio”, vi auguro di avere un anno migliore di questo (non dovrebbe essere poi molto difficile!), fatto di ripartenza e rinascita, e di continuare a credere in tutte le vostre aspirazioni per quanto dura possa essere! Per quanto riguarda i miei propositi, spero che questo nuovo disco possa regalarmi molte opportunità quali concerti, viaggi, incontri, premi musicali. Spero che le sue canzoni possano regalarmi belle soddisfazioni, emozioni intense e storie da conservare! Grazie per l'attenzione concessami!
Immagini tratte da:
- Immagini 1-4 gentilmente fornite dall'ufficio stampa de Il Befolko - Immagini 2-3 dal profilo facebook ufficiale de Il Befolko
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Aprile 2023
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